Kitsch, frivolo, infantile ma anche rivoluzionario, geniale e seducente. Sono tanti gli aggettivi che negli anni sono stati affiancati al nome di Jeff Koons ma, per quanto si possa rimanere ore a dibattere sul suo controverso modo di fare arte, rimane indiscutibilmente uno degli artisti più celebri dell’epoca contemporanea. Tanto odiato quanto apprezzato, Koons è stato infatti in grado di elevare a opera d’arte la cultura di massa e lo stile di vita americano: così, in un mix tra Andy Warhol e i famosi ready-made di Duchamp, le creazioni dell’artista hanno raggiunto un nuovo status pop.
Quelle che a primo impatto risultano semplici sculture sovradimensionate e luccicanti, però, nascondono anche analisi sociali e filosofiche più profonde capaci di unire l’alta cultura a riferimenti popolari “bassi”. Dallo studio del rapporto tra arte e spettatore e della durabilità delle opere stesse, all’approfondimento delle connotazioni emotive e psicologiche che gli oggetti più comuni hanno assimilato nel tempo, la creatività di Koons è molto più complessa e intima di quello che sembra.
Mi piace pensare che i miei lavori siano un’espansione delle possibilità dello spettatore. Quando si vive una situazione di eccitamento fisico o una stimolazione intellettuale, si prova questo senso di espansione. Perché è lì che accade l’arte, dentro lo spettatore.
Jeff Koons
In onore dei suoi più di quarant’anni di carriera, tutto il percorso di Koons è stato esaminato dai curatori Arturo Galansino e Joachim Pissarro per dare vita a “Shine”, la prima grande retrospettiva italiana dedicata all’artista. Inaugurata il 2 ottobre a Palazzo Strozzi a Firenze, tutta la mostra, come si deduce dal titolo, ruota attorno al tema della lucentezza, da sempre la caratteristica più affascinante e attraente delle opere di Koons. Fin dagli inizi, egli ha fatto dei materiali brillanti e riflettenti il suo segno distintivo, sfruttando il potere di un fenomeno estetico che cattura e affascina lo spettatore ma allo stesso tempo distorce la realtà. Le opere più celebri dell’artista, infatti, sono proprio quelle realizzate in acciaio inossidabile – un materiale di origine industriale tradizionalmente utilizzato per realizzare pentole e padelle – lucido e coloratissimo che trasforma oggetti comuni come palloncini e miniature in sculture glamour e patinate. L’incredibile cura per il dettaglio e il realismo di queste opere, realizzate da un team di più di 100 persone e da fonderie specializzate, sono due elementi che inevitabilmente sbalordiscono e ipnotizzano lo spettatore, il quale, riflettendosi sulla superficie, si chiede come sia possibile che l’aragosta gonfiabile o Hulk siano costruiti in metallo.
Per celebrare la mostra, abbiamo deciso di raccogliere alcune curiosità sull’artista che dimostrano perfettamente quanto l’estetica e il lavoro di Koons abbiano influenzato il mondo dell’arte e la cultura contemporanea in generale.
L’artista vivente “più costoso”
Nel 1986, Jeff Koons iniziò a lavorare alla serie intitolata “Statuary”, considerata la sua “visione panoramica della società”. Tra le dieci sculture di stili differenti realizzate, una in particolare è riuscita a diventare la più rappresentativa dell’artista: il coniglietto-palloncino “Rabbit”. Il mondo leggero e superficiale dei gonfiabili era già stato introdotto alcuni anni prima (nel 1979 con la serie “Inflatables”) ma per la prima volta la matericità e i volumi del vinile vennero resi con l’acciaio inossidabile. Il coniglietto argentato senza volto colpì il pubblico per i particolari iper-realistici ma anche per il senso di innocenza e minaccia che era in grado di suscitare: la sua iconicità è diventata tale che, nel 2019, uno dei tre esemplari esistenti è stato venduto da Christie’s per la cifra totale di 91.1 milioni di dollari, diventando l’opera più costosa di un artista vivente.
Il “Balloon Dog” di Jay-Z e la collaborazione con Lady Gaga
La passione di Jay-Z per l’arte è relativamente nota al pubblico, basti pensare al video di “APESHIT” girato al Louvre o alle strofe della canzone “Picasso Baby”, ma questo interesse raggiunse un livello inaspettato quando, nel 2017, il palco del V Festival venne allestito con una versione XXL del “Balloon Dog” di Koons. Per la prima performance live dell’album “4:44”, infatti, il rapper decise di assoldare l’artista americano per realizzare una versione in nylon arancione e alta 12 metri del famosissimo cagnolino di palloncini.
Le collaborazioni con artisti musicali non erano però una novità per Koons il quale, nel 2013, aveva lavorato a stretto contatto con Lady Gaga per il photoshoot del suo album “Artpop”.
Con la copertina dell’album, ho voluto trasformare Gaga in una scultura con una gazing ball che diventa il simbolo di tutto. La possibilità di poter vedere il proprio riflesso, poi, afferma la propria esistenza e da questo, inizi a volerne sempre di più.
Jeff Koons
Nel 2013, l’artista americano aveva presentato una serie di lavori, intitolata “Gazing Balls”, nei quali statue classiche e quadri-capolavoro dell’arte occidentale (come “Primavera” di Botticelli e “Il Bacio” di Klimt) venivano riproposti con l’aggiunta di una particolare sfera in vetro soffiato e alluminio riflettente blu elettrico. L’obiettivo era quello di invitare il pubblico a partecipare alle opere, affermando la sua presenza e facendolo viaggiare nel tempo grazie al potere del riflesso.
Protagonista della collaborazione con Lady Gaga è proprio una “edizione speciale” di questa serie: una statua completamente bianca della cantante che tiene fra le gambe una delle “gazing balls” di Koons, utilizzata per la copertina del cd. La palla specchiata diventò la protagonista di tutta l’era “Artpop” poiché, oltre ad apparire nel booklet dell’album, durante il tour omonimo uno dei costumi indossati da Gaga era decorato con una mezza sfera blu.
Koons e la moda, tra Louis Vuitton e H&M
Tra i tanti progetti e collaborazioni intrapresi (da B&W a Dom Perignon), Koons non si è fatto scappare nemmeno l’occasione di lasciare il segno nel panorama fashion.
Nel 2013 per esempio, in occasione della mostra al Whitney Museum of American Art a lui dedicata e del lancio del nuovo store H&M sulla Fifth Avenue a New York, “l’artista del popolo” venne incaricato di addobbare la vetrina del negozio con una gigantesca stampa dell’iconico “Balloon Dog” (questa volta in giallo), riproposta anche su una handbag in edizione limitata.
Gli artisti sono capaci di trascendere e raggiungere un livello più alto ma noi possiamo farlo ogni giorno. Spero che le borse diventino un simbolo di umanismo, della gioia della comunità e della vita sociale
Jeff Koons
La collaborazione che valse a Koons il titolo definitivo di “Re del Kitsch” è però quella con Louis Vuitton, iniziata nel 2017 e poi proseguita per due stagioni. Per il progetto “Masters”, l’artista rielaborò alcune delle borse più famose del marchio francese, come il bauletto “Speedy” e la shopping “Neverfull”, decorandole con un monogram in metallo e, soprattutto, la riproduzione di celebri dipinti come la “Gioconda” di Da Vinci e le “Ninfee” di Monet. Non sapremo mai quale fosse l’obiettivo del brand ma sicuramente sul piano del marketing si rivelò vincente: il pubblicò andò su tutte le furie, le critiche furono infinite e la collezione venne definita eccessiva, pacchiana e addirittura oltraggiosa nei confronti dei grandi pittori coinvolti.
Nike diventa arte
Tra le serie meno conosciute (ma comunque affascinanti) di Jeff Koons quella intitolata “Equilibrium” del 1983 risulta oggi particolarmente curiosa per l’inaspettato coinvolgimento di un brand come Nike. Come detto in precedenza, l’arte di Koons è sempre stata incentrata sull’analisi di elementi estremamente comuni e quotidiani sia per muovere critiche sociali – per esempio riguardo a consumismo e alcolismo – sia per rivalutare quello che è il loro ruolo e impatto nella società: in questa inusuale serie a essere messo sotto esame è il mondo dello sport.
Tra palle da basket sospesi in taniche d’acqua (realizzate grazie all’aiuto del fisico premio nobel Richard Feynman), riproduzioni in bronzo di Molten e Wilson ed esposizioni di palloni sportivi nei loro packaging originali, Koons decise di incorniciare anche quindici poster commerciali del marchio di Beaverton. In particolare, la campagna pubblicitaria scelta era composta dai ritratti di alcuni cestisti della rosa di Nike (Moses Malone e Darrell Griffith per citarne due) in pose ispirate ai loro soprannomi e alla loro reputazione. L’artista decise di acquistare i diritti delle fotografie scattate da Chuck Kuhn per cessare la loro replica e di incorniciare i volti dei giocatori. In questo modo, Koons voleva commentare l’attitudine illusoria e “ingannevole” di Nike, che trasformava gli atleti in prodotti da idolatrare o emulare, ma anche il sistema americano che aveva costretto la comunità afroamericana a sfruttare il basket come unica via per l’emancipazione e l’uscita dalla povertà.
Le chiavi di lettura delle opere di Koons sono infinite quasi quanto le immagini che si riflettono sulla loro superficie ma, nonostante i giudizi dei critici, il fascino illusorio e divertente della sua arte è imperdibile: non fatevi scappare la possibilità di sperimentarlo dal vivo fino al 30 gennaio 2022.