
A Lil Nas X piace provocare il pubblico (e scatenare polemiche) per sensibilizzarlo su temi come l’omofobia o la libertà di espressione e la 21esima edizione dei BET Awards è stata lo scenario perfetto per farlo di nuovo. Sul red carpet, il cantante di “Old Town Road” si è presentato con un abito dalla silhouette settecentesca che ha attirato l’attenzione di tutti. La mente creativa dietro questa imponente costruzione è il designer italiano Andrea Grossi, con il quale abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere per farci raccontare meglio il suo percorso e la sua visione.
25 anni, nato a Reggio Emilia e diplomatosi al Polimoda di Firenze nel 2019, Andrea è sicuramente uno dei designer emergenti da tenere sott’occhio e la collaborazione con Lil Nas X è solamente l’ultimo di diversi successi raggiunti nel corso di questi due anni. Dopo aver vinto il premio “Isko Design Award” nel 2018 e aver partecipato come unico italiano al prestigiosissimo “Hyeres Festival” nel 2020, Andrea è ora pronto a muovere nuovi passi nell’industria della moda con il suo brand, nel quale unisce il suo punto di vista critico sulla società all’alta qualità del Made in Italy.
In un’altra intervista, per descrivere il tuo progetto hai utilizzato le parole “passato, presente e futuro”. Cosa rappresentano questi tre elementi per te?
Quella definizione non è stata casuale ma bisogna spiegare un po’ tutta la mia storia per comprenderla al meglio. Il mio processo di ricerca è iniziato qualche anno fa, leggendo la trilogia dello storico Yuval Noah Harari. In particolare, nel primo libro (“Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità”) esamina l’evoluzione dell’essere umano dai suoi arbori in relazione a tematiche contemporanee, nel secondo (“Homo Deus. Breve storia del futuro”) cerca di capire dove il capitalismo sta portando il mondo e quale potrebbe essere quindi il futuro dell’umanità. Nell’ultimo (“21 lezioni per il XXI secolo”), invece, traduce queste analisi in osservazioni che possono essere utili per la vita di tutti i giorni. Considerandolo un grande pensatore e poiché mi affascina la sua visione dell’attualità, ho deciso di ripercorrere questa sua analisi e sono partito con la prima collezione, “Welcome to DeusLand – Season 1”, incentrandola sul passato. Ho preso quindi delle silhouette storiche e il loro significato per poi reinventarle in chiave sociologica e immaginare cosa potessero rappresentare nel 2019. Per la seconda collezione, “Welcome to DeusLand – Season 2”, ho voluto pensare al futuro, creando abiti con influenze sci-fi e materiali innovativi. L’obiettivo era infatti quello di cercare una nuova idea di Made in Italy e nuovi trend, per capire dove la moda sta andando. L’ultimo step è quello del presente e vorrei chiudere con una Season 3 che sia la mia interpretazione di quello che è l’abbigliamento contemporaneo, creando una prima collezioni di capi veri e propri. Dopo aver sperimentato, dopo aver fatto cose abbastanza estreme, vorrei arrivare a capire cos’è l’abbigliamento secondo Andrea Grossi.

Cosa vuoi comunicare quindi attraverso i tuoi abiti?
Il mio obiettivo è quello di cambiare determinati schemi mentali. Far sì, per esempio, che certi capi possano essere portati da chiunque, che una cosa non sia femminile o maschile ma esprima innanzitutto un concetto. Prima di creare il capo in sé a livello materiale, provo sempre a inserire un valore, un credo, un pensiero che è legato all’attualità e al mondo in cui viviamo. Come ho già spiegato, mi piace l’idea di poter dislocare temporalmente un concetto, una forma o una stampa. Oggi, prendere questi elementi e tradurli fa perdere loro di significato quindi possono essere visti in un modo completamente nuovo. Anche l’esperienza con Lil Nas X è stata un modo per cercare di capire cosa quel capo significasse in un contesto contemporaneo, considerando soprattutto il significato sociale che quella silhouette aveva. Ho voluto giocare con il tempo.
A proposito di Lil Nas X. Oltre alla popolarità, cosa pensi che personalità come lui possano aggiungere alle tue creazioni?
Sicuramente la popolarità è già un elemento molto importante per me: fare queste collaborazioni è il motivo principale per cui vado avanti con un progetto che non c’entra nulla con il business, dato che non ottengo alcun guadagno economico con quello che faccio. Lui oggi come figura rappresenta valori e pensieri ben precisi. Essere riuscito a unire la sua visione artistica a quello in cui anche io credo e per cui mi batto, è il fuoco che mi spinge a creare. In quell’abito sono presenti tutte le mie influenze, come per esempio il mondo dei manga, che sono sempre state considerate “maschili”. Le forme che ho scelto, però, non vengono mai associate a quegli elementi e Lil Nas X è la rappresentazione perfetta di questo contrasto. Lui infatti è super mascolino a livello fisico ma allo stesso tempo esprime concetti che sono l’esatto opposto e lo fa in maniera estremamente profonda e personale. È una figata pensare che un artista, di cui ho tutto il rispetto, non solo capisce quello che faccio ma lo condivide e lo vuole indossare. Ti fa pensare che ci può essere qualcosa al di là di un po’ di stoffa stampata.

La tua intenzione è quindi quella di inserire un punto di vista critico verso la società in cui viviamo? Pensi che la gente sia in grado di recepire il messaggio attraverso dei vestiti?
Quando hai un pensiero che porti avanti tutti i giorni, hai qualcosa da dire, la moda è un mezzo comunicativo che ti dà la possibilità di parlare a qualcuno che è interessato a quello che fai, a persone che parlano la tua stessa lingua. Per certe tematiche, infatti, hai bisogno di un pubblico che possa comprenderle e analizzarle. Ognuno poi ha il suo modo di esprimersi e c’è chi lo fa attraverso la musica, chi attraverso l’arte: il mio modo preferito è attraverso un’immagine e l’estetica, quindi con capi d’abbigliamento. Al momento, però, non definirei “capi” quelli che faccio, sono più che altro messaggi, espressioni. In futuro vorrei farlo diventare anche abbigliamento ma per ora è solo un mezzo, non il fine: non sono capi che ti vestono, c’è qualcosa che va oltre.
Per comunicare questa tua prospettiva, c’è qualche figura, reale o non, che consideri un’icona e a cui ti ispiri?
In realtà, non avendo dei reali consumatori, quando penso a qualcuno ho sempre me in testa. Dall’altra parte, però, tutto quello che ha influenzato me ha influenzato anche la maggior parte dei ragazzi nati nei miei anni. Non penso quindi a una figura specifica che mi ispira ma a tutta una generazione che è accumunata dalla mia stessa infanzia. Nelle mie creazioni, poi, ci sono altre reference più specifiche, che sono le mie preferite e quelle che mi hanno accompagnato da sempre: nelle stampe, per esempio, le nuvole e lo stile di disegno in generale sono ispirati a Naruto.
Tra gli elementi che definiscono il tuo stile, c’è appunto la moderna reinterpretazione del Toile de Jouy, il quale è senza dubbio uno dei più iconici. Puoi raccontarci come è nata e cosa rappresenta nel dettaglio?
Quello è stato un po’ il punto di partenza della prima collezione ed era un disegno che ho fatto a mano su nove pannelli diversi. Uniti poi insieme superavano un metro di lunghezza e ho deciso di scannerizzarli e utilizzarli come decorazione. In origine, il Toile de Jouy era una stampa su tessuto di origine francese che raffigurava paesaggi e scenette di vita del ‘600/‘700 e il mio obiettivo era quello di ricrearlo in chiave moderna con le influenze “pop” che viviamo. Il logo del Mc Donald’s, il Papa e diversi tipi di culture sono solamente alcuni degli elementi che raccontano un po’ quella che è la mia visione e mi piaceva l’idea di raccontare il nostro tempo in questo modo.
Un altro elemento che è molto presente nelle tue collezioni è l’utilizzo della pelle e del denim. Perché? Cosa ti trasmettono questi due materiali o che qualità hanno in più rispetto ad altri?
In realtà, ti dico la verità, è quel qualcosa che hanno in meno che mi ha spinto a lavorare con questi materiali. Come ti dicevo, nella Season 2 il mio obiettivo era quello di pensare al futuro in maniera innovativa e oggi credo che il tema principale che ci accomuna tutti, una sorta di lotta generazionale, sia la sostenibilità. Nel quotidiano, tutti abbiamo a che fare con queste dinamiche e, nel mondo fashion, il denim e la pelle sono i materiali che inquinano di più e hanno più problematiche: come giovane designer mi sono quindi quasi sentito in dovere di dare la mia interpretazione e provare a utilizzarli nella maniera più sostenibile possibile. Grazie a Première Vision, poi, ho conosciuto aziende estere che lavorano con pelli conciate in maniera vegetale e da lì ho unito tessuti innovativi e sperimentali provenienti dall’estero con l’arte del Made in Italy. Lo stesso processo è stato fatto con il denim, che però è un materiale che presenta un’evoluzione upcycling più semplice. Questi due tessuti normalmente sono molto dannosi per l’ambiente a causa dei numerosi trattamenti chimici e per questo è stata una sfida: non c’era qualcosa in più che mi trasmettevano ma semplicemente volevo risolvere questi difetti che avevano per non demonizzarli e trovare il modo di renderli contemporanei in maniera sostenibile.
Il tuo lavoro è stato definito come “Digital Couture”: cosa ne pensi di questa definizione?
Sinceramente mi fa un po’ strano definirlo così ma alla fine riassume bene il mio modo di lavorare. Avendo frequentato il liceo grafico sono sempre stato abituato a utilizzare programmi e per questo lavoro al venti per cento sul modello e all’ottanta per cento in digitale. Mi piace questa unione: prima studio il capo e la silhouette in tre dimensioni sul manichino, poi riprogetto il tessuto digitalmente per raggiungere diverse lavorazioni, dal laser, alla goffratura, alla stampa.
Nei suoi scritti, Harari prevede un futuro in cui l’uomo cercherà di guadagnare l’immortalità e poteri simili a quelli di Dio. Cosa pensi succederà invece al mondo della moda? O meglio, cosa vorresti che succedesse?
Arrivo da una generazione in cui per parlare di moda si doveva includere sempre un’idea di “esclusività”, che è un concetto che non mi piace e non mi trasmette nulla. Vorrei quindi vedere un sistema fashion più inclusivo: anziché cercare di prendere le distanze, penso sia meglio provare a unire e creare connessioni, come possono essere quelle con altri artisti. Di pari passo dovrebbero essere trattati anche altri temi, per i quali si dovrebbero battere tutti in realtà, come i diritti civili o la sostenibilità. La moda ha una posizione di privilegio sul mondo perché riesce a capire i trend e i cambiamenti prima di altri settori, deve quindi essere in grado anche di portare avanti una discussione riguardo a determinate tematiche.
Secondo me, è necessario che l’innovazione che arriva dai piccoli brand non riguardi solamente come vengono realizzati i capi ma anche come vengono venduti. Per esempio, penso sia importante creare vestiti che non abbiano un genere ma semplicemente una taglia: se io voglio un capo, non per forza devo andare a comprarlo nel reparto uomo, voglio quella cosa nella mia taglia e basta. Tanti brand lo fanno già, però è una nicchia ancora piccola che vorrei si aprisse e si espandesse.
La stessa espansione dovrebbe riguardare anche il tema dell’upcycling: è bello vedere tanti ragazzi che si concentrano già su questa cosa ma non sono ancora abbastanza perché si crei un trend che muova il mercato. Il problema, infatti, è che quando ti interfacci con i negozi diventa tutto più complicato ma attraverso i social, oggi, si può comunicare, si può vendere e creare una connessione direttamente con il consumatore.
Un altro elemento fondamentale è la trasparenza in quello che fai e come lo fai: il nuovo “luxury” sarà riuscire ad avere informazioni riguardanti tutta la catena produttiva di un capo che trovi in un negozio. Dire “Made in Italy” o “Made in Thailand” è molto semplice perché le normative esistenti sono varie ma la possibilità di comprare un prodotto, di qualsiasi genere, e sapere dove è stato fatto e da chi, secondo me è un vero lusso.
E nel tuo di futuro? Cos’hai in programma?
Come accennato prima riguardo alla Season 3, mi piacerebbe creare una collezione che sia un’interpretazione del guardaroba contemporaneo secondo i valori di cui ti ho parlato. Vorrei però rimanere fuori dal business ancora per un po’ per poter portare avanti questo progetto come passione. Non voglio incastrarmi in quelli che sono calendari e logiche di mercato: voglio solamente divertirmi e creare connessioni per avvicinarmi ad altre persone, ad altri modi di pensare. Per il momento voglio conservarlo così, come qualcosa che sia al di là del dover per forza vendere e mantenere dei budget.
C’è qualcosa che ha attirato particolarmente la tua attenzione e su cui ti concentrerai per la Season 3?
Ci sono tante cose che mi hanno attirato e non una in particolare. L’attualità e tutto quello che accade nel mondo mi affascina. In generale, mi piace osservare e far parte di un movimento giovanile che, in questo settore e rispetto alle generazioni passate, è molto consapevole e ha una visione chiara di quello che sta accadendo. Infatti, nonostante io sia molto giovane, svolgo il mio lavoro in maniera più responsabile, verso il pianeta e verso le altre persone, rispetto a gente più grande di me. La possibilità di costruire un nuovo modo di pensare, di fare le cose coscientemente e che rispecchiano una visione contemporanea mi ispira tanto. Tanti movimenti oggi li vediamo come postumi e pensiamo siano stati una figata, però anche oggi abbiamo la possibilità di farne parte. Non per forza bisognava nascere negli anni ’60 o ’80. Secondo me tra venti o trent’anni ci renderemo conto di aver fatto parte di un qualcosa che è riuscito ad accettare un nuovo modo di pensare, a cambiare il mondo.