«Energia. Senegal. Okay. Eravamo tutti pronti».
Quando Axell e Giulio Rosati hanno provato a raccontarmi il viaggio in Senegal con le parole, avevo percepito ma non afferrato la pienezza della vita in quei posti. Mi è arrivata tutta d’un colpo, quando una sera, seduta sul divano, ho visto il trailer del video girato in occasione dell’uscita di “Energia”. Un film, un’esperienza forse, per chi la sa guardare. Si tratta di un brano che segna un cambio di rotta per Axell, in un momento in cui la rabbia ha pian piano allentato la presa per lasciare spazio alla consapevolezza, poi travolta e accompagnata dai sette giorni passati in Africa con Ghali e il suo team. Accompagnata, anche, perché in Africa domande e risposte le si vivono insieme.
Erano tornati da appena una settimana quando mi sono ritrovata a parlare con lui e tutto il suo team – tra loro Giulio Rosati, regista, e Samuel Beraldi, Label Manager di Sto Records – di questo brano e di tutto ciò che gli gira attorno.
Axell è tranquillo, così come gli altri sta ancora metabolizzando ciò che è successo nelle ultime settimane: dopo aver scritto “Energia” su un beat di Mace e Vaporstef, la proposta dei ragazzi di Sto Records è stata quella di andare in Senegal per trovare, da qualche parte, quell’energia di cui parla nel pezzo. Gli scatti e il video vanno oltre le aspettative, e guardandolo è chiaro il motivo per cui gli brillassero gli occhi al solo pensiero.
Le immagini sono piene, dure. Ricordo che Giulio mi ha spiegato che «la luce è bianca perché c’è uno smog incredibile, le persone sono nere e sono tutti in controluce, a riprenderli si fa fatica». E inevitabilmente l’occhio cerca di catturare tutto, il suo con la camera e il nostro nel video. Bastano solo pochi secondi per capire che la ricerca è riuscita: in quella marea di impulsi e stimoli che sfuggono veloci all’interno del contesto, è l’energia che fa da guida. È l’energia che spinge i flussi, la cosiddetta sincronicità che unisce i puntini della vita. E in ogni attimo per pura casualità – o per destino, come dice Axell – succede di ritrovarsi immersi in uno di questi flussi. Travolti o forse cullati dal continuo accadere: è qui che l’energia ci muove.
Ci spinge avanti, e ancora avanti, e ancora avanti, finché non sfocia in un mare che nessuno sa che cos’è. Un video, un disco, una rivelazione. Una consapevolezza, una risposta. È proprio così che finisce il video di “Energia” uscito oggi, con la sponda del mare finalmente raggiunta – sarà per caso o per destino?
Pazienza è una parola chiave. Axell la infila spesso nelle sue risposte, la pronuncia alla fine del trailer, l’ha scritta sulle spiagge di Dakar come se volesse farla vedere anche al cielo. Pazienza, che va di pari passo con la crescita dello spirito e probabilmente lo aiuta, perché non significa solo aspettare, significa aspettare con coscienza, essere pronti a tutto ciò che arriva – positivo o negativo che sia – e accettarlo, continuando con i propri passi.
«È un dato di fatto. Se impari ad aspettare, impari a vivere», mi dice Axell quando gli chiedo perché è così importante per lui fare un passo alla volta, da uno a 100 senza saltare nessun numero. «Puoi fare tutto. Dipende solo dalla tua voglia, e dalla tua pazienza, perché nella vita le cose devi saperle aspettare». Eppure avrei detto che trovare scorciatoie per raggiungere l’obiettivo è ormai intrinseco nel genere umano. Gli artisti corrono per fare da zero a cento in un giorno – che si parli di contatti, soldi, visualizzazioni -, mentre Axell continua a mettere un piede davanti all’altro senza alcuna intenzione di allungare il passo. Non c’è bisogno.
Axell è uno che studia con gli occhi, impara, non sembra solito ripetere gli errori. Ciò che ha vissuto gli ha insegnato che le possibilità vanno colte senza troppo indugio e il ritorno in Senegal, dopo circa tre anni che non viveva quei luoghi, ha rafforzato in lui quel senso di dovere verso sé stesso e il mondo. «Quando ero là mi sono posto una domanda: se uno di quei ragazzini avesse avuto la mia stessa possibilità, cosa avrebbe fatto?».
Nato e cresciuto in Senegal, Axell ha lasciato la sua terra a 9 anni per andare a vivere a Torino, a Trofarello. In Italia, Europa. «Ti ricordi quando stavi dando il succo e le caramelle ai bambini?» dice rivolto verso Giulio, «quella roba m’ha toccato parecchio, perché ho visto come reagivano i bambini e mi ha ricordato quando io ero al posto loro. C’erano gli americani che davano biscotti e magliette».
Suo padre lavorava e viveva a Torino da tempo, «dormiva in stazione, andava a farsi la doccia nei bagni comuni e lavorava in ditta anche a Natale», tutto questo per pagare il passaporto al resto della sua famiglia. «Quando sei un bambino e vivi in Africa, le aspettative che hai sull’Europa sono tutte fantasie. Ti aspetti di arrivare qua e trovare la fontana da cui esce Coca Cola (ride, ndr). Sono cose stupide, però ci credevi veramente». Fa una pausa. «E invece no, era tutto più complicato. Ho visto la realtà delle cose. I primi cinque mesi dormivamo tutti in una stanza. A scuola tutti avevano i libri e io no. Io mi aspettavo di arrivare qua, sai, trovarmi la camera con Ben10, Dragon Ball, tutti i manga che mio padre mi portava. E invece niente. Poi guardi le cose e non ti lamenti, perché comunque sei in casa con altre persone che non si stanno lamentando».
Axell è capace di reggere il confronto, e pazientare, appunto – «se mio padre può pazientare così tanto, perché io che sono suo figlio, non posso farlo?» -, ma questo viaggio con tutto il suo team, con Ghali, a casa sua, gli ha fatto capire forse più che mai di essere fatto di carne.
«Non credo di aver mai pianto così tanto in vita mia. Ma ti giuro, io in Africa ero ogni giorno a piangere. E non è una cosa negativa, è solo che a fine giornata avevi mille domande in testa e avevi già mille risposte davanti. Le avevi già vissute. La realtà delle cose ce l’avevi in faccia».
L’Africa è luogo in cui il tempo è diverso, mi raccontano. Lì si vive il presente, un presente forte, crudo, che ti sbatte davanti la mera realtà delle cose, a volte amaro ma di cui ti innamori. Non si parla di futuro né di passato, si vive l’attimo. E per noi sembra inconcepibile: il nostro tempo è scandito in maniera diversa. In Africa non c’è niente di materiale, tutto è legato allo spirito. Pura energia. «Sei in un flusso bellissimo che ti tiene incollato al presente», dice Giulio. «È stata una medicina incredibile», ribatte Axell, «da quando ero bambino non ho più vissuto con quella tranquillità».
L’Africa mostra la realtà con occhi diversi, quelli dei bambini che vogliono giocare con chi viene da fuori, che impazziscono con le fotocamere e la musica, e a cui basta un tappo o una caramella per essere felici, non chiederanno di più. «Quando sei lì rischi di metterti addosso delle responsabilità che non hai. E in quel momento io ti assicuro che se hai un milione di euro glieli dai tutti a quei ragazzini, e tu rimani senza, perché vedi loro con quel poco come si divertono».
«Era partito con una valigia solo di scarpe», interviene Giulio, «ma le ha regalate tutte (ride, ndr)». «Non lo fai apposta. Non so come spiegare, a che cosa mi servono a me?».
Quando ti ritrovi in posti così lontani da quelli che vivi quotidianamente, in cui sei cresciuto e che ti hanno formato, il contraccolpo è sempre forte. La messa in discussione è forte. Il sistema di regole in cui ti sei sempre mosso improvvisamente è ribaltato, vedi e tocchi con mano la diversità e per un attimo non riesci a capire. Il giusto e lo sbagliato rimangono concetti sospesi in attesa di essere ricollocati una volta tornato a casa. E c’è una cosa che si sente più di altre, più della responsabilità, più del senso di colpa o di inadeguatezza: il privilegio. «Questo è stato il mio problema quando sono ritornato qui. Arrivato laggiù mi sono sentito una nullità. Qua è tutto facilitato e improvvisamente senti di avere una possibilità in più degli altri, però non stai dando il massimo e lo senti veramente. Per questo son tornato in Italia con molti più obiettivi».
Diventare un esempio. È questo ciò che mi risponde quando gli chiedo qual è il sogno di cui parla quando dice “sono cambiato, ma il sogno è rimasto lo stesso”. Ed è una risposta che un po’ mi spiazza, perché nessuno me l’aveva mai data prima d’ora. È chiaro che ad Axell l’Africa scorre nelle vene, l’energia scorre nelle vene. Non per sé stessi ma verso gli altri. Un flusso che coinvolge e che spoglia di tutto ciò che non è necessario. Libera. «In arte meno è meglio, no? Less is more», dice Giulio. «Forse nella vita vale la stessa identica cosa».
Ci torneranno, in Africa. «Quel posto ci ha dato tutto, tanto. Devo per forza andare in pari».