
17 brani, 0 featuring, un titolo semplice, autoreferenziale e facilmente memorizzabile: qualche giorno fa – più precisamente il 28 luglio – è uscito “Austin”, il quinto progetto personale di Post Malone, che non solo va ad arricchire la sua timeline discografica, bensì mette l’accento su una direzione stilistica che il nativo di Syracuse ha sempre palesato, a tratti addirittura dall’uscita di “Stoney”.
Sì, perché “Stoney” non è solamente stato il disco che ha acceso i riflettori su Posty, quanto anche un progetto estremamente variegato che ha permesso ai suoi neo ascoltatori del tempo di porsi una domanda piuttosto lecita: chi è veramente Post Malone? Il riscatto sociale, solito del rapper nascente che affoga i suoi dispiaceri in vasche di VVS e parchi auto da fare invidia, incorniciato da sonorità hip hop, era ovviamente presente in “Stoney”, ma c’era già di più. Sin dall’inizio, il suo malessere è stato contenuto in tracce diventate culto come “I Fall Apart” e “Feeling Whitney”, con cui ha saputo aprirsi riguardo la paura di sentirsi “piccolo” al cospetto del proprio partner, il timore di incombere nell’errore di risolvere i propri problemi servendosi di uno spiccato materialismo, la dipendenza dalle droghe e dall’alcol (“And I’ve been looking for someone to buy my drugs from”): insomma, seppure con diversissime sonorità e con switch di umore evidenti, se c’è una cosa che non possiamo assolutamente recriminare a Post Malone, è la sua trasparenza e naturalezza nell’aver sempre condiviso i suoi struggenti drammi con il pubblico.
Tutto questo sproloquio per dire che Post Malone non si è mai fatto alcun tipo di problema a parlare delle proprie insicurezze, anzi, i suoi successivi progetti (“beerbongs & bentleys”, “Hollywood’s Bleeding” e “Twelve Carat Toothache”) sono stati ancora una volta un modo per confessare quasi colpevolmente la sua ansia di stare al mondo. E allora arriviamo ad “Austin”. Se mettete in play il disco non vi troverete un Post tutto rose e fiori, ma se c’è un aspetto importantissimo da evidenziare, quello riguarda il modo in cui affronta le sue insicurezze: c’è una nuova auto consapevolezza (decisamente più matura), alcuni demoni oscuri sono stati superati o semplicemente messi momentaneamente in un angolino, e l’artista ha raggiunto uno step molto importante calcolando la sua ancora giovane età, ovvero quello dell’accettazione non solo di sé stesso, quanto anche dei propri vizi che inevitabilmente condizionano la sua vita, il suo modo di vedere le cose e il suo stato di salute. “Austin” è un disco che, tranne per alcune tracce, suona davvero diverso se paragonato ai suoi precedenti progetti in studio. Questo perché queste nuove 17 tracce (14 se sottraiamo “Chemical”, “Mourning” e “Overdrive”, i tre singoli svelati in anteprima tra aprile e luglio) sono da intendere come una testimonianza del fatto che Post Malone sia in una fase cruciale della sua vita: egli ha preso atto degli ostacoli che attanagliano la sua vita trasformandoli in una risorsa, diversamente da quanto raccontava in “Twelve Carat Toothache”, disco in cui si notava come egli fosse davvero vicino al baratro. Il progetto è una vera e propria conversazione a tre tra Malone, una ragazza e le sue dipendenze, in cui l’artista abbandona lo stile musicale che lo aveva sempre contraddistinto: questa volta Posty si è decisamente scrollato di dosso tutta quella patina filo trap e si è avvicinato finalmente a sound più “leggeri” (palesemente vicini al genere synth-pop) che sono peraltro perfettamente matchy con il suo nuovo approccio alla vita e senz’altro accentuano l’identità di questo album, che dimostra come una presa di coscienza degli aspetti negativi della propria vita possa in un modo o nell’altro portare a un modo più solare di raccontare sé stessi.
Se dovessimo scegliere una barra per rappresentare questo disco, dovremmo seriamente prendere in considerazione l’ultima traccia, “Laugh It Off”, in cui Malone racconta di aver ormai dimenticato come si piange (“I forgot how to cry”) e di non sentire più dolore, nonostante egli sia uscito sconfitto dalla sua battaglia con la dipendenza dal tabacco. Auspichiamo a Post Malone che questo disco possa simboleggiare una sorta di rinascita dalle tenebre, un passo fondamentale per la sua formazione e per il suo equilibrio, ma al contempo è giusto essere consapevoli che il prossimo album potrà raccontare di molto altro, e soprattutto, siamo aperti ad aspettarci l’ennesimo cambio di mood da parte di Malone. Per il momento – se riuscite – mettete per qualche secondo in pausa “Utopia”, e godetevi 51 minuti davvero interessanti con Austin.