10 anni fa Pusha T pubblicava il suo primo album.
La carriera solista di Terrence Thornton, in arte Pusha T, dopo i Clipse, il famigerato duo che formava assieme al fratello (No) Malice, è spesso sembrata senza timone. Poi, nel 2010, la firma con GOOD Music, l’etichetta discografica di Kanye West (di cui, cinque anni dopo, lo stesso Pusha T diventerà presidente), cambiò tutto. Fu proprio Ye a guidare il suo debutto in major.
In “My Name Is My Name” Kanye non rappa né canta in alcuna delle 12 tracce, (nonostante l’autotune su “Hold On”), ma il suono e la portata del disco seguono inconfondibilmente il suo stile. Il tappeto sonoro, svuotato dello slancio epico del gangsta rap di fine 2000 e ben cucito al flow caratteristico di Pusha T, ha il chiaro obiettivo di espandere il cupo minimalismo dei Clipse, per metterne in risalto la lirica.
Il titolo è una citazione di Marlo Stanfield, gangster della serie tv “The Wire“, nella scena in cui si infuria perché un rivale ha osato citare il suo nome per strada. È una scelta accurata, perché anche l’album di Terrence è tutta una questione di street credibility.
Sebbene la tracklist sembri più ricca di funzionalità di quanto i fan di più vecchia data avrebbero potuto sperare, Pusha T è la vera star del disco. Nessun featuring sembra reggere il confronto sulle strofe. L’unico ad avvicinarsi è Kendrick Lamar, con cui dialoga nella memorabile “Nosetalgia“, incentrata sul mercato della droga e impreziosita da un beat prodotto a quattro mani da Nottz e Kanye.
A 33 anni Pusha T inizia a intravedere la ricetta giusta, quella che caratterizzerà la sua carriera da solista nei futuri progetti: al tempo stesso sporco e poetico, schietto e perspicace, con quella fiera sfrontatezza che finisce per toccarti dentro.
Ieri, in occasione dei 10 anni da questa sua prima uscita, è stata rilasciata una capsule collection celebrativa che trovate disponibile qui.