A Sanremo non sta succedendo niente

Ogni mattina nella savana una gazzella si alza e spera di correre più veloce di un leone; e ogni febbraio, nella ridente riviera ligure, un giornalista musicale si alza e spera di correre più veloce di un giornalista di gossip, di un opinionista o di un critico tv. Sono anni che tutti noi – gli addetti ai lavori, ma anche i telespettatori, i fan e ovviamente gli artisti in gara – speriamo in un Sanremo in cui siano le canzoni ad essere al centro del dibattito, e non i pettegolezzi, lo share, la politica e chi più ne ha, più ne metta. Quest’anno partivamo già più rassegnati che mai: con tutto ciò che era successo prima ancora che il sipario dell’Ariston si alzasse (vedi alla voce Fedez, Achille Lauro ed Emis Killa), evidentemente non era la volta giusta per sperare in questa svolta. E invece, arrivati ormai a metà della kermesse, sembrerebbe proprio che l’universo abbia deciso di concederci ciò che chiedevamo da tempo. Ma come dice il saggio, bisogna stare attenti a ciò che si desidera, perché ci troviamo infatti ad affrontare il Festival forse più noioso e soporifero dell’ultimo decennio. 

Difficile attribuire una responsabilità precisa, ma forse la colpa è della mancanza di coraggio. Quando Carlo Conti ha raccolto il testimone di Amadeus, voci di corridoio dicono che abbia ricevuto un mandato preciso: realizzare una kermesse che fosse meno controversa, più sobria ed ecumenica, più adeguata al governo in carica, insomma. Il problema è che bisognava farlo senza però perdere il pubblico giovane, che è arrivato in massa proprio grazie alle rivoluzioni introdotte in piccola parte da Claudio Baglioni e poi da Amadeus, e ora giustamente si aspetta continuità. Allo stesso tempo, le discografiche premevano perché la linea rimanesse quella, visto che per la prima volta dopo decenni le canzoni di Sanremo andavano forte anche una volta finita la gara

Per salvare capra e cavoli, quindi, si è optato per un Festival da trenta (TRENTA!!!) canzoni, la maggior parte delle quali sono orientate agli ascoltatori under 25 nel sound, ma strizzano l’occhio agli anziani nei contenuti. Si tratta infatti per lo più di brani d’amore, vicende private, piccole storie: per dirla con le parole di Conti nei mesi scorsi, «non vanno a parlare dell’immigrazione o della guerra, ma si ritorna un po’ a parlare del micromondo, della famiglia, dei rapporti personali. È molto intimo». Attenzione: non stiamo dicendo che i pezzi in gara siano brutti, ma solo che con questi presupposti anche lo spettacolo rischia di diventare molto blando. Per paura che qualcuno potesse cogliere l’occasione per urlare «Stop al genocidio!» sul palco dell’Ariston, si è preferito stroncare qualsivoglia tema complesso sul nascere; o forse sono davvero gli artisti che si sono autocensurati, sperando di andare incontro ai gusti del direttore artistico? Chissà, non lo sapremo mai. 

Parlando poi della gara in sé, anche qui abbiamo ben poco da commentare la mattina dopo, considerando che una classifica generale – anche solo parziale – non c’è e non ci sarà ancora fino a sabato sera. In sostanza, ogni sera viene comunicata la top 5 dei brani più votati dalle giurie di quel giorno, ma non ci è dato di sapere chi è primo e chi è quinto, perché non viene fornito l’ordine. Tanto meno sappiamo chi è il ventinovesimo, ovviamente. Forse sarà vero che questo sistema genera meno stress negli artisti, ma sicuramente genera anche molto più piattume, annullando l’emozione di tifare per il proprio preferito, specie se si tratta di un underdog che speriamo di vedere risalire la classifica come un salmone. Perfino il Fantasanremo quest’anno pare un po’ spento, inglobato ormai com’è nel rituale: rimpiangiamo i tempi in cui Michele Bravi si presentava sul palco esclamando «Papalina!» e le zie e le nonne a digiuno di social non capivano il perché. 


Anche dal punto di vista televisivo questa edizione di Sanremo è un po’ la morte civile, diciamocelo. Ridurre i monologhi va bene, evitare che ogni donna che sale sul palco debba recitare una specie di temino delle elementari per portare un messaggio è cosa buona e giusta: lo ha spiegato con i fatti una (lei sì) strepitosa Bianca Balti, che ha ribadito più volte che non voleva essere sul palco in qualità di simbolo dei malati di cancro ma in qualità di grande professionista, e che nonostante ciò – e nonostante per fortuna non abbia dovuto fare un monologo sull’argomento – è stata più volte definita da Conti «una mamma e una guerriera» durante la diretta. Ma a parte il suo sacrosanto caso, eliminare del tutto queste parentesi narrative fa sì che non succeda davvero mai niente. Cosa daremmo, a questo punto della settimana, per una Diletta Leotta qualsiasi che si avvicina alla telecamera per raccontarci che «la bellezza è una cosa che ti capita». Pure gli ospiti sono troppo tranquilli e di buonsenso: sono lì per promuovere film e fiction, e quindi non succede mai niente che sia fuori dal copione, di fatto. Ci manca tanto il Blanco di turno a creare un elemento di rottura: è un autore pazzesco, ma lo preferivamo quando prendeva a calci i fiori con la spontaneità e l’irruenza dei suoi vent’anni. Perfino il Dopofestival, che una volta era una garanzia di dibattito – e non solo: lo ricordiamo come il luogo in cui Toto Cutugno stava per menare in diretta il critico musicale Mario Luzzatto Fegiz – è diventato una specie di salotto educato e composto in cui inserire qualche sketch, farsi i complimenti a vicenda o raggranellare punti per il Fantasanremo. Ai giornalisti viene dato poco spazio, Selvaggia Lucarelli non ha ancora tirato fuori gli artigli (forse perché Fedez e Tony Effe non si sono ancora visti) e Alessandro Cattelan è un ottimo ed empatico padrone di casa, forse anche troppo.

Nonostante ciò, ovviamente siamo comunque tutti incollati allo schermo, come ci confermano i dati dell’Auditel: ieri sera Sanremo ha fatto il 64,5% di share, un nuovo record. Neanche l’Auditel, però, può rivelare alla Rai se fossimo svegli o addormentati sul divano, o i commenti annoiati che ci scambiamo nelle nostre chat di gruppo. La verità è che non bastano delle belle canzoni e un cast rinnovato per attirare un pubblico giovane, perché quelle stesse belle canzoni, se continua così, nei prossimi anni possiamo ascoltarle serenamente su Spotify. La nostra unica speranza è riposta negli artisti: fate qualcosa di inaspettato almeno voi. Avrete la nostra eterna attenzione e gratitudine.