Tra alta moda e streetwear, la nostra intervista a Davide Perella

Indossereste dei mocassini firmati Nike? È questa la domanda che in queste settimane ha spopolato sul web. Passando un po’ di tempo sui social era impossibile non imbattersi davanti a un curioso concept che li immaginava, ma dovete sapere che dietro a quella foto c’è un nome: Davide Perella.

Davide Perella è un giovane creativo che dopo aver concluso gli studi a Firenze e aver fatto esperienza a New York si è trasferito a Milano per fare il graphic designer freelance e in breve tempo ha collezionato diverse collaborazioni di rilievo, tra cui spiccano nomi del calibro di Moschino, Alberta Ferretti, Bikkembergs e Nike. Al tempo stesso Davide ha continuato a sprigionare la sua creatività su Instagram, andando a creare un profilo ricco di concept che uniscono in modo del tutto sorprendente alta moda e streetwear con un pizzico d’ironia.

Guardando le immagini per esempio salta subito all’occhio l’utilizzo ricorrente dello Swoosh, il quale compare laddove non ci si aspetterebbe mai di vederlo, tra blazer sartoriali e Saddle di Dior; ma anche dei mockup che dimostrano come alcune sneakers possano diventare degli eleganti stiletto, oltre a dei riferimenti all’attualità, ed ecco quindi che una mascherina chirurgica può trasformarsi in una borsa di Jacquemus o il logo The North Face viene sostituito dal nome del movimento Black Lives Matter.

Ricordo che durante la prima lezione all’università il mio professore di grafica mi chiese di disegnare lo Swoosh alla lavagna ed è probabilmente in quell’occasione che nacque il mio amore per quel piccolo logo dalla grande capacità comunicativa.

Davide Perella

Abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere direttamente con lui e insieme abbiamo scoperto che il fashion system può ancora riservarci molte sorprese.

Qui sotto trovate la nostra intervista.

Nel tuo portfolio ci sono collaborazioni con Alberta Ferretti, Moschino e Nike, a quale di questi brand ti senti più vicino?

Generalmente quando scelgo di collaborare con un brand è perché in qualche modo incontra il mio gusto personale. Comunque cerco sempre di “contaminarlo”, per quanto possibile, con la mia visione stilistica.
Sicuramente Moschino è stata una delle collaborazioni più importanti e durature. Ho sempre amato l’approccio creativo di Jeremy Scott e il suo modo di vedere le cose che ripropone sotto forma di abiti e accessori, con l’ironia pop che lo contraddistingue e lo rende unico. Nike rimane comunque il brand che sento più vicino a livello estetico.

Lo swoosh compare in modo del tutto sorprendente su blazer sartoriali, su una Birkin di Hermès o addirittura prende la forma delle lenti di un paio di occhiali da sole. C’è un motivo particolare per cui ritieni che questo logo sia più adatto di altri per questo tipo di creazioni?

Trovo che la sua silhouette si presti tantissimo a livello grafico, soprattutto per la sua riconoscibilità. Amo inserirlo in contesti dove non si è abituati a vedere un logo che nasce con un’anima sportiva, ad esempio su scarpe da donna col tacco, loafers eleganti o scettri magici dei cartoni animati. Il semplice Swoosh ha il potere di conferire a un oggetto formale come un blazer o un mocassino quell’aspetto street che amo e che cerco di riportare in molte delle mie creazioni.

Scorrendo il tuo feed Instagram saltano all’occhio riferimenti a Sailor Moon, statue neoclassiche e anche ad alcuni fenomeni attuali, sempre accostati a diversi brand di moda. Quali sono gli elementi che ti ispirano nel momento in cui crei questi artwork?

Non ci sono degli elementi in particolare, direi che mi faccio ispirare dai temi importanti di attualità, dai trend e dalle cose che mi piacciono o che in qualche modo fanno parte della mia quotidianità. Alla base della mia creatività c’è sicuramente tanta curiosità, che è un po’ il vero motore del mio lavoro.

Negli ultimi anni c’è stata una grande evoluzione nella comunicazione dei vari brand di moda, i quali si sono rivolti a un approccio meno convenzionale. Pensiamo alla strategia social di Balenciaga, Bottega Veneta o Gucci con il profilo dedicato alla linea beauty. Secondo te manca ancora un po’ di ironia nel fashion system?

Assolutamente sì. Soprattutto in un periodo storico come questo, l’ironia e un approccio meno convenzionale non può che aiutare l’intero sistema della moda a raggiungere un pubblico nuovo, sempre più esigente e selettivo.

I tuoi lavori enfatizzano il fenomeno che ha dominato il mondo della moda negli ultimi anni, ovvero quel legame che si è stretto tra le prestigiose maison e i brand streetwear. Ma perché, salvo poche eccezioni, queste collaborazioni hanno mantenuto un “profilo basso”? Cosa ne pensi a riguardo? Si può fare di meglio?

Penso che questo collegamento tra i big del lusso e dello streetwear, con l’aiuto dei social network, abbia rimescolato le carte in tavola, creando un certo tipo di hype verso le grandi maison anche tra i più giovani. Pensiamo alle Dior x Air Jordan 1: sono o non sono uno degli oggetti più desiderati del 2020? Onestamente credo che si possa fare ancora molto e che ci sia grande spazio per altre collaborazioni di successo.

In una precedente intervista avevi dichiarato di voler creare un tuo brand, c’è stato qualche sviluppo da allora?

L’ultimo anno è stato molto impegnativo dal punto di vista professionale. Ho trascorso dei mesi a Pechino e mi sono dedicato a nuovi importanti progetti che sto portando avanti con estremo entusiasmo. Quello di avere una mia linea rimane comunque il mio sogno più grande, quello che custodisco gelosamente nel famoso cassetto e che spero un giorno di poter realizzare.