Da quando la fotografia è entrata in modo così prepotente nelle vite di tutti, vuoi per l’assuefazione costante al medium, vuoi per il deficit di attenzione che le piattaforme causano, la difficoltà nel trovare progetti fotografici interessanti è diventata altissima. Ancora di più lo è all’interno di una cultura così visuale come l’hip hop, che in quasi cinquant’anni di storia sembra essere stata esplorata in ogni suo ambito. Eppure non è così, perché se si ha la pazienza e la curiosità di cercare, si scoprono sempre nuove angolature e prospettive da scandagliare.
Così si può inquadrare il progetto di Hajar Benjida, una giovane fotografa olandese che ha realizzato “Atlanta Made Us Famous“, una ricerca fotografica che approfondisce una delle connessioni più interessanti e controverse riguardanti la cultura hip hop, quella con gli strip club.
Hajar nasce prima di tutto come fan del rap, tanto da diventare fotografa per concerti nella sua città natale, Amsterdam. Questa connessione con la musica l’ha portata ad Atlanta e da lì al Magic City, uno degli strip club più famosi della città: «La mia prima volta ad Atlanta e negli US è stata nel 2018. Sono andata negli States come stagista di Cam Kirk per dei crediti scolastici, e il suo studio fotografico era dall’altra parte della strada rispetto al Magic City. Ho sempre voluto visitare Atlanta, perché molti dei miei artisti preferiti erano originari di lì». Il passo da lì è stato molto rapido, ma non per questo scontato da compiere, perché Hajar prima di questo viaggio non aveva familiarità né con il mondo degli strip club, né con le ballerine che li animano, se non per le fotografie e i video rap che aveva consumato da fan del genere. In questo senso, essere sul posto le ha dato una prospettiva completamente nuova sul tema, tanto da decidere di entrarci dentro a piedi uniti: «Gli strip club e le ballerine sono una parte della storia, e ho sentito il desiderio di volerle documentare. Quando ero ad Atlanta ho visto la grande influenza che hanno sulla scena musicale, è stato molto affascinante e bello da vedere. Le stripper hanno un impatto molto forte e volevo delle foto che lo riflettessero».
Una volta trovato un argomento da esplorare che sia effettivamente interessante, arriva però la parte difficile, cioè quella di riuscire a scattare fotografie che non siano semplicemente una speculazione sulla pelle delle persone immortalate. È il grande tema del raccontare qualcosa che non ti appartiene ma che comunque ti affascina, e di cui si desidera essere in qualche modo parte. Quante volte nel rap si accende la discussione in riferimento ad artisti che parlano di cose che non conoscono realmente? Che raccontano storie per moda o per sentito dire? Hajar, a modo suo, si è trovata di fronte al medesimo dilemma: come è possibile raccontare la storia di queste ragazze senza essere una semplice turista nel mondo degli strip club? La risposta che si è data, è stata quella di frequentarli in prima persona, da sola, senza troupe o accompagnamento, come ci ha raccontato: «La padrona di casa durante il nostro primo incontro pensava che volessi fare un’audizione per diventare una ballerina. Onestamente le stripper e il locale sono abituati all’attenzione, ma il mio approccio è stato molto diverso rispetto alla stampa e alle foto che sono state scattate riguardo o dentro il club in passato. Andavo là da sola, senza produzione ne back up, solo io, la mia camera e le mie idee. Questo è stato molto apprezzato, e credo si rifletta nel tipo di fotografie che sono state fatte». Questo modo di fare l’ha aiutata fin da subito a entrare in contatto con l’ambiente che la circondava. Inoltre, essere una giovane donna che lavora con ragazze altrettanto giovani, è stato secondo lei un fattore determinante per creare la chimica giusta, «non credo che la presenza di un uomo abbia alcun senso lì, all’interno dello spogliatoio delle donne. Parlavamo dei fatti nostri, della scuola, della vita, cose di cui parleresti normalmente con le tue amiche: è stato un processo molto naturale».
In virtù di questo processo creativo, le foto scattate sono molto diverse da quelle che ci si potrebbe aspettare, Hajar ha prestato la massima attenzione alle persone, tralasciando l’aspetto performativo del lavoro che fanno le ballerine: ritratti, vita di tutti i giorni e foto di backstage fanno da padrone nella serie. Anche questa è stata una scelta molto forte, ma soprattutto voluta: «Credo che sia il backstage che i ritratti siano ugualmente importanti per delineare la storia attorno a queste fotografie. Volevo avere un approccio personale al progetto, e l’ho preso alla lettera».
“Atlanta Made Us Famous” è un progetto unico e differente dagli altri, e ora che queste fotografie saranno presto parte di un libro, come ci ha confermato lei stessa – «sì, è senza dubbio uno dei prossimi passi che voglio fare» – non vediamo l’ora di guardare a come questa serie si evolverà, insieme al processo creativo della sua giovane autrice, che nel 2022 è già stata inserita da Forbes come uno dei 30 under 30 per l’arte e la cultura, e sicuramente ha tanto altro da offrire.