Alla riscoperta delle librerie e dei codici di Montblanc – Intervista a Marco Tomasetta

Marco Tomasetta, Direttore Artistico di Montblanc

Iniziato a Milano e conclusosi a New York, quello di “The Library Spirit” è un viaggio che Montblanc ha organizzato in giro per il mondo e al quale abbiamo avuto la possibilità di partecipare per immergerci meglio nella storicità del marchio che non ha mai smesso di apportare innovazioni nell’ambito della scrittura e, con l’arrivo di Marco Tomasetta nel ruolo di direttore artistico, anche in quello della pelletteria.

Con alle spalle esperienze in aziende di moda – tra cui Prada, Chloé, Louis Vuitton e Givenchy -, l’intervento di Tomasetta da Montblanc si percepisce nell’accuratezza e nella sensibilità con cui l’azienda è stata in grado di tradurre i codici del proprio passato in messaggi moderni e più vicini alle nuove generazioni.

Scrittura e innovazione, tecnologia e letteratura, tematiche apparentemente distanti l’una dall’altra, sono diventati concetti interconnessi tra di loro da un ricco heritage storico e un profondo know-how che solamente un marchio come Montblanc è in grado di far collidere in un’unica direzione.

A Shanghai abbiamo parlato con Marco Tomassetta, che ci ha raccontato come ha deciso di reinterpretare e gestire la storicità del brand combinando il tutto alla propria visione artistica.

Partiamo dalle origini, iniziando con il nome di questa campagna globale. Come mai “The Library Spirit”?

L’ispirazione è più che legittima, stiamo parlando di un marchio conosciuto per i suoi strumenti da scrittura, di conseguenza trovo che le librerie siano il luogo migliore per poterne esprimere l’essenza. Immergendomi nell’archivio dell’azienda, ho riscoperto una serie di momenti del passato di Montblanc, tutti riconducibili al luogo della libreria. È uno spazio in cui la ritualità e l’intimità dell’individuo hanno la possibilità di crescere e in cui Montblanc ha deciso di aprire la sua “officina creativa”. Ogni marchio ha i suoi punti di riferimento, noi abbiamo codici, abbiamo la scrittura, un qualcosa di tanto basilare da non poterlo scindere dalla storia dell’umanità. La libreria quindi è il lo spazio in cui, per natura, tutto ciò viene convogliato.

Qual è il tuo legame con la scrittura, la lettura e più in generale con le biblioteche?

Io sono un romantico e riesco a scrivere solo le cose più profonde, quelle più importanti posso invece disegnarle. Le biblioteche sono il luogo in cui riesco a liberarmi da computer e telefoni che, seppur utili nel quotidiano, per me rappresentano un blocco energetico. Non tutti gli artisti hanno bisogno di connettersi a questi oggetti. Nonostante una cosa non escluda l’altra, la scrittura, il disegno o la pittura, per me rimangono azioni chiave per raggiungere la massima espressione di sé stessi.

La campagna si sviluppa tra le biblioteche di Milano, Londra, Shanghai – dove ci troviamo ora – e New York. A cosa è dovuta la scelta di questi luoghi?

Milano perché, così come tutta l’Italia, custodisce un patrimonio universale in termini di scrittura e storia. Dalle biblioteche del Vaticano a quelle non religiose, il nostro Paese racchiude al suo interno un ricchissimo patrimonio. Era fondamentale scegliere l’Italia come punto di partenza, per poi spostarsi in Regno Unito. Ho cercato di spaziare anche dal punto di vista estetico, le librerie di Londra hanno un fascino unico e si discostano da quelle italiane, così come quelle di Shanghai. New York invece è contraddistinta da spazi architettonici molto più moderni. Ma il viaggio non termina qui, questo è un percorso che continuerà.

Parlaci di come variano cambiano le persone al loro interno.

A Londra ho dovuto fare due ore di coda per fare il tesserino ed entrare in questa libreria piena di giovani. Sono rimasto piacevolmente sorpreso, soprattutto perché in Italia ho notato l’opposto: molti stranieri, appassionati di arte e storia, ma davvero pochi ragazzi. Un’atmosfera simile a quella del Regno Unito l’ho rivissuta poi a New York, in cui la biblioteca era stipata di persone, sembrava di stare in un museo.

Le librerie sono luoghi che parlano, al loro interno le persone possono esprimere la loro vera identità. Oggi molti di noi questo lo fanno tramite Instagram, io compreso, ma credo anche che ci sia bisogno di fare un passaggio prima. Trovo ci sia la necessità di metterci alla ricerca di un momento quasi di meditazione per creare la nostra scrivania, nonché un luogo genuino e specchio di noi stessi.

Oggi l’ambiente di cui narra Montblanc è toccato da grossi cambiamenti, uno fra tutti, quello apportato dalla tecnologia. I materiali contenuti negli scaffali delle biblioteche, per esempio, adesso sono tab aperti sui browser. Come combini il dualismo tra storicità, romanticismo, con la costante evoluzione tecnologica nei tuoi lavori?

La penna Meisterstück è un oggetto tecnologico. Un oggetto frutto di un processo di industrializzazione. Stiamo parlando di un prodotto nato per rivoluzionare il modo di scrivere: una penna stilografica che permette di non sporcarsi, nella sua epoca, è stata un’innovazione mondiale. In quanto direttore artistico di un marchio come Montblanc mi trovo sempre ad avere a che fare con la tecnologia.

Quando lavoro sulla pelletteria, per esempio, lascio sempre uno spazio all’interno delle borse per poter inserire la Meisterstück. Lo faccio spesso per tutto ciò che è tecnologico. Sono cambiati i telefoni e così anche le borse in cui contenerli, le proporzioni, la qualità. Quello che facciamo noi designer è vivere il progresso, viaggiando, lasciandoci ispirare da quello che ci circonda e adattando ogni cosa che disegniamo alla società in cui viviamo.

Il romanticismo e la storicità della pelle comunicano con la tecnologia quotidianamente, sotto i nostri occhi, basti pensare a tutte le custodie che proteggono i nostri dispositivi, sono astucci realizzati in pelletteria.

La collezione Extreme 3.0 è probabilmente l’esempio migliore di questa tipologia di approccio in cui design innovativi si combinano al know-how di Montblanc. Come nasce questa linea?

Visitando l’archivio di Montblanc ho trovato dei diari degli anni ’40/’50 in cui, per provare la Meisterstück, qualcuno aveva realizzato delle linee, una parallela all’altra, che creavano un pattern. Ho tradotto così questo dettaglio sul pellame per realizzare un ulteriore elemento, oltre al nostro logo, che diventasse riconoscibile agli occhi del pubblico. È come se avessi scritto sulla pelle.

La creatività porta a delle scoperte ed è così che, oltre al pattern, ho aggiunto la nostra fibbia M Lock 4810. Questo gancio veniva impiegato per scalare le montagne, anche qui siamo davanti al connubio tra storicità e tecnologia. Per me è stato un modo per comunicare la mia passione per quell’ambiente, combinandola ovviamente ai codici del marchio.

Hai citato l’archivio, quanto è importante per il ruolo un designer?

Ci sono dei designer a cui non interessa l’archivio perché preferiscono rinnovare tutto da zero. È un processo che condivido ma che funziona maggiormente con le case di moda. Personalmente però, con un marchio come Montblanc che ha 100 anni di storia alle spalle, mi sono sentito di fare altro. Ho quindi sentito la necessità di entrare nell’archivio del marchio per risvegliarlo senza però comprometterlo o stravolgerlo, semplicemente valorizzandolo al massimo.

Nicolas Baretzki e Marco Tomasetta, CEO e Direttore Artistico di Montblanc

Immagino che il tuo processo creativo si sia evoluto nel tempo, alle spalle hai esperienze con grandi marchi, il tutto coronato poi dal tuo ruolo di direttore artistico di Montblanc. Quali sono gli step chiave del tuo processo creativo e in che modo questo si sposa con il brand?

Primo fra tutti? L’intuizione. Ho bisogno di viaggiare, vedere film, ho bisogno di esser lasciato in pace e di sentirmi libero. Mi trasformo in un’antenna e capto elementi non tangibili, difficili da esprimere e vivere, li interiorizzo e li faccio uscire sotto forma di disegni. Gli sketch passano poi al mio team, che li ridisegna, e infine sono io che li passo ai modellisti. Lo definisco un percorso divino, non ci devono essere interruzioni.

Una volta che questo processo arriva a compimento e il prodotto è fatto e finito, ecco che entrano in gioco il marketing e la comunicazione. A differenza di altri miei colleghi, io questo step lo lascio per ultimo affinché lo sviluppo della mia idea non venga intaccata in alcun modo. È questo che probabilmente rende unici me e un’azienda come Montblanc.