Questo articolo è uscito per la prima volta sul magazine cartaceo di Outpump.
Post Covid l’universo del fitness ha subito una vertiginosa impennata di interesse. Moltissime persone, soprattutto giovani e giovanissimi, si sono approcciati al mondo della palestra nelle sue varie declinazioni: bodybuilding, crossfit, calisthenics, powerlifting, e varianti, sono diventati un linguaggio del corpo comune.
All’interno di questo panorama così ricco e variegato, chi è riuscito a ergersi come punto di riferimento per il settore è Andrea Presti.
Andrea Presti è prima di tutto il più grande bodybuilder attualmente in attività in Italia, ma non solo, è anche un influencer e un content creator. È l’uomo che ha riportato l’Italia sul palco del Mr. Olympia dopo oltre vent’anni, partecipando a tre edizioni della categoria Open – quella più estrema e rappresentativa della manifestazione, nella quale non sono presenti limiti di peso. Conosciuto nel circuito come The Italian Blade, la storia non è quella del predestinato, ma di chi è partito dalle retrovie per guadagnarsi lo status che ha passo dopo passo. Adesso molti sanno chi è, i marchi lo cercano e la sua fama ha oltrepassato l’ambito sportivo. Lo abbiamo incontrato in un piovoso pomeriggio per farci raccontare la sua storia, il rapporto che ha con l’allenamento, come è cambiata la sua vita con la fama, la sua passione per la moda e gli orologi, e come vede il futuro oltre il bodybuilding.
Nel momento in cui sali sul palco, cosa pensi? E che rapporto hai con gli atleti che sono con te in quel momento?
Io sono prima di tutto un appassionato di bodybuilding. Tuttora, dopo non uno ma tre Olympia, quando vado nel backstage e vedo i migliori dieci atleti al mondo, rimango affascinato.
Sul palco però cambio completamente. Sono consapevole che gli altri siano più forti di me, ma devo dare il massimo perché sono un competitor. Non mi preoccupo di chi ho accanto.
Il posing è una cosa su cui ragioni mentre lo fai? Oppure si tratta solo di memoria muscolare?
Un atleta, se si definisce professionista, deve lavorare sul posing non dico tanto quanto fa in palestra, ma poco ci manca. Tu puoi portare un pacchetto fisico incredibile, ma se non lo sai valorizzare, sei incompleto. Infatti vedi tanti atleti che in palestra sono mostruosi, poi quando sono sul palco, si perdono, non li riconosci. È importante riuscire ad avere la capacità di valorizzare tutto il lavoro che hai fatto in palestra.
Il posing è un’arte, ma come tale non può essere affidata solo all’estro. L’artista fa un quadro perché ha la genialità e il talento, ma quanti quadri ha fatto per arrivare all’opera perfetta? Un professionista deve posare almeno venti minuti al giorno, perché quando poi sei sul palco, ti deve venire istintivo o naturale.
Considera poi che quando sei in gara hai anche il carico della tensione. Per esempio, al Mr. Olympia ci sono 7000 persone che ti guardano e tu, per via delle luci, non li vedi. Per questo è importante non posare solo davanti a uno specchio, perché questo ti da dei rifermenti che sul palco non puoi avere.
Bisogna arrivare a una tale padronanza del gesto, per cui in ogni momento sei in grado di replicarlo indipendentemente dal contesto.
In generale potremmo definire una gara di bodybuilding un concorso di bellezza?
Sì, ma un concorso di bellezza dove la prestazione è importante quanto e più dell’estetica. Si tende sempre a pensare che il bodybuilding non sia uno sport, perché l’atto finale è un’azione distinta da quello che fai tutti i giorni: ti alleni con i pesi, ma ti mostri su un palco. Abbiamo già detto che non è così per via del posing, ma non è solo questo: viene anche detto che sul palco non c’è una prestazione atletica, è una cosa semplicemente falsa. Riuscire a contrarre simultaneamente tutti i gruppi muscolari, dai polpacci fino al collo, per mostrarli su un palco, è una difficoltà enorme da un punto di vista neuro-muscolare e di dispendio energetico.
Se prendo qualsiasi atleta e lo metto a posare, lo distruggo a livello muscolare. Ho fatto anche dei test su professionisti provenienti da altre discipline. Succedevano due cose: o “perdevano dei pezzi durante la routine”, oppure non riuscivano a mantenere le pose a causa della fatica.
Per tornare alla tua domanda, definire il bodybuilding non uno sport per la mancanza di prestazione atletica, vuol dire non conoscerlo. D’altro canto è un concorso di bellezza perché non esistono dei parametri oggettivi per valutare se uno è primo o secondo, ci sono sei esperti, ma anche in questo caso ci sono state delle gare dove magari io avrei fatto vincere quello che invece è arrivato terzo.
Ci sono due tue affermazioni che vorrei commentare con te:
in un’intervista ti sei definito un “obeso muscolare”. Puoi elaborare questa definizione?
Il concetto di obesità vuol dire avere un peso corporeo molto superiore a quello che la tua struttura fisica riesce a sopportare. Io sono alto un metro e ottanta, secondo i canoni di normalità il mio peso dovrebbe oscillare dai 75 agli 85 kg, io ne peso 130. Ho 50 chili in più rispetto a quello che le tabelle della sanità indicano.
La mia obesità non deriva dalla massa grassa, ma da quella muscolare, però sempre obeso rimango, infatti ho determinate problematiche che hanno le persone sovrappeso: mal di schiena, mal di ginocchia e simili. Nonostante la mia importante massa muscolare, il peso che devo sopportare è tanto, e la mia struttura è sempre quella di una normale persona.
In un’altra intervista hai detto che il tuo fisico non è estetico.
Si parla sempre di confronti con i parametri della normalità. Io gareggio nella categoria Open – per molti, il vero e unico Mr. Olympia – che è il ramo più estremo: o sei un appassionato, e allora ti piace, oppure, se sei una persona con una visione dell’estetica che corrisponde ai canoni di normalità, non piaci. Io non punto a piacere all’occhio, il mio fisico piace a me perché ho determinati parametri di fisicità.
Per paradosso, la mia visione del corpo umano mi permette di capire le persone che soffrono di disturbi alimentari. Non pensiate che le persone anoressiche non si rendono conto di essere magre, o io non mi renda conto di essere grosso, sono consapevole della realtà, ma non è abbastanza per quanto penso io, e lo stesso vale per una ragazza magra che desidera esserlo ancora di più. Con la differenza che la mia è una scelta consapevole, il loro un disturbo psicologico.
C’è secondo te un limite oltre il quale questo desiderio diventa un problema a livello fisico?
Molti culturisti non amano allenarsi in palestra, lo fanno perché sanno che è l’unico modo per avere quel fisico che desiderano. Non amano il bodybuilding come sport, ma il risultato. Loro sono gli ossessionati. Io invece, forse anche perché sono partito dall’ultima fila, sono realmente appassionato, a me piace stare in palestra e muovere i pesi. In più, ottengo la fisicità che piace a me: ho fatto bingo. Ecco, quando sei in questa condizione, non sei ossessionato, ma disciplinato. Non a caso, adesso che ho qualche problema in più e diversi infortuni, non ho più quel feeling e non riesco più a divertirmi come prima.
Sei l’unico uomo a cui piace stare a dieta.
Sì, ma perché mi rendo conto che quando non sto a dieta, non sto bene. Se esco dalla mia configurazione alimentare per troppo tempo, mi sento gonfio, non sono energico. Allora io dovrei stare così, sentirmi male per 23 ore al giorno solamente in cambio di 1 ora di soddisfazione legata a quello che mangio? Sarei un folle. E tutti quelli che passano dal mangiare male a mangiare bene hanno questa sensazione.
Si ritorna sempre al discorso dell’ossessione, che non è altro se non mancanza di lucidità. Ditemi un campione di qualsiasi sport che quando pratica la sua attività non è lucido. Sono tutti focalizzati, quando perdono lucidità si smarriscono anche come atleti. È in quel momento che si rivolgono a mental coach o ad altre figure fidate. Il grande campione non è ossessionato, al contrario è lucido e disciplinato. E che cos’è la disciplina? Fare tutto quello che è necessario, anche quando non hai voglia. Io so che se voglio salire sul palco dell’Olympia devo svegliarmi tutte le mattine alle 4 e fare cardio. Fidati, per quanto io sia appassionato, ci sono delle mattine in cui non ho voglia, ma è in quel momento che subentra la disciplina.
Definiresti il bodybuilding una pratica sana? Te lo chiedo perché il tema del doping è sempre molto sentito.
Tutti gli sport senza l’utilizzo di farmaci sono sani, tutti gli sport dove c’è utilizzo di farmaci non sono sani. In generale, gli sport dove si ricercano prestazioni estreme non sono sani. Pensiamo per esempio a un fighter di MMA: non è uno sport salutare, così anche il pugile. Ma ti dico di più, il calciatore che gioca tre partite a settimana, non ha un fisico che lo ringrazia. Lo sport di per sé, se fatto in un certo modo va sempre bene, ma se vuoi ottenere determinate prestazioni estreme inevitabilmente causa problemi. Questi problemi accrescono se vengono utilizzati farmaci.
Come è cambiato il rapporto tra vita sportiva e vita sociale con la popolarità?
Sono cambiati gli altri. Inizialmente, quando assumi uno stile di vita particolare, che non si basa su risultati ottenuti, la gente non lo accetta. Tu sei un atleta di bodybuilding, quindi la convivialità, per esempio della tavola, la vivi in un modo diverso e per questo vieni visto male, escluso e criticato, perché a tuo supporto non hai nessun risultato. Quando invece il tuo stile di vita così particolare ti porta ad avere riscontri, successi e popolarità, la gente lo rispetta. Ovviamente parliamo non dei miei amici più stretti, che mi hanno sempre supportato, ma di tutti gli altri.
Io ora posso fare qualsiasi incontro di lavoro o evento e, se andiamo a pranzo fuori e spiego chi sono, dimostrando anche la diversità della mia alimentazione, nessuno dice nulla, lo prendono come una cosa scontata. Siamo andati a mangiare a Villa Crespi, il ristorante tre stelle Michelin di Antonino Cannavacciuolo e mi hanno preparato riso e pollo bolliti.
E all’interno del tuo stesso mondo, quello del bodybulding in Italia, la tua fama come è percepita?
C’è una forte spaccatura. Io sono visto malissimo da quelli che pensano che il bodybuilder debba essere un reietto ostracizzato perché, gelosi della propria nicchia, hanno visto la mia popolarità come uno svilimento e una commercializzazione del nostro sport. Voglio specificare che non si tratta di una questione di anagrafica. Forse dimenticano cosa ha fatto Arnold Schwarzenegger. Secondo me è una questione di paura, perché se sei sicuro di quello che fai, non temi che il giardino si ingrandisca, anzi ne sei contento; se invece non sei così sicuro, sei disturbato dal fatto che, allargando i confini, qualcuno che sa più di te possa dirti qualcosa.
Nell’ambito femminile invece mi sembra si faccia molta più fatica. Secondo te perché?
Non c’è una rappresentante di rilievo, non tanto a livello fisico, quanto un personaggio che arrivi al grande pubblico. Prendiamo ancora Arnold Schwarzenegger: ai suoi tempi, la sua fisicità non era accettata, ma ha creato un personaggio che gli ha permesso di raggiungere traguardi incredibili. The Rock è un attore, ma ha il corpo da culturista, lo stesso vale per Sylvester Stallone. Non c’è una donna che abbia fatto lo stesso, che abbia costruito un personaggio con una fisicità diversa o più estrema. Abbiamo delle atlete fortissime che sono molto seguite nel nostro settore, ma non c’è un’attrice o una persona popolare a tutti con una fisicità importante. Nessuna fa di quella caratteristica il suo cavallo di battaglia come invece hanno fatto tanti, tra cui i nomi che ho citato prima.
Dall’altro lato, se i canoni estetici maschili sono più labili e flessibili, ad oggi la donna bella è ancora considerata la donna magra. Possiamo dire quello che vogliamo: anche se esiste la cultura curvy, che nasce in risposta a un concetto standardizzato della bellezza femminile, nell’immaginario collettivo il concetto estetico femminile rimane quello che è sempre stato. Se adesso andiamo per strada e chiediamo a dieci donne che fisico vorrebbero, risponderebbero tutte, o quasi, quanto segue: le gambe più magre e il gluteo più piccolo. L’aspetto muscolare è ancora legato prettamente all’ambito maschile.
A proposito di aspetti extra competitivi. Hai sempre mostrato un grande interesse per le sneakers e l’abbigliamento in generale. Sei uno dei pochi nel tuo mondo a palesare questa passione. Che rapporto hai quindi con la moda?
Io mi ritengo un appassionato di moda. Seguo abbastanza i suoi sviluppi e ho la fortuna di aver creato molte connessioni in questo senso tramite il mio sport. Vengo spesso invitato ad eventi, e mi fa molto piacere, come la sfilata a Parigi di Off-White, a cui purtroppo non sono potuto andare, o l’apertura di uno store di Philipp Plein. Cerco sempre di espandere il mio ventaglio di attività e mi piacerebbe collaborare con realtà fashion. Di recente abbiamo infatti lavorato con Nove25.
Sono sinceramente appassionato e vorrei sempre espandere il mio guardaroba ma ho un grande problema: non ci sono le taglie.
Ecco, la tua scelta di vita ti porta a limitare molto i vestiti che acquisti?
Io non trovo praticamente nulla (ride, ndr). Ho dei referenti che fanno una selezione di capi e sanno cosa potrebbe andarmi bene. Tante cose che indosso sono fatte su misura. Ci sono infatti aziende, come per esempio Off-White, che mi garantiscono questo servizio.
Ma è un discorso solo di parte alta del corpo?
No, anche di gambe. L’ultimo pantalone di Louis Vuitton che ho preso era la taglia più grande realizzata, peraltro un pantalone dalla vestibilità estremamente baggy, ma per me era stretto. In generale diciamo che la scelta stilistica del mio abbigliamento va quasi sempre nella direzione del mondo street o sportivo. Trovare qualcosa di più classico o formale diventa praticamente impossibile.
Le sneakers forse sono l’unico elemento a non essere inficiato da questo tema.
Il piede non è muscoloso (ride, ndr), quindi mi posso sfogare. Infatti ho una grande e ricca collezione.
So che sei appassionato anche di orologi. Come nasce la passione?
Se sul discorso moda sono più tecnico, anche perché è una cosa che ho sviluppato io, gli orologi derivano da mio papà. Lui era partito da zero nella sua attività imprenditoriale e, come gli uomini di una volta, aveva degli status symbol: la sua macchina per antonomasia era la Porsche, cosa che è rimasta anche a me, e l’orologio era il Rolex Daytona.
Da piccolo, a forza di sentire questi due marchi, mi sono rimasti in mente: Rolex e Porsche. Anche in questo caso sto completando piano piano una collezione, ma trattandosi di una cosa più impegnativa, è un discorso lungo.
Persino questa collezione viene guidata dal tuo fisico? Parlo di dimensioni dei quadranti, di bracciali…
Diciamo che Audemars Piguet per me è praticamente impossibile da indossare (ride, ndr). Rolex non mi crea problemi. Ovviamente il fisico porta dei limiti: devo escludere i quadranti troppo piccoli, così come non posso affidarmi più di tanto al mercato del vintage dal momento che le dimensioni dei bracciali sarebbero troppo limitati.
Negli ultimi anni quasi tutti gli sport hanno avuto uno sviluppo incredibile per quanto riguarda l’abbigliamento tecnico, nel bodybuilding c’è questa cosa?
No, perché l’evoluzione negli altri sport il materiale tecnico è sempre stato legato a un fine prestazionale. Nel bodybuilding la prestazione è legata a una finalità estetica, c’è stato però uno sviluppo incredibile sulle macchine che sono diventate incredibili, davvero intuitive.
Guardando al futuro, hai detto che dopo la carriera da atleta vorresti fare il coach o il motivatore. Come mai ti interessa questo percorso?
Più che coach agonistico, mi piace molto la parte sul mindset. Avendo la fortuna di poter immaginare il mio futuro lavorativo, ho deciso di concentrarmi sulla parte più importante di quello che ho imparato nel mio percorso da bodybuilder.
Quando ho iniziato e tutti mi dicevano che non avrei combinato niente, non ho avuto nessuno che mi ha detto “provaci!”, ho avuto la testa e la fortuna di provarci da solo e di riuscire. Vorrei essere quella figura che non ho avuto io quando ho iniziato, che non ti dice “vincerai l’Olympia”, ma ti dice “fallo comunque anche se non sei il più dotato” perché nel percorso che ti porterà fino a lì, anche se quel fino a lì può essere un fallimento, acquisirai una serie di skills che, se applicate in un altro ambito, ti daranno soddisfazione.
Io sono un appassionato di etimologia. Bodybuilding vuol dire “costruzione del corpo”, e per quanto noi possiamo essere ipocriti e dire che la fisicità non ci condiziona, in realtà lo fa. Se così non fosse, nessuno avrebbe uno specchio in bagno. E se la mattina ti guardi allo specchio e quello che vedi ti piace, inizi la giornata con un approccio diverso.
Questo è il bodybuilding, un percorso che ti porta ad avere una fisicità che ti piace un pochino di più, che non vuol dire il six pack, le braccia grosse o il gluteo altissimo, ma sentirsi meno gonfi, avere un po’ di pancia in meno, meno ritenzione idrica, meno cellulite e via dicendo. Se sto un po’ meglio di ieri, ho un approccio migliore. Il bodybuilding riguarda la vita di ogni persona che vada o non vada in palestra, perché è l’unica attività la cui finalità non è la prestazione, ma modificare il corpo a proprio piacimento. Tutti coloro che vogliono avere un fisico migliore rispetto a quello che già hanno dovrebbero fare bodybuilding.
Come si nota da questa risposta e dalla tua presenza social, hai un linguaggio e un modo di esprimerti molto particolare, forbito ma chiaro da comprendere. È anche per questo che hai deciso di cominciare a fare video e a comunicare?
All’inizio scrivevo molto. Mi ricordo che anni fa facevo dei post su Facebook lunghissimi che però, stranamente, andavano bene. Quando poi ho iniziato a parlare non mi sentivo sicuro, ma ho provato, mi sono messo in gioco, e ho visto che avevo qualcosa che colpiva. Penso anche di non dire cose particolarmente elaborate, anche perché conosciamo tutti come ragiona il pubblico digitale, però permetto alle persone di aprire gli occhi su cose che hanno sotto il naso.
So che sei un appassionato di Jujutsu Kaisen. Quale personaggio vorresti essere e perché?
Sono un megalomane, quindi per forza Satoru Gojo.