È già passato più di un anno da quando Albert Guðmundsson si è stabilito a Genova, acquisendo giorno dopo giorno sempre più confidenza con la città ligure e soprattutto con la tifoseria di fede rossoblù: il calciatore islandese è sbarcato in Italia un po’ all’improvviso, spinto da quel genere di trattative di mercato che nascono e si concludono nel giro di poche ore. Dell’Italia Guðmundsson sapeva poco e, a differenza di molti suoi compagni di squadra, ha scelto, con la sua famiglia, di vivere maggiormente la città e di frequentare i suoi vicoli più nascosti avendo così anche la possibilità di instaurare preziose relazioni umane che hanno contribuito a velocizzare il suo ambientamento. Ed è proprio la strada la location scelta per ritrarre il nuovo idolo dei supporters genoani, immortalato tra i palazzi o mentre mangia un piatto di pasta al pesto in uno storico locale genovese indossando alcune celebri casacche storiche del Grifone. Noi lo abbiamo intervistato per parlare di tutto tranne che di calcio: della sua carriera professionale vissuta tra Islanda, Olanda e Italia; dei suoi riferimenti nel campo della moda; della sua filosofia di vita fino al mondo virtuale.

Iniziamo subito dallo shooting, tra l’altro non il primo in cui ti sei prestato: ti trovi a tuo agio in questo ruolo? Peraltro ti sei detto fin da subito molto interessato a usare le maglie da calcio storiche che sono state le protagoniste assolute degli scatti?
Diciamo che mi piace pensare a cosa vestire e di conseguenza essere fotografato mi diverte: ho deciso di portare con me degli item molto classici come blue jeans e altra roba veramente semplice da poter essere abbinata con le maglie. Le jersey (in questo caso Albert fa riferimento precisamente alla away prevalentemente bianca della stagione 1991/1992, alla home rossoblù della stagione 1992/1993 e alla particolare third su base gialla della stagione 1994/1995) sono stupende, riportano indietro nel tempo quando gli stili erano differenti. Attualmente noi vestiamo due maglie con colorway differenti, una away bianca e una third nera, e devo dire che la gialla mi piace veramente tanto.
Viviamo nell’era della consacrazione della maglia da calcio come item ibrido tra mondo dello sport e quello della moda: che ne pensi? Sei un collezionista di jersey?
Si, è assolutamente vero. Non sono un vero e proprio collezionista però trovo veramente figo quando la gente indossa le maglie del passato, è una cosa che mi piacerebbe fare.

Uno dei temi degli scatti è il cibo: qual è il tuo rapporto con la cucina, nello specifico con i piatti italiani e liguri?
Prima di arrivare qui a Genova ho sempre saputo che il cibo italiano era davvero buono e adesso lo so per certo: pasta col pesto e focaccia, ad esempio, per me sono estremamente buone, anche se posso mangiarle raramente per via della mia dieta.
Esiste una parola per definire il tuo stile? Come si è evoluto da quando eri più giovane fino ad oggi?
Se dovessi usarne una direi sicuramente comfortable: indosso solo abiti che mi fanno stare comodo e in cui mi trovo a mio agio. Da quando ero piccolo seguo la figura di David Beckham, sia in campo che fuori, per le sue acconciature pazze e le differenti sfumature. Poi crescendo ho iniziato sempre più spesso a chiedermi cosa volessi essere, cosa indossare e che aspetto avere, trovando anche una maggiore identità nello stile. Ad oggi, i calciatori che mi piacciono di più per i loro look sono Michy Batshuayi ed Héctor Bellerín. Tra quelli che giocano in Italia direi sicuramente Moise Kean e Rafael Leão.
A proposito di parole, nella tua bio Instagram hai scritto “wagwan”. Come mai questa scelta? Quanto curi il tuo profilo Instagram?
Sì, è vero! È una parola che ho sentito nella serie TV “Top Boy” che significa letteralmente “cosa sta succedendo?” nello slang anglo-jamaicano. Riguardo il mio account, penso che possa essere uno strumento importante e che potrei utilizzarlo meglio, ma credo anche che Instagram per i personaggi pubblici sia un po’ artefatto dal momento che non è uno specchio reale di tutto ciò che accade loro. Al contrario, trovano spazio soltanto le cose belle. Vorrei che fosse più reale invece che un luogo dove mostrare solo il lato positivo delle cose.

Tornando sulla moda, in passato è capitato che tu utilizzassi senza problemi anche una borsa femminile, dimostrando di andare oltre la classificazione tra accessori maschili e femminili.
Si, la moda è anche libertà di indossare ciò che si vuole, ciò che si ritiene comodo e che ti fa sentire bene. Non importa quanto costi, o se è considerato maschile o femminile. So che questo viene spesso giudicato dalle persone ma non ho mai prestato attenzione ai commenti degli altri e continuo tranquillamente a pensare a ciò che mi riguarda.
Qual è quindi il tuo rapporto con lo shopping? Hai dei buyer di fiducia? Compri online oppure personalmente? Andare per negozi non deve essere sempre facile per una figura pubblica.
Me ne occupo quasi sempre personalmente, e credo che la cosa migliore sia quella di comprare fisicamente così da non sbagliare sui fit. Ovviamente ormai è molto facile ordinare vestiti online, infatti ho anche un amico che vive in Olanda (il founder del brand Lack of Guidance, ndr) che mi aiuta molto in questo e che spesso compra per me.
Sbaglio o sei un grande fan del basket? Spesso prendi parte anche un torneo estivo in Islanda.
Si, la pallacanestro mi piace molto. Si tratta di un torneo per tutti, due contro due, organizzato da un brand d’abbigliamento (Húrra Reykjavík). È molto divertente giocare contro i miei amici che vivono lì, è infatti anche un bel modo per passare del tempo assieme. Seguo molto il campionato islandese e anche un po’ di NBA: infatti sin da quando sono piccolo ho sempre avuto come ispirazione Allen Iverson. Tra i giocatori di oggi invece sono un grande fan di Luka Dončić.

Cambiamo discorso e parliamo un po’ del tuo primo anno a Genova: sei arrivato ormai da più di un anno e hai sin da subito instaurato un bel rapporto con la città scegliendo di vivere in centro, e non in periferia come molti tuoi colleghi. Com è andato questo primo periodo e com’è stato ricevere l’affetto dei tifosi?
Quando sono arrivato oltre un anno fa non sapevo davvero cosa aspettarmi, è successo tutto molto in fretta da quando sono venuto a conoscenza dell’interesse del club a quando ho firmato. Non avevo fatto nessuna ricerca sulla città prima di trovarmici, e devo dire che questo anno è stato grandioso. La mia vita qui sta andando alla grande, soprattutto considerando i benefici di vivere in città e avendo la possibilità di raggiungere tutto molto velocemente: una passeggiata in centro o verso il mare, ma anche la strada per recarmi agli allenamenti.
Si può dire che questo ti ha permesso di vivere la città dalla strada, nel senso culturale del termine?
Assolutamente, anche semplicemente grazie al fatto di poter impiegare due minuti a piedi per prendere un caffè mi fa sentire parte della città, questo è molto importante per me.

Tu vieni da una famiglia di grandi sportivi e calciatori: com’è stato iniziare la tua carriera professionale già all’età di quindici anni lasciando il tuo Paese per andare a giocare in Olanda? Il rapporto con tuo padre ti ha stimolato a fare meglio di lui?
Esatto, i miei primi ricordi calcistici sono infatti legati agli allenamenti con mio papà tra Islanda e Belgio (dove ha giocato per qualche stagione) e sin da subito ho avuto come obiettivo quello di diventare un calciatore professionista come lui. Finita la scuola sono andato in Olanda perché sapevo quanto fossero validi i loro settori giovanili, e lì sono rimasto ben otto anni giocando per tre diversi club. Tra me e mio padre non c’è mai stata competizione, quanto piuttosto il desiderio di seguire i suoi passi. Ad oggi i risultati dicono che ci sono riuscito. Lui infatti era un bravissimo calciatore, ma molto sfortunato con gli infortuni.
A proposito, oggi hai 25 anni e sei già papà: com’è stato aver creato una famiglia così presto e vivere in base alle loro esigenze?
Mi ha cambiato, prima di diventare padre dovevo occuparmi soltanto di me stesso e adesso non sono più io la priorità ma ci sono i miei figli che vengono prima di me. Sicuramente ciò che cambia è il modo in cui vedi la vita.
