Negli ultimi due decenni del secolo scorso, a Londra, un contesto quanto mai fertile favorisce l’ennesima fiammata del punk negli ambienti della moda, musicali e artistici più in generale; il fermento caratterizza soprattutto i club della capitale, centri propulsori di un’estetica eccessiva, variopinta, ispirata a quella di personalità come Boy George o Leigh Bowery, e che trova espressione, ad esempio, nelle creazioni anticonformiste di Judy Blame. A raccontare tutto questo sono nuovi magazine dal taglio underground quali i-D o The Face.
Di lì a breve sarebbe poi sopraggiunta la Cool Britannia, egemonizzata a livello stilistico da John Galliano e Alexander McQueen, designer geniali e dissacranti in egual misura, entrambi usciti dalla prestigiosa Central Saint Martins, considerata la migliore fashion school del mondo.
Una simile attitudine trasgressiva, poliedrica, votata allo spirito Do It Yourself viene convogliata, nei primi anni Novanta, da tre amici – Philip “Phil” Bueno de Mesquita, Nikos Nicholau, Louisa Bryan, rispettivamente fondatore e figura di punta del progetto, creative director e responsabile del lato business – in uno store chiamato Acupuncture, stipato di abbigliamento second-hand di brand spiccatamente punk (Vivienne Westwood su tutti), sneakers vintage e altri cimeli della prima ondata del movimento.
Attorno al minuscolo spazio di Soho, circondato da locali a luci rosse, iniziano a gravitare bohémien, creativi e outsider di ogni sorta, provenienti perlopiù dalla vicina zona di Shoreditch. A quei tempi i due quartieri non erano certamente interessati dalla gentrificazione come ai giorni nostri e, in particolar modo il secondo, godevano di una fama tutt’altro che lusinghiera, presentandosi come un crocevia di etnie e gruppi sociali, tra sexy shop, locali gay, nightclub e negozietti a buon mercato.
Andando oltre la semplice vendita di capi e accessori usati, l’attenzione del trio si concentra rapidamente sulle trainers realizzate ex novo, il cui minimo comune denominatore è rappresentato dalla presenza di una A inscritta nel cerchio, simbolo anarchico adottato in quanto espressione di una visione ribelle, multiforme e irriverente.
Il primo paio, dalla punta stondata, adornato della lettera cerchiata appena descritta, vende cinquemila pezzi tra Regno Unito e Giappone. Seguiranno poi numerose variazioni sul tema della sneaker, accomunate da dettagli fortemente riconoscibili e dal gusto per certi versi dissacrante, in bilico tra logomania e provocazione, com’è evidente scorrendo i nomi affibbiati a ciascuna (“Bellend”, “Roach”, “Mr Blunder”, “Dry Lab” e così via): si alternano così colorway vitaminiche, chiusure asimmetriche, strap incrociati, dettagli riflettenti, suole dalle dimensioni XXL; e ancora, rilievi a mo’ di borchie a contornare la silhouette, oppure disegni di orsetti “svestiti”, scheletri, tag e altri ghirigori.
Tra i modelli lanciati allora compare anche una low-top, la cui superficie glossy e la combinazione di cromie nei toni del rosa, rosso e burgundy ricordano piuttosto da vicino la Bapesta di BAPE, divenuta rapidamente un bestseller dell’etichetta di Nigo.
Sono ad alto tasso di sfrontatezza anche le campagne pubblicitarie di Acupuncture, una delle quali finisce perfino con l’irritare il Crown Prosecution Service, mentre le Mr Blunder, ai piedi di un (involontario) testimonial d’eccezione quale Robbie Williams, compaiono addirittura in un articolo del The Sun, il tabloid inglese in assoluto più popolare e controverso, dedicato appunto all’ex frontman dei Take That; una pubblicità all’apparenza equivoca, eppure cavalcata con entusiasmo dal brand, che dimostra di saper maneggiare egregiamente l’attenzione dei media.
L’elenco dei retailer del periodo certifica la bontà del progetto: scorrendolo, infatti, saltano all’occhio, oltre alle insegne specializzate nel footwear – Office, Soletrader, Offspring – due templi dello shopping d’oltremanica come Harrods e Selfridges.
In parallelo, Acupuncture si pone come un collettore delle energie e istanze che attraversano all’epoca la società londinese, supportando band punk emergenti come The Flying Medallions o The All New Accelerators, organizzando serate, ospitando iniziative artistiche eterogenee.
Se nel corso degli anni Zero le scarpe del marchio continuano ad affascinare i consumatori più giovani, specie quelli giapponesi e di altri paesi orientali, che non disdegnano di mettersi in mostra sfoggiando ginniche dall’appeal grintoso, arricchite dai già citati motivi grafici (dai teddy bear alle scritte insolenti), a partire dal 2019 l’offerta viene ampliata, così da proporre un total look affine al Dna punk della label.
La parte creativa si sposta a Milano, affidata a un collettivo di giovani designer che recupera i capisaldi dell’identità visiva di Acupuncture: tornano così in primo piano la circle A, gli orsacchiotti, il tartan multicolore su base rossa, le trame intricate di segni e illustrazioni mutuate da vecchi flyer e album musicali, che costellano una serie di staple dell’abbigliamento streetwear quali tee, maglie long sleeve, tute, felpe con cappuccio e pantaloni morbidi, ricorrenti ora sotto forma di patch decorative, ora come pattern riprodotti sull’intera superficie del capo. Non mancano poi articoli più vicini alla tradizione casual come overshirt dal doppio taschino, pullover stampati, trucker jacket, pantaloni check con la piega centrale e cinquetasche in denim scuro.
Rimangono in primo piano, ovviamente, le calzature, ideale completamento degli outfit firmati Acupuncture, contraddistinte come questi ultimi da note bold: le sneakers, realizzate in un patchwork di materiali tecnici e naturali, esibiscono unità d’aria e linee affilate che debordano dalla tomaia, mentre per quanto riguarda le stringate e i combat boots, in pelle spazzolata e marchiati dall’immancabile A cerchiata, a colpire sono la para carrarmato scanalata e il puntale a contrasto in gomma.
Un ritorno in linea con quei codici “rivoluzionari” che sono parte integrante dell’heritage di Acupuncture, a conferma di quanto possa risultare ancora attuale una moda libera da vincoli e preconcetti di sorta, che assecondi il più possibile la personalità di ciascuno.