Fin dai primi leaks apparsi online, tutti sapevamo che la release delle Air Jordan 1 Hi x Trophy Room avrebbe fatto discutere. Allo stato attuale dello sneaker game l’utilizzo di una Air Jordan 1 Hi per una release estremamente limitata genera una miscela esplosiva che, inevitabilmente, può portare solo grandi problemi.
Nel maggio 2020, nel pieno della pandemia, Marcus Jordan partecipò a una puntata del Complex Sneakers Podcast in cui, tra i diversi argomenti proposti dagli host Joe La Puma, Brendan Dunne e Matthew Welty, si trovò anche a discutere delle particolari dinamiche presenti quando con il suo negozio si trova a dover collaborare con l’azienda del padre. Commentando il successo delle Trophy Room x Air Jordan 5, Marcus raccontò come l’unico limite posto da MJ per le collaborazioni del figlio fosse riguardo l’utilizzo di uno dei suoi modelli preferiti (1, 3, 11) lasciando, però, intendere che un nuovo progetto fosse vicino.
Da questo piccolo dettaglio iniziarono insistenti i rumors, “confermati” da alcuni leaks del calendario release Air Jordan e da diversi mock up apparsi su Instagram di una possibile Trophy Room x Air Jordan 1 “Chicago”.
Con il passare dei mesi le informazioni delle “gole profonde” diventarono sempre più dettagliate trovando conferme durante il mese di gennaio, quando le Trophy Room x Air Jordan 1 fecero la loro apparizione ufficiale ai piedi di Luka Dončić prima della partita dei suoi Dallas Mavericks contro i Toronto Raptors del 19 gennaio 2021.
Nei giorni successivi il negozio di Orlando confermava che la sua prossima collaborazione con il Jumpman sarebbe stata la Trophy Room x Air Jordan 1 “Frozen Out”, ideata per ricordare il celebre episodio dell’“ostracismo” del giovane MJ durante l’NBA All Star Game del 1985, passato alla storia, appunto, come “Freezing Out”. Trophy Room fissa così la data di release per il 10 febbraio e comunica ufficialmente le modalità di release: pochissime paia destinate a SNKRS app (circa duecento in accesso esclusivo, secondo Jacques Slade) e un sistema di raffle con registrazione via mail, il tutto in esclusiva per gli Stati Uniti per un totale di dodicimila paia.
Arrivano, a questo punto, le prime lamentele (più o meno giustificate) da parte del pubblico, che non approva il numero esiguo di paia prodotte e il metodo scelto per la vendita, nonostante le circostanze lo rendano quasi obbligatorio.
È proprio in questo momento, nei primi giorni di febbraio, che iniziano ad apparire su Instagram e Twitter diverse foto di celebri reseller statunitensi mentre posano con centinaia di paia di Trophy Room x Air Jordan 1. Sui social monta la rabbia e il terreno è fertile per la dietrologia: sembra chiaro che la raffle organizzata da Trophy Room sia soltanto una montatura e che il negozio abbia venduto in backdoor ai reseller gran parte dello stock disponibile. In tutto questo l’accusato principale non è un negoziante qualunque ma il figlio di Michael Jordan, rendendo il tutto decisamente più complicato. Ovviamente nulla esclude che alcune, se non molte, delle paia finite in mano ai reseller statunitensi possano essere fake, come sostenuto da qualcuno online. Questa è un’ipotesi da prendere sicuramente in considerazione: non sarebbe certo la prima volta in cui repliche di altissima qualità vengano spacciate per early pairs reperiti con i metodi più fantasiosi.
COSA SAPPIAMO REALMENTE?
Brendan Dunne di Complex ha svolto un ottimo lavoro raccogliendo tutte le informazioni disponibili riguardo questa spinosa situazione e pubblicando per il media newyorkese una dettagliata “inchiesta” ricca di informazioni di prima mano raccolte grazie a diverse fonti anonime interne all’industria delle sneakers.
Al momento della prima apparizione sui social delle Trophy Room x Air Jordan 1, nel dicembre 2020, Marcus Jordan commentò su Twitter divertito che, mentre le sneakers erano già in mano a noti reseller, lui non aveva ancora ricevuto conferma della spedizione dalle fabbriche, confermando addirittura di non essere a conoscenza del fatto che le sneakers fossero arrivate negli Stati Uniti. Jordan aggiunse che, secondo lui, i responsabili fossero da individuare tra alcuni nomi noti dell’area di Memphis, dove ha sede il più grande centro di smistamento Nike negli USA, già finito in precedenza al centro di diverse storie di furti e sparizioni. A conferma della tesi di Marcus Jordan ci sarebbe un post di @dasouthmemphian, aka Lawrence Harwell, reseller di Memphis che per primo ha mostrato su Instagram un video delle Trophy Room x Air Jordan 1 il 4 dicembre. Negli ultimi anni Harwell ha mostrato spesso sul suo profilo importanti release Nike in anticipo sul calendario delle release e, addirittura, alcuni progetti cancellati dallo Swoosh e mai rilasciati come le Nike SB Dunk Low “7/11”.
Le diverse fonti contattate da Dunne hanno confermato al giornalista di Complex che Trophy Room avrebbe venduto buona parte delle Air Jordan 1 disponibili in negozio a una serie di reseller a una cifra media di $1.000, arrivando anche a dichiarare che l’acquisto fosse possibile in lotto e che i prezzi variavano da $850 al paio per gli acquirenti già conosciuti e a $1.200 per i “nuovi arrivati”. Qualcuno si è spinto addirittura a mostrare a Dunne ricevute di spedizione provenienti da Orlando, dove Trophy Room ha sede, lasciando così intendere come le paia vendute dai vari reseller provenissero direttamente dallo stock del negozio.
I grossi problemi riscontrati da chi ha provato a iscriversi alla raffle di Trophy Room non hanno di certo contribuito a migliorare l’umore di chi già da tempo sentiva puzza di bruciato, spingendo molti a sospettare che la presenza online delle sneakers fosse una farsa. Pochi minuti dopo l’apertura delle iscrizioni, le mail inviate da chi tentava la sorte hanno iniziato a essere respinte dal provider utilizzato da Trophy Room. La stessa situazione si è ripetuta una volta risolto il problema tecnico, con il risultato che soltanto poche decine di migliaia di utenti hanno avuto la possibilità di iscriversi alla lotteria che assegnava le poche paia disponibili.
Al momento le Trophy Room x Air Jordan 1 sono disponibili sul mercato secondario a un prezzo che varia dai $3.500 ai $4.000, prezzo che secondo molti è destinato a salire nei prossimi mesi.
“If it ain’t got a blue lace, they didn’t come from us”
Marcus Jordan
Contattato da Complex nei giorni scorsi, Marcus Jordan ha confermato come le moltissime paia apparse online in mano ai reseller siano dei fake o risultato di un furto dallo stock presente nel magazzino Nike di Memphis. Per confermare la sua tesi ha dichiarato che l’elemento per distinguere le Trophy Room x Air Jordan 1 transitate in maniera legittima dal negozio è la presenza di un laccio blu, inizialmente non previsto nei sample definitivi e aggiunto all’ultimo momento. A riprova di questo fatto, il laccio blu è mancante nelle paia promozionali spedite direttamente da Nike ai vari personaggi legati a Jordan Brand (tra gli altri Jason Tatum, Luka Dončić e DJ Khaled), ma è invece presente sul paio utilizzato per gli scatti di Trophy Room e sul paio indossato da Marcus Jordan nelle foto promozionali.
Una dinamica simile è capitata con la prima release delle Sacai x Nike LDWaffle, con la data di release inizialmente prevista da Nike che slittò di qualche settimana per permettere l’aggiunta di un laccio addizionale nero, non incluso in tutti gli early pairs distribuiti da Nike durante la Paris Fashion Week e in quelli ottenuti dai reseller europei e statunitensi.
Basta la tesi del laccio blu a scagionare Marcus Jordan? Secondo logica potrebbe, ma sono in molti a sostenere che il figlio di MJ potrebbe aver mandato in produzione e aggiunto alle paia rimaste l’ormai celebre laccio blu per provare a salvarsi la faccia. Ovviamente questa è una timeline un po’ complessa, ma è difficile sapere con certezza a chi dare ragione.
SAPREMO MAI COSA È REALMENTE SUCCESSO NEL DETTAGLIO TRA AIR JORDAN, TROPHY ROOM E I RESELLER?
Personalmente penso di no. A mio parere la tesi più plausibile è che le moltissime paia arrivate in mano ai reseller statunitensi provengano dal magazzino Nike di Memphis o siano state sottratte durante il trasporto, come successo in passato in casi omologhi. In passato Trophy Room è finito numerose volte al centro di rumorose polemiche riguardo il backdoor e modalità di release sospette, ovviamente mai confermate. Questo non toglie che possa essere successo qualcosa, ma l’enorme esposizione di Marcus Jordan, il coinvolgimento diretto di suo padre e di Air Jordan, e il numero bassissimo di paia prodotte rendono improbabile che possa essere il fondatore di Trophy Room il contatto diretto che ha fornito le scarpe ai diversi reseller. Anche nel caso in cui indagini interne dovessero evidenziare che Nike, Air Jordan e Trophy Room siano state vittime di un sistema atto a sottrarre paia di sneakers finite in mano a dei reseller non credo che lo Swoosh avrebbe alcun interesse a rendere la cosa pubblica: il danno d’immagine conseguente a una falla nel sistema di approvvigionamento dello stock non vale la possibilità di avere la coscienza pulita di fronte agli sneakerhead.
NIKE PRENDERÀ PROVVEDIMENTI A RIGUARDO?
Assolutamente. Qualunque dovesse essere l’esito finale di questa vicenda ci saranno delle conseguenze. L’esposizione del caso “Trophy Room” ha toccato un nervo scoperto di Nike che, seppur lontano dai riflettori e dai social, da anni cerca di rendere i meccanismi con cui produce, spedisce e vende le sue sneakers impermeabile a possibili interventi esterni che possano minarne la legittimità agli occhi del consumatore finale. In ogni caso, è inutile aspettarsi una sorta di “resa dei conti” pubblica.
ESISTE UNO SCENARIO IN CUI IL BACKDOOR DA PARTE DI UN NEGOZIO POSSA ESSERE GIUSTIFICATO?
Anche in questo caso, penso di no. Tralasciando il caso specifico di una collaborazione personale in cui si è trovato Trophy Room, nel momento in cui un negozio acquista delle sneakers da un brand sottoscrive un contratto che ha come finalità la distribuzione al cliente finale. Indipendentemente dalle enormi possibilità di guadagno ed evitando di discutere di legalità e tracciamento dei guadagni, il backdoor è una pratica scorretta e in nessun caso è giustificabile. Purtroppo dinamiche di questo tipo sono all’ordine del giorno, decisamente meno evidenti e meno criticate se attuate su sneakers prodotte su larga scala in cui qualche centinaio di paia “sparite” rappresenta una percentuale minima dello stock totale.