Progettare in alta quota: il caso del Bivacco Fanton

Solo poche settimane fa, il Bivacco Fanton, realizzato a 2.667 metri di altezza, in bilico sulle pendici rocciose delle Marmarole, ha vinto l’International Architecture Award 2023, il riconoscimento rilasciato dall’European Center for Architecture Art Design and Urban Studies che rende omaggio ai nuovi sviluppi nel design e sottolinea le direzioni e la comprensione degli attuali processi all’avanguardia coerenti con il pensiero progettuale di oggi.

Bivacco Fanton

Ultimato a settembre 2020 e accessibile dalla primavera del 2021, con letti a castello per ospitare fino a 12 persone, il Bivacco Fanton prende il nome dei sei fratelli pionieri dell’alpinismo dolomitico. È stato incaricato dal Club Alpino Italiano al fine di fornire un rifugio gratuito e di emergenza agli escursionisti, lungo uno dei passaggi più impervi e selvaggi delle Dolomiti. Ci troviamo nel bellunese, a Forcella Marmarole, luogo che segna l’incontro esatto di due valli dolomitiche affacciate su Cadore.

Al momento della sua inaugurazione, Studio DEMOGO, lo studio di architettura italiano responsabile del progetto, definì l’atmosfera del rifugio con l’esemplare espressione “equilibrio instabile”. Osservandolo l’impressione è proprio quella che possa scivolare giù dal fianco della montagna da un momento all’altro. Ma ovviamente non lo farà.

Esternamente, il suo aspetto formale assume i tratti di un volume squadrato, sospeso su un irto dirupo e protetto da una lamiera in zinco titanio che, oltre a conferire al bivacco uno stile estetico unico, garantisce allo stesso una sicurezza duratura. All’interno invece, grazie a un’organizzazione iper-funzionalista, regna l’equilibrio: una pancia di legno, che attutisce l’impatto della natura selvaggia, compone le contropareti, il controsoffitto e la pavimentazione gallegggiante, poi una fibra di vetro che si infittisce rafforzandosi strato dopo strato, come una seconda pelle che diventa guscio e struttura insieme.

Fuori la maestosità della natura ostile, dentro la (miniaturizzata) comunità degli uomini, in un’ancestrale opposizione di caldo e freddo, luce e oscurità. Tra loro, la membrana protettrice e materna del bivacco.

La struttura di base che sostiene la “zona giorno” superiore è indipendente, realizzata con un sistema che prevede delle perforazioni puntuali e l’inserimento di perni metallici ad espansione, al fine di modificare la roccia in aree il più possibile contenute, senza avvalersi di materiali chimici o comunque artificiali.

La parte superiore del bivacco si origina invece a partire da tre blocchi distinti: tre cunei che puntano verso il cielo, dialogando fra loro e con i molteplici orizzonti, giocando su differenti altezze ed inclinazioni, su asimmetrie, sulle fratture e sui lievi scarti fra i piani contrapposti che risultano sospesi, staccati dal terreno. Assumono così un forte carattere di leggerezza e inconsistenza se messi a confronto con gli speroni di roccia, i picchi maestosi che li circondano. Anche il materiale di rivestimento, lo zinco naturale in lastre verticali accostate, vuole essere evocativo, rimandare alla verticalità delle impervie pareti rocciose dove le stratificazioni creano piani sovrapposti netti, con andamenti omogenei.

Le quattro facciate sono realizzate utilizzando pannelli sandwich coibentati, anch’essi prefabbricati, con uno strato interno di legno forato e un guscio esterno in alluminio spazzolato, permettendo così di disporre le fibre di rinforzo in relazione alle necessità specifiche, riducendo al minimo il peso complessivo della scocca (circa 2.500 kg). La pelle stessa è sostenuta da un telaio in alluminio: quest’ultimo, estremamente leggero, si monta e smonta in poche ore. Una volta posati i piani di copertura, sono state messe in opera le necessarie converse in lamiera di giunzione al fine di ottenere la massima sigillatura e impermeabilizzazione.

L’intera costruzione non contiene né parti in cemento né di permanenti ed è completamente reversibile, sostituibile e riciclabile. Il Bivacco Fanton è stato elitrasportato a quota 2667 metri a Settembre 2020 con un volo unico.

La forma sottile della cabina, che sembra pendere quasi pericolosamente dal suo sito roccioso, è stata concepita come un cannocchiale puntato verso valle. Da un’estremità presenta una piccola finestrella mentre dall’altra è completamente vetrata con una più ampia finestra inclinata verso il dislivello vertiginoso, da cui godere di una vista mozzafiato. A testimoniare il forte legame fra la struttura e il territorio, il fatto che il volume stesso si definisce a partire dalla natura circostante, sfruttando la verticalità e l’inclinazione orografica delle Marmarole e organizzando la spazialità interna in modo ascensionale lungo il pendio. Una forma di architettura estrema che inquadra e circoscrive lo spazio, rendendolo opera di connessione tra uomo e ambiente, roccia e luce, vento e neve.

Il Bivacco Fanton si presenta così come una microarchitettura, sbilanciata nei numeri – 30 mq hanno richiesto più di 10mila ore di progettazione, una durata totale di sette anni intercorsi tra l’emanazione del bando di concorso e l’inaugurazione dell’opera, il coinvolgimento di decine di architetti e consulenti esterni, oltre a esperti del territorio dolomitico – ma di indiscutibile valore. L’opera affronta sfide tecnologiche complesse e si propone come un progetto teso a esplorare la ricerca sui materiali in alta quota. D’altronde, costruire a 2700 metri di altezza ha un valore e un senso differente.

DEMOGO, con sede a Treviso, ha progettato il bivacco sia per la sua funzionalità pratica, sia per il valore architettonico dell’edificio, volto a celebrare l’incredibile ambiente circostante. Da un lato quindi il rifugio come materializzazione di sensazioni primordiali, come luogo di riparo volto a ospitare esploratori dei territori d’alta quota, dall’altro il desiderio, in uno dei pochi territori dove il dominio della tecnologia non è ancora assoluto, di un’idea semplice e lineare della funzionalità e della tecnica architettonica più pura, che sfida le ostilità della Natura.

Bivacco Fanton

C’è qualcosa, nell’idea di rifugio in alta montagna, che da sempre affascina i progettisti dello spazio fisico, architetti, ingegneri, o altro essi siano. Un po’ come l’alpinista che cerca nell’incontro con la roccia il confronto/scontro con la Natura, nell’incontro con l’alta montagna il progettista ricerca il limite delle proprie possibilità costruttive e trasformative dell’ambiente.

Nel constatare che vi è certamente qualcosa di morale, di etico in tutto questo, non si può trascurare il valore concreto di una simile pratica, che riguarda il ruolo dell’architettura all’interno dei processi di trasformazione del territorio alpino. Come (e se) l’architettura possa contribuire alla costruzione di un ambiente montano di maggior qualità, sicurezza e rispetto. Le condizioni climatiche estreme del contesto alpino, la difficoltà di accessibilità dei siti di progetto, la necessità di coordinare cantieri brevi nel corso del periodo estivo  richiedono uno sforzo progettuale ed una serie di attenzioni tecniche decisamente più marcate rispetto alle realizzazioni nei contesti urbanizzati, rendendo necessario un ripensamento dell’intero processo edilizio e degli aspetti logistici di organizzazione del cantiere. Senza trascurare la funzionalità e l’essenzialità del rifugio, progetti come quello del nuovo Bivacco Fanton possono rivelarsi apripista per il futuro della pianificazione alpina. 

Sobria e integrata con l’habitat alpino, l’opera realizzata dallo studio DEMOGO riesce, in maniera intelligente, a interpretare i temi dell’oggi: risparmio energetico, qualità dello spazio interno ed esterno dell’abitazione, recupero del patrimonio in abbandono, nuovi spazi per nuove funzioni in relazione alle possibilità di ri-abitare la montagna. L’alta quota si qualifica così come contesto ideale per sperimentare una conciliazione qualitativa di ambiente naturale ed interventi antropici, punto di contatto fra tradizione e innovazione.

Infine, forse, a incentivare i desideri di architetti e progettisti, anche una velata nostalgia: in un mondo contrassegnato dalla infinita “moltiplicazione dei possibili” resa oggi fattibile dalla tecnica, ritrovare, nella natura estrema, la legittimazione e la radice del proprio operare.