Anche il cibo ha un design che non ti aspetti

Se di fronte a una platea gremita di persone chiedessimo “qual è il marchio di patatine più famoso al mondo?” sicuramente, all’unanimità, sentiremmo intonare il nome dell’azienda americana che dal 1968, lanciandosi sul proprio mercato nazionale, ha dato il via a un successo commerciale che ancora oggi si misura sull’enorme scala mondiale. Ovviamente stiamo parlando di Pringles, su questo non potevano esserci dubbi, ma oggi non siamo qui per analizzare l’incredibile storia che l’ha caratterizzata, men che meno per raccontarvi qualche nuova inaspettata collaborazione con un brand d’abbigliamento o una squadra di calcio.

Giustamente, a questo punto, vi starete interrogando su quale diavoleria Pringles si sia recentemente inventata per essere caduta al centro delle nostre attenzioni: anche un’azienda del food vorrà cercare un varco nel metaverso? Non sarà mica pronta a rilasciare delle patatine NFT? A dir la verità, l’azienda statunitense ha già fatto le sue prime mosse in merito alle ultime frontiere della tecnologia, proponendo la vendita di un nuovo “gusto” digitale chiamato CryptoCrisp e realizzato insieme all’artista Vasya Kolotusha. Noi, però, non stiamo puntando gli occhi su niente di tutto questo, anzi, stiamo per fare un salto direttamente all’origine dell’idea che consentì la nascita del brand e che interessa l’ambito puramente progettuale del prodotto: la forma delle Pringles.

Ebbene sì, la forma delle patatine più famose al mondo ha condensata in sé caratteristiche e peculiarità uniche nel proprio genere, tanto da tramutare lo snack dai mille sapori in un prodotto iconico e garantirne il successo noto ormai a tutto il mondo. È proprio per questo che abbiamo deciso di entrare più nel dettaglio della questione, fino a scoprire che, anche per un alimento come la pasta, gli studi formali possono rivelarsi fondamentali.

La forma è certamente l’aspetto di punta delle Pringles, quell’elemento proprio dell’alimento capace di connotarlo al di là di qualsiasi scelta di packaging o brand identity. A differenza della stragrande maggioranza dei competitors, tra i quali, per esempio, si individuano quelli che puntano tutto sull’artigianalità dei processi produttivi, realizzando volutamente patatine dalle linee irregolari e sempre diverse tra loro, Pringles ha mirato, sin dalla sua fondazione, all’ottenimento di una forma inedita e altamente caratterizzante nel mondo degli snack salati. Oggi, infatti, la riconoscibilità delle Pringles risiede proprio nell’inconfondibile forma, decisamente insolita e a tratti innaturale, ma che nel corso dei decenni è diventata quella più rappresentativa dell’idea di patatina da sgranocchiare tra una pausa e l’altra. Di fatto possiamo dire che tale forma sia diventata un vero e proprio archetipo, ovvero quell’immagine che ci viene in mente quando pensiamo in assoluto al concetto di qualsiasi cosa, nel nostro caso delle patatine. Tuttavia, l’azienda americana non è giunta al proprio risultato formale esclusivamente per motivazioni d’immagine, con l’obiettivo di sfondare sul mercato per una mera preferenza estetica da suscitare nei clienti, ma dietro lo sviluppo della forma troviamo implicazioni di altra natura, decisamente più funzionali e strutturali.

Per indagare ciò dobbiamo migrare inaspettatamente nel campo della matematica e della geometria, dal momento che la forma delle Pringles è in realtà decisamente nota a queste discipline. Più in particolare, si tratta di un paraboloide iperbolico, ovvero una superficie mediamente complessa che, per intenderci, assomiglia alla più conosciuta conformazione di una sella. Tale superficie è quindi connotata da una doppia curvatura che conferisce al materiale del corpo, qualsiasi esso sia, una particolare resistenza poiché, grazie al suo sviluppo geometrico nello spazio, rende impossibile la creazione di una linea di tensione sulla quale la concentrazione di forze indurrebbe un principio di frattura, facendo sì che, seppur in altre declinazioni, venga impiegata spesso anche in settori quali l’architettura. Tralasciando i dibattiti nati attorno all’effettiva origine e definizione della forma delle patatine, che vedono scontrarsi chi pensa sia stata esattamente calcolata attraverso strumenti algebrici, contro chi, invece, sostiene sia stata più semplicemente ottenuta tramite test di cottura a partire da profili cilindrici, ciò che affascina maggiormente è il fatto che, anche un alimento qualsiasi come una patatina, sia di fatto descritto da precise e rigorose formule matematiche e che, in aggiunta, la scelta di una specifica forma in termini di design, possa fissare una fondamentale impronta a un’intera impresa e contemporaneamente lasciare il segno a livello culturale su ampia scala.

Ma veniamo ora ad analizzare tutti quegli aspetti che derivano direttamente dalla conformazione a paraboloide iperbolico degli snack e che hanno garantito il lungo successo del marchio. Per prima cosa, le patatine definite da tale forma, se questa viene ripetuta in maniera identica per ogni esemplare, non solo possono essere facilmente impilabili, ma hanno al capacità di centrarsi l’una rispetto all’altra in maniera assolutamente naturale, grazie alla perfetta adesione univoca della superficie inferiore e superiore di due patatine a contatto. Da qui, ovviamente, deriva la scelta della più rigorosa standardizzazione del prodotto da parte dell’azienda, poiché, solo tramite la precisione produttiva, si può sfruttare al massimo tale caratteristica. Ecco perché, per noi consumatori, diventa un’impresa impossibile trovare due Pringles l’una diversa dall’altra. Potendo creare vere e proprie colonne di patatine, quindi, la scelta del marchio di adottare un packaging a cilindro, che riducesse notevolmente il volume delle più diffuse buste, non deve sembrare caduta dal cielo. Il celebre tubo di Pringles, oltre a presentare alcune problematiche nei confronti dell’utente, che spesso è ostacolato nella presa dello snack a causa del diametro del foro non adatto a tutte le mani, poneva un’altra criticità: le patatine alla base possono reggere il peso di tutte quelle che si trovano sopra di loro? La risposta non poteva che essere affermativa e nuovamente si basa sull’incredibile forma adottata, poiché l’elevata resistenza impedisce la rottura anche delle patatine più sollecitate capaci di scaricare efficientemente il peso che vi grava sopra. Infine, giungendo al momento del consumo, le Pringles si sono dimostrate particolarmente adatte a trovare spazio tra il palato e la lingua e il bello arriva quando i denti affondano il colpo, dato che, proprio per la loro struttura, si frammentano in numerosi pezzi sempre diversi amplificando, di conseguenza, l’amatissimo effetto cruncy che tutti desideriamo.

Nel corso del tempo, poi, tra i più curiosi e ingegnosi clienti del brand americano è nata una vera e propria sfida volta alla creazione di strutture articolate tramite le numerose possibili composizioni delle patatine. Tra tutti questi esempi, il più noto è certamente il Pringles Ring, ormai diventato una vera e propria challenge con cui divertirsi tra amici o da condividere sui social. La sfida consiste nel combinare le patatine in maniera tale da riprodurre una struttura ad anello, per l’appunto. Ciò che colpisce, è che sia incredibilmente autoportante senza l’uso di alcun tipo ti collante o sostegno esterno, in quanto tutto ciò che è necessario per realizzarla è una confezione di Pringles, insieme anche a una buona dose di manualità e di pazienza, che non deve mai mancare in questi giochi di equilibrio e precisione.

Se pensavate che la forma delle Pringles fosse frutto esclusivamente di una lungimirante e abile strategia di marketing, ora vi sarete di certo ricreduti scoprendo che, anche dietro a un comunissimo alimento, si nascondono studi e innovazioni che, in un boccone, tramutiamo in frantumi. E a dir la verità, il caso di Pringles è solo uno degli esempi più noti di questo inusuale contatto che avviene tra il settore del food e il mondo del design, dal momento che, allontanandoci per un attimo dagli snack, anche all’interno dei nostri piatti possono finire vere e proprie opere di progettazione, meglio se condite da un buon sugo. È proprio la pasta, infatti, ad aver attirato a sé l’interesse di numerosi designer appartenenti ai settori più disparati e, allo stesso tempo, anche quelli di alcune imprese del settore che hanno più volte cercato di ingaggiare progettisti per declinare il prodotto alimentare tipico del Bel Paese sotto forma di nuove soluzioni lontane dalla normalità. Uno dei casi più emblematici di questo approccio multidisciplinare è sicuramente rappresentato dalla collaborazione che negli anni ’80 ha visto dialogare fruttuosamente Voiello e Giorgetto Giugiaro. Nel 1983, infatti, il celeberrimo car designer, che nel corso della sua carriera ha realizzato capolavori su quattro ruote che vanno dalla Fiat Panda e la Golf, per le vetture più diffuse, alle più rare BMW M1 e Alfa Romeo Giulia GT, diede il via all’ideazione di un tipo di pasta tutto nuovo nel suo genere. Marille, questo il nome ufficiale, è un tipo di pasta dalle linee sinuose e ripiegate su sé stesse, liscia esternamente e rigata all’interno per raccogliere al meglio il condimento, ottenendo un risultato finale emblematico dell’abitudine alla progettazione che Giugiaro ha sviluppato nel campo automobilistico.

Ma il progetto di Giugiaro non è di certo l’unico degno di nota all’interno di questo scenario. Lo scorso anno, per esempio, il colosso italiano Barilla ha deciso di indire un contest intitolato “Barilla new pasta shape” a cui hanno preso parte tantissimi giovani progettisti da tutto il mondo. Al netto di 2500 adesioni da parte di designer sparsi in ben 141 paesi, il vincitore non poteva che essere un architetto italiano. Donato Santoro, con la sua pasta chiamata Terzine, ha meglio interpretato la sfida lanciata dall’azienda produttrice di pasta, insieme anche ad altri designer che sono stati meritevoli di speciali riconoscimenti come Giuliano Chimenti e il duo composto da Yarden Joseph e Prielle Haddad. Nel 2014, invece, i Campotti di Mauro Olivieri, ideati per Pastificio dei Campi, con la loro stravagante forma, assimilabile a quella di un pacchero deformato, si sono addirittura aggiudicati la Menzione d’Onore del Compasso d’Oro ADI. Infine, anche oltreoceano presso il MIT, Massachusetts Institute of Technology, si stanno conducendo sperimentazioni volte alla realizzazione di formati di pasta capaci di assumere la propria forma tridimensionale solo una volta a contatto con l’acqua di cottura, così da poter occupare il minor spazio possibile all’interno delle confezioni con il vantaggio di ridurre i costi derivanti dalle fasi di trasporto per la distribuzione del prodotto.