Benvenuti a Twinsburg, la città fittizia dove nulla è come sembra. Nel momento in cui Gucci ha cominciato a sfilare ieri pomeriggio tutto sembrava normale (o quasi): sartoria rivista, abiti che rimembrano un ricordo d’Oriente, déjà-vu estetici, abbinamenti squisitamente camp, dettagli sexy à la Tom Ford e sì, anche una selezione di pezzi con degli adorabili Gremlins. A un certo punto però un sipario si alza trasformando la sala asettica del Gucci Hub in un luogo di magia e fascinazione che spiega le premesse del défilé con quell’enigmatica parete di ritratti sdoppiati.
Non c’è nessun inganno o gioco ottico di specchi, dall’altra parte ci sono davvero le copie esatte dei modelli presenti in passerella, con gli stessi look e il medesimo portamento che ci interroga sul concetto di singolarità salvo poi realizzare che lo stesso vestito può sprigionare qualità diverse su corpi apparentemente identici.
Coppie che con gran sorpresa si uniscono mano nella mano per solcare la passerella durante il finale e lasciarsi ispirare dal tema del doppio. Uguali e opposti, i 68 gemelli che compongono il cast rappresentano un ossimoro e moltiplicano la bellezza dei capi con l’illusione di una simmetria incrinata che riflette il rapporto tra originale e copia.
Quella orchestrata dal direttore creativo Alessandro Michele è una dedica alle sue due madri, Eralda e Giuliana, che con la loro complicità ancestrale hanno affascinato lo stilista già dall’infanzia. Allo stesso tempo però è stato anche un modo intelligente per dimostrare che nella moda le moltiplicazioni seriali di un prodotto non ostacolano l’espressione più genuina di ogni possibile individualità.