Ci siamo gasati tutti, è innegabile. Ma alla fine di questa esperienza è doveroso fare delle considerazioni oneste e anche amare, perché ciò che abbiamo visto – stavolta con i nostri occhi – è un caso unico (e forse irripetibile) nella storia della musica.
Un artista al centro di un pavimento spoglio, talmente vestito da non poter neanche confermare che sia lui, che balla all’ascolto del suo disco già uscito. Non c’è palco, non c’è microfono: questo non è un concerto, è una performance artista. Una delle più forti, semplici e genuine espressioni di sé stessi.
E questo a noi va bene, lo abbiamo capito: l’idea concettuale di rendere i listening party non più qualcosa di ristretto ed esclusivo, portandoli in giro per il mondo e dando la possibilità a tutti di partecipare al grande processo creativo, è innegabilmente forte e avanguardista. Ma possiamo davvero definirlo listening party non esclusivo se il disco è già uscito e i prezzi sono così proibitivi?
Volevamo e dovevamo esserci, perché – vuoi o non vuoi – si è trattato di un momento storico: il ritorno di Kanye in Italia dopo 18 anni e la prima volta che il listening party viene portato in Europa. Ma la verità è che tutto ciò è giustificato soltanto dal fatto che sia Kanye, che ci abbia fatto vivere qualcosa che di solito è decisamente troppo lontano. Lo ringraziamo di aver scelto noi, di aver scelto l’Italia e di averci fatto vivere un po’ d’America, portando artisti che tutti insieme non abbiamo mai visto. Forse non siamo pronti, oppure qualcosa poteva essere diverso. La linea è sottile. La linea è sottile.
Lo abbiamo lasciato esprimere, abbiamo cantato con lui, con la fortuna di sentire qualche pezzo inedito, abbiamo apprezzato l’uscita e poi il nuovo ingresso di tutti quanti sul palco per cantare un’ultima volta “Carnival”, andava tutto bene. Ma l’amaro in bocca è arrivato quando, in procinto di metterci la giacca, è partita “Can’t Tell Me Nothing” e noi, gasati come bambini, abbiamo mollato tutto per tornare a cantare un brano davanti a un pavimento vuoto, uno spazio morto che Kanye West aveva già abbandonato. È lì che ci siamo resi conto che qualcosa non andava, che quell’evento stava in piedi soltanto per l’aura fortissima che solo Kanye può avere. Che solo a Kanye perdoniamo.
Le premesse sono belle, così come il concetto, ma purtroppo troncato a metà da una spesa che non torna nell’equazione e nell’intento di rendere l’arte qualcosa di aperto e di tutti.