Interviews

A un certo punto si cresce – intervista a Seth Troxler

Articolo di

Damir Ivic

Foto di

Antonio Corallo

Con Seth Troxler, ci si conosce da un mare di tempo. Ma soprattutto: al di là del conoscersi bene o meno, con Seth Troxler è quasi impossibile avere una conversazione noiosa e banale, se proprio non ci si sforza. Questo è il punto più interessante, in un mondo dove sempre più spesso gli artisti quando si relazionano con l’esterno sembrano il comunicato stampa di se stessi o, peggio ancora, si nascondono dietro a tweet o post di banalità disarmanete – e più sono famosi, più si comportano in questo modo. Troxler da anni è stabilmente nella Serie A del clubbing internazionale, uno dei nomi che riempiono i dancefloor, che non possono mancare nei maggiori eventi globali in chiave tech-house, che vedi e vedrai sempre nei party di Ibiza o stile-Ibiza così come in quelli “alla berlinese” (e Troxler proprio a Berlino si è rivelato: lui, ragazzo dei sobborghi di Detroit, che nemmeno ventenne ha afferrato il proprio destino a due mani e ha deciso di trasferirsi a Berlino, dopo essere rimasto folgorato da una data al Panorama Bar berghainiano, in cui era ospite assieme ad altri concittadini all’epoca molto più famosi). Ma sempre da anni, Seth da un lato è il compagnone che non manca mai negli after, e che anche mentre suona è sempre una gran festa di sorrisi e quant’altro, dall’altro è quello con cui ti puoi ritrovare a parlare di Paolo Conte o di musica classica contemporanea norvegese alle sei del mattino mentre tutt’attorno la festa infuria. Una persona dai due volti insomma, che a lungo ha fatto “parlare” in pubblico il volto più festaiolo ma che in realtà possiede interi mondi di consapevolezza dentro di sé. E di tutti gli artisti affermati nel campo del clubbing più mainstream, Troxler è quello con cui più è facile ritrovarsi a parlare di argomenti “alti” e complessi: politica, filosofia, società, arti. E questo in modo mai banale. Recentemente poi si è sposato – in un matrimonio apparentemente improbabile, ovvero con una cantante d’opera svizzera, ma in realtà assolutamente perfetto – e ha spostato la propria residenza prima a Basilea ed ora a Zurigo: non le prime città che vengono in mente quando si parla di “festa” e di “clubbing”. Ma è decisamente in un contesto di “festa” e “clubbing” che lo incontriamo grazie alla collaborazione di Pioneer DJ, partner tecnico del festival, che ha creato le condizioni per farci fare una lunga chiacchierata per Outpump nel backstage del Kappa FuturFestival. Seth ha finito da poco di suonare di fronte a migliaia e migliaia di persone; ma all’idea di farsi una lunga conversazione dove toccare vari temi che non siano solo la musica e l’autocelebrazione di se stesso, come sempre, s’illumina. Così come si diverte ad iniziare il tutto duellando a colpi di scherzosa ironia con l’interlocutore. Avercene, di artisti di successo così. Avercene.

Insomma, sono di fronte ad un rispettabile cittadino svizzero in giro per affari…

Un padre di famiglia, sono diventato! Un rispettabile padre di famiglia. Trattami con deferenza.

Caspita. 

Davvero, eh. Guardami. Che compostezza signorile. Sono di una calma zen, ormai. 

Incredibile. 

Incredibile. L’avresti mai detto, tu che un po’ mi conosci? (ride, ndr)

Mai. Sta succedendo davvero? (risate, ndr)

…scherzi a parte: la vita ti cambia. Tu resti sempre la stessa persona, in fondo; ma nell’arco della vita le circostanze ti portano ad evolverti. A farti ritrovare in nuove situazioni.

Ottimo. Come va con questa nuova vita da padre di famiglia, allora? Padre di famiglia sui generis: visto che questa conversazione la stiamo facendo nel backstage di un festival techno da 30.000 persone al giorno…

Però proprio a questo festival ho portato tutta la famiglia, mia moglie e nostro figlio, e sono contentissimo di averlo fatto. Così come credo che siano contenti anche loro. In generale, guarda che è davvero bello crescere ed evolversi: se continui a fare il matto per tutta la vita, dopo un po’ fai sempre le stesse cose testardamente solo che – guarda un po’ – non ti non ti diverti più, o almeno non ti diverti più come agli inizi. E inizi a diventare una palla al piede malmostosa, mai contenta, che progressivamente si lamenta sempre di più di tutti e di tutto. Sbaglio? 

L’ho visto succedere, sì.

Se invece hai il coraggio di cercare dei cambiamenti nella tua vita, stai sicuro che le nuove esperienze ti fanno diventare davvero una persona migliore: e non c’è cambiamento più profondo del dare vita ad una famiglia. Guarda i fondatori del Kappa FuturFestival, Juni (Vitale, ndr) e Gigi (Mazzoleni, ndr): sono entrambi uomini cresciuti e sistemati, ma questo non impedisce loro di dare vita ad uno dei festival techno più belli nel mondo. Capisci? La cosa fondamentale è affrontare questi passaggi nel momento giusto, quando cioè sei pronto per affrontarli, e nel modo giusto, con consapevolezza e senza mai rinnegare se stessi. Il discrimine è questo. 

Tu infatti a lungo sei stato un gran festaiolo, un po’ l’antitesi del padre di famiglia sano e rispettabile: diciamolo.

Oh sì. E non è un segreto per nessuno che lo sia stato, un gran festaiolo: basta farsi un giro per YouTube o i social.

E quando rivedi sul web il te “festaiolo” di qualche anno fa cosa pensi, oggi?

Penso che era tutto molto figo, e che mi stavo divertendo un sacco: non ho assolutamente nessun rimpianto. Anzi, recentemente alla Winter Music Conference di quest’anno a Miami sono tornato a passare una serata molto, come dire?, allegra, e ad un certo punto ho pensato “Ehi, rieccoci, siamo di nuovo qui!”: alla fine non ti dimentichi mai di come eri, non è che un lato della tua personalità scompaia nel nulla, ogni tanto riappare. Ma lo fa senza provocare nessun rimpianto o nessuna nostalgia, e nemmeno nessun ripensamento: mi piace moltissimo la vita che faccio ora, e sono davvero contento dell’evoluzione artistica e personale che sto percorrendo. Al Kappa FuturFestival infatti sono qua sia come “solito” dj che per presentare il progetto che ho in comune con Phil Moffa, Lost Souls Of Saturn, che è qualcosa di molto più sofisticato e ricercato: sono felicissimo di questa doppia veste. 

Anche perché questa cosa del fare il “solito” dj, che sembra la cosa più divertente ed esaltante del mondo, non sempre è qualcosa di così meraviglioso e soddisfacente.

Ma vedi, sono ormai 23 anni che faccio il dj. Ho iniziato a farlo che ero ancora un ragazzino e, beh, già a 19 anni suonavo al Berghain, al Panorama Bar, per una serie fortunata di coincidenze. Fin dall’inizio ho avuto l’esposizione giusta, ho avuto l’attenzione dei fan, degli addetti al settore, della stampa: tutti mi hanno visto crescere, tutti hanno avuto modo di seguire la mia carriera passo dopo passo, tutti sono stati partecipi dei miei momenti più felici o euforici; ma questo significa anche che tutti possono rendersi conto che ad un certo punto si cresce. E quindi sì, sono cresciuto anche io, come essere umano. Ho quasi quarant’anni, ho una famiglia; ma al tempo stesso penso di poter dire che non ho mai suonato così bene come adesso, da dj. E non penso accada per caso. Ritengo infatti davvero che per un dj il passaggio tra i 30 e i 40 sia il momento in cui raggiungi la perfetta maturità artistica. Questo perché se sei arrivato a questa età riuscendo a restare un dj professionista significa che hai raggiunto un livello che ti permette di essere un nome riconosciuto e, di conseguenza, hai la possibilità di viverti la tua professione e la tua carriera con più serenità, senza l’ansia di dover dimostrare chissà cosa, di farsi largo nel mercato – così come contemporaneamente a quell’età lì sei ancora abbastanza giovane da non dover ribadire quanto tu riesca comunque ad essere al passo con la contemporaneità (quella è una fase che arriva dopo). La fase iniziale, quella degli esordi, è quella in cui sei inevitabilmente divorato dall’ansia di affermarti, di far vedere quanto sei bravo, quanto meriti più spazio. Il che è ottimo, sia chiaro: è in questi momenti che costruisci la tua identità artistica più forte ed interessante, quella che ti fa spiccare. Ma superato questo momento, se sei pigro intellettualmente puoi vivere di rendita e suonare solo i grandi successi, i “dischi sicuri”, ma se non lo sei allora accidenti sappi che sei nel momento migliore della tua vita artistica, e devi approfittarne: puoi iniziare a lavorare di cesello. Hai uno status, la gente si fida, ti ascolta, ti segue: è lì che puoi permetterti di alternare le hit con scelte invece più complesse, più atipiche, più “personali” e quindi interessanti. Queste scelte se le metti in campo quando hai vent’anni spesso non sono perfette: perché manchi ancora di esperienza, finisci con lo strafare, col fare il fenomeno. Se le metti in campo fra i trenta e i quaranta, di solito hai raggiunto una maturità artistica tale per saperle sviluppare ed utilizzare al meglio. Se ci pensi, anche nello sport è così: i primi anni fai vedere di essere una forza della natura, dai lampi immensi del tuo talento, ma è solo dopo un po’ di anni che diventi l’uomo che davvero fa vincere la squadra, che davvero fa la differenza per portare a casa i trofei. Però ci tengo a sottolineare una cosa…

Vai. 

Questa fase di maturità non deve diventare uno “sfoggio di intelligenza”. Soprattutto se fai il dj, sì. Guarda, penso che questo principio sia ancora più valida ora che abbiamo vissuto l’esperienza della pandemia: la gente vuole tornare a divertirsi. Se va a sentire un dj, più che pensare di “acculturarsi”, più che avere davanti un tizio che pretende di spiegare cosa sia la “buona” musica e quale quella “cattiva”, vuole prima di tutto divertirsi, vuole stare bene. E da dj, è mio compito far avverare questa cosa: questo è il motivo per cui le persone sono qui davanti a me, ed hanno pagato un biglietto per esserci. Tirarsela, fare quello che pretende di insegnare le cose e che pensa di stabilire cosa sia buona musica e cosa no facendo cadere le proprie opinioni dell’alto e disprezzando eventuali reazioni avverse, beh, per me è da sfigati. Anche se apparentemente è il contrario, no? Perché apparentemente, il fatto di fare onestamente il proprio lavoro è da sfigati, mentre se ti metti con supponenza a fare da professorino è invece una cosa da grande artista, da artista veramente valido, giusto? Mah. Siamo sicuri che le cose stiano davvero così? Siamo sicuri che trattare le persone da stupide, da gente sempliciotta che deve essere rieducata dalla “grande mente”, sia il massimo della qualità in un artista, in un performer?

In effetti tu sei sempre stato una strana via di mezzo, in questo: bravo sei bravo, nessuno ti ha mai detto nulla, ma se all’inizio eri adottato da tutta l’intellighenzia legata alla club culture…

…dopo sono diventato quello “commerciale”: lo so, lo so. Ma fra i “commerciali”, se ci pensi, io comunque sono quello strambo. 

Strambo magari no, ma…

Ma io sono strambo. Guardami!

In effetti c’hai ‘sto cappellino da baseball con sopra il logo di Jurassic Park che normale normale non è. (risate, ndr)

Io sono come lo zio un po’ matto che ogni tanto viene a farti visita. Quello che fa simpatia. Un po’ grassottello, che entra di botto in casa salutando rumorosamente e scompostamente, e chiede subito dove stanno le birre in frigo… Hai presente? (altra risate, ndr)

A questo punto però te lo chiedo, adesso che sei cittadino svizzero e comunque dopo tutti questi anni passati in Europa, tra Berlino, Londra e quant’altro: sei uno zio matto americano, o uno zio matto europeo?

Questa è una buona domanda. 

Ha bisogno di una buona risposta. 

Sì, abito da molti anni in Europa, vero, ma resto sempre il solito fessacchiotto di Detroit.

Manco di Detroit, eh. Non mi freghi: tu sei di Kalamazoo. Che è vicino a Detroit, ma… 

Non dirlo a nessuno! (risate, ndr)

Scherzi a parte: Detroit è stata la culla della musica e della cultura techno. Pensi che tornerà prima o poi a essere una città leader in tal senso?

Io sono sinceramente convinto che Detroit tornerà ad essere una città molto, molto rilevante. Perché ha il futuro scritto nel suo DNA. Da sempre. Che lei lo voglia o meno. Se ci pensi, è una città che si affaccia su grandissimi laghi: e considerando quanto l’acqua diventerà un bene prezioso negli anni a venire, visti i cambiamenti climatici a cui stiamo andando incontro, inevitabile che questa diventerà una posizione di grandissimo privilegio. Venendo alla musica, trovo che dopo anni di stasi ultimamente sia tornata ad esserci molta energia, molta dinamicità nella scena cittadina. Questo ha portato anche a rivalutare il lavoro di molti pionieri che a lungo invece erano caduti nel dimenticatoio, nell’irrilevanza; un destino a cui io sono sfuggito molto probabilmente perché ho avuto il coraggio e l’incoscienza di trasferirmi in Europa da giovanissimo, trovando così il contesto ideale per valorizzare le mie qualità. Una cosa che però non è mai mancata, nel panorama dei dj di Detroit, è il talento. 

Se ti chiedo un nome?

Al Lester. Che a sua volta è un allievo di Ken Collier – e se un minimo conosci la storia musicale di Detroit in fatto di dj, sai che Ken Collier era il “nostro” Larry Levan, un caposcuola assoluto. Al è qualità pura. Se uno vuole sentire l’espressione della cultura detroitiana del djing al suo massimo, deve sentire un dj set di Al. Lui è un maestro.

Photo: Dan Reid

Ad ogni modo, un maestro ormai lo sei anche tu. Per quanto sotto forma di zio matto, come si diceva prima, e non per forza nel circolo dei “saputi”. Però ecco, ormai hai un carisma ed un autorevolezza innegabili. Non pensi quindi sia il momento anche di dare vita ad una label discografica seria?

È curioso che me lo chiedi, perché è esattamente quello che sto per fare. 

Vedi. Che poi, non sarebbe la prima volta…

No, e se è per questo ad oggi con le etichette discografiche c’ho sempre perso dei soldi, diciamola tutta; sono però sempre state cose fatte assieme a qualcun altro, ad amici, a colleghi. Pensa a Visionquest. O anche a Tuskegee, la label creata assieme ai Martinez Brothers, che in realtà ora vogliamo anche rilanciare, e lo vogliamo fare non chiamando a bordo nomi già conosciuti ma cercando talenti ancora sconosciuti. Però sì, sto per dare vita alla mia prima etichetta in cui il responsabile sono io al 100%. Si chiamerà Slacker 85 (in italiano “pigro”, o “fancazzista”, ndr). 

Come mai il nome?

Un omaggio agli anni ’90.

Ecco, lo sospettavo. 

Un po’ perché io in fondo sono musicalmente parlando un figlio degli anni ’90; un po’ perché di quel decennio amo l’estetica dell’anti-eroe, del “loser” cantato da Beck, del mondo grunge così come lo descrivevano i Nirvana e molti altri. Oggi sembra più importante indossare Rolex e gioielli e ostentare uno stile di vita da vincente, così come il dimostrare di essere al passo con gli ultimi trend, ma il posto dove mi sento “a casa” sta nella direzione esattamente opposta. Non me ne frega nulla di essere figo, di essere hipster. Consideratemi pure uno sfigato fuori tempo. Consideratemi pure un potenziale perdente, per quanto poco “calcolate” e “di moda” sono e sempre più saranno le cose che faccio. 

Non dai proprio l’idea di essere un perdente.

Ma resto una persona sincera.

Sincerità per sincerità, ti è mai capitato di avere dei momenti in cui ti sei ritrovato un po’ stufo di tutto il circo del clubbing?

Assolutamente sì. 

Ecco. 

Poi però, in rapida successione, prima è arrivata la pandemia e poi sono diventato padre: lì è diventato tutto chiaro. 

Spiega meglio. 

È inevitabile che arrivi a momenti della tua carriera, quando le cose ti stanno andando bene, in cui comunque inizi ad essere stufo, annoiato, in cui tutto piano piano diventa routine, anche il successo, anche l’euforia. Ma questa è una dinamica emotiva che sta tutta nella tua testa; quando poi arriva la realtà a darti uno choc positivo o negativo che sia, sai cosa? Tutta una serie di seghe mentali improvvisamente scompaiono! Quando arriva un figlio, ad esempio, improvvisamente tu diventi il numero tre: la persona più importante per te non sei più te stesso, no, arrivi dopo tuo figlio, arrivo anche dietro a sua madre – che è la tua compagna. Rimetti insomma le cose in una dimensione completamente diversa. E smetti di essere prigioniero delle tue noie e paranoie che ti sei costruito da solo, e che hai autoalimentato. Se a questi aggiungi il fatto che grazie alla pandemia abbiamo tutti capito quanto in realtà sia importante per le persone uscire, ballare, divertirsi, e quanto un dj sia importante nel facilitare tutto questo, allora rivaluti completamente il tuo ruolo e lo rimetti nella giusta prospettiva. Come dicevo prima: il mio primo compito è far ballare le persone, farle stare bene. Poi ora ho anche l’esperienza per tentare di farlo in maniera meno facile, meno scontata; ma non devo cadere nell’errore di mettermi ad insegnare alla gente quale sia la musica intelligente e quale no, condannandola se non mi capiscono. In una frase: non devo fare l’errore di credermi figo. E non credo che lo farò.