La città è uno dei contesti che viviamo più di ogni altra cosa, più dei luoghi in cui la natura esiste ancora incontaminata e più delle realtà non completamente urbanizzate. E proprio della città vi abbiamo già parlato in diverse occasioni, cercando di assumere un particolare punto di vista capace di portare alla luce quelli che spesso sono degli aspetti dell’ambiente cittadino che ai nostri occhi passano completamente inosservati, ma che allo stesso tempo concorrono alla definizione della sua fisionomia. Una delle prime volte, infatti, abbiamo affrontato un tema molto curioso che vedeva come protagonisti dei tombini d’autore, realizzati dai pluripremiati designer Giulio Iacchetti e Matteo Ragni. È stata poi la volta della metropolita, quella di Milano più nello specifico, che ha dimostrato come anche un sistema di mezzi di trasporto possa essere un incredibile risultato del design. Vi avevamo persino raccontato le gesta al limite della legalità di un artista francese, che ha deciso di sfruttare i cartelli stradali come tele su cui esprimere la propria arte. Ora, però, è arrivato il momento di dare un’occhiata all’altro lato della medaglia del design per la città, che porta con sé dibattiti tra la comunità e vere e proprie implicazioni sociali. Per questo motivo, nonostante sia qualcosa di cui spesso non ci accorgiamo, a maggior ragione deve e non può non interessarci. Che cosa è, dunque, l’architettura ostile?
L’architettura ostile, nota anche come unpleasant design, è l’insieme di tutti quegli escamotage che vengono messi in atto negli ambienti pubblici di ogni città per avere un controllo su ciò che in quel luogo è permesso o non è permesso fare. O meglio, si tratta di oggetti, dettagli, accessori, che servono per disincentivare precisi comportamenti adottati da parte della popolazione e che si possono descrivere con un termine molto efficace: inospitali. Si tratta di una categoria ufficialmente codificata da parte dei critici dell’architettura e dell’urbanistica che, in alcuni casi, hanno scelto di approfondire il tema arrivando così a riconoscere in una vasta gamma di elementi sparsi per le città validi esempi di questo approccio. Avete presente quando davanti ai negozi, soprattutto nelle vie più esclusive del centro, sono installati sulle superfici orizzontali ai piedi delle vetrine dei piccoli spuntoni, sfere, spessori magari appuntiti? Ebbene, questi elementi non sono presenti per evitare che i bambini più vivaci si avvicino troppo alle vetrine riempiendole di ditate, ma servono affinché nessuno utilizzi quella piccola superficie come letto di fortuna. Chi vorrebbe avere davanti alla propria esclusiva boutique un senzatetto? Ed è proprio qui che sopraggiunge il problema, perché la ricerca di ciò che viene definito “decoro” in riferimento ai luoghi pubblici è un obiettivo lecito da porsi, ma il suo perseguimento non dovrebbe avere delle ripercussioni su alcuna persona, soprattutto su quelle che si trovano costrette ad avere come unica “casa” la città stessa.
Molti di voi non ne saranno a conoscenza, ma ogni città – anche i più piccoli paesini dove vivete – è letteralmente disseminata di architettura ostile. Anche una banalissima panchina può nascondere, sotto il velo della quotidianità, un intento proibitivo. Molti dei nuovi esemplari di panchina, infatti, vengono appositamente progettati per evitare che qualcuno ci si possa sdraiare sopra, soprattutto in quei contesti che fungono spesso da rifugio notturno, uno fra tutti la stazione. Quindi, numerosi braccioli, sedute inclinate o sviluppate non linearmente, sono accorgimenti che trasformano un oggetto comune, come la panchina, in uno strumento con non poche ripercussioni sulle persone. Ma l’aspetto più singolare deve ancora arrivare. Dovete sapere che l’architettura ostile viene appositamente celata e nascosta ai nostri occhi, mascherandola sotto presunte scelte estetiche o di rinnovo dei prodotti in questione, così da ottenere uno spazio pubblico decisamente al passo con i tempi. E non è raro che vere e proprie istituzioni spaccino opere pubbliche, volte al rinnovo di arredi urbani, per quello che in realtà non sono. Un caso eclatante è quello verificatosi a Seattle, quando il comune decise di posizionare in una piazzola al di sotto di un ponte una serie sterminata di rastrelliere per bici. Certo, potrebbe sembrare un atto nobile da parte della città nei confronti dei cittadini: la città ha a cuore la propria popolazione e pensa a rendere più confortevole e agevole la loro vita, dimostrando una particolare attenzione alle loro abitudini. Peccato che, proprio nella zona in questione, il numero delle biciclette quotidianamente in circolazione fosse veramente basso e, quindi, un numero così alto di rastrelliere diventa assolutamente immotivato. Ovviamente, lo scopo era un altro, quello di evitare che la piazzola diventasse luogo di accampamento per i senzatetto del quartiere, dimostrandosi così un’operazione non solo “ostile”, ma anche ingannevole e che purtroppo si ripete con frequenza in molte parti del mondo.
Uno dei primi casi di architettura ostile che fece scalpore mediatico, fu la Camden Bench, una panchina realizzata nel 2012 dalla Uk company Factory Furniture per entrare in molte delle strade londinesi. Sebbene dal punto di vista progettuale fosse strabiliante, poiché riassumeva nella propria forma una moltitudine di funzioni, ovviamente portava con sé le già citate implicazioni sociali condivise da tutti gli esempi di unpleasant design. La panchina in questione, composta unicamente da cemento, presenta plurimi piani di appoggio ognuno dei quali inclinato in maniera diversa. Su di essa, quindi, è possibile sostare relativamente comodamente sedendosi, come su una qualsiasi panchina senza schienale, ma risulta impossibile sdraiarsi poiché la seduta è costellata di spigoli. Inoltre, la stessa seduta subisce delle variazioni di altezza lungo la sua lunghezza, con lo scopo di evitare che l’arredo diventi appetibile per gli skater. Tuttavia, nonostante le misure preventivamente adottate, gli skater londinesi hanno da subito tentato di slaidare sulla panchina, il più delle volte riuscendoci. Infine, anche le rientranze visibili sulle superfici verticali hanno una funzione, poiché sono pensate per posizionarci borse e zaini, così da renderli meno esposti a possibili furti. Il risultato complessivo? Un ottimo progetto di design, non c’è dubbio, ma con degli intenti decisamente poco nobili e inclusivi.
A pensarci bene, anche i dissuasori per il traffico sono dei prodotti che possono rientrare all’interno della categoria dell’unpleasant design: sono stati creati per evitare che i conducenti di qualsiasi mezzo entrino in zone chiuse al traffico, parcheggino in luoghi in cui è proibito o non seguano il percorso descritto dalla segnaletica orizzontale. Tuttavia, risultano forse uno dei pochi esempi, insieme ai dissuasori antiterrorismo, di arredi urbani dichiaratamente “inospitali”, il cui fine non viene nascosto ed è noto a tutti. Per tutti gli altri casi di architettura ostile, invece, non è così, poiché spesso è difficile riconoscerli, soprattutto se non si ha almeno per una volta affrontato il tema. E questa categoria di oggetti porta con sé principalmente due problematiche: la prima riguarda questa sorta di inganno che si vuole perpetuare nei confronti della popolazione e la seconda, la più profonda e importante, tocca nel cuore il tema dell’emarginazione sociale. Questo perché, ovviamente, sono i senzatetto i soggetti veramente coinvolti e, in un periodo dove si porta avanti la narrazione di un design inclusivo e sostenibile, come possiamo pensare di essere circondati da un design che, al contrario, è fortemente emarginante? Una contraddizione che deve essere affrontata, soprattutto perché a farne le spese sono quei soggetti già in estrema difficoltà, che si trovano a dover vivere per strada e che non hanno alternative. Certamente non siamo noi a dover dire a chi di competenza come lavorare, ma è fondamentale che ognuno sia consapevole che esiste anche questa particolare sfera della progettazione e che, nell’ambito della nostra vita urbana, ne siamo spesso circondati senza nemmeno saperlo. Inoltre, questa tematica serve anche per porci ulteriori domande: qual è il vero e corretto ruolo del designer? Non dovrebbe sempre pensare a degli oggetti per le persone? In quale misura l’etica può essere inglobata nel processo creativo di un progettista?
Per concludere, dovete sapere che l’architettura ostile è un argomento che, in poco tempo, ha sollevato molte critiche e, di conseguenza, ha messo in atto una serie di iniziative volte alla sensibilizzazione nei suoi confronti, attraverso cui tentare di eliminare o di ridurre la presenza dell’unpleasant design tra le nostre strade. Non solo, esiste un’intera community su Reddit che segnala e mappa più casi possibili, ma sono attivi dei veri e propri progetti con i quali far aumentare la consapevolezza di tutti sul tema. Uno di questi è promosso dal sito hostiledesign.org, che permette di comprare online una confezione di sticker con la dicitura “DESIGN CRIME. This item is a design against humanity…”. Così, una volta individuata un’architettura ostile in giro per qualsiasi città, può essere segnalata fisicamente attraverso l’adesivo e, successivamente, aggiunta a un database contenente la mappatura di tutti i casi trovati.
Conosciuta un po’ più da vicino la realtà dell’architettura ostile, ora non vi resta che camminare per la vostra città guardandola con occhi diversi, alla ricerca di oggetti che al di sotto di un presunto design, nascondo in realtà intenzioni che sono l’opposto dell’inclusione. Siamo sicuri che ne troverete in quantità, magari a partire da quelli rivolti agli animali come gli aghi contro i poveri piccioni tanto odiati da tutti.