Nell’estate del 2021 “Bootylicious” delle Destiny’s Child ha compiuto 20 anni, un traguardo che nessuno di noi ha avuto il tempo di festeggiare, troppo impegnati a decifrare le regole per andare in vacanza nell’epoca del Covid. Non ho mai fantasticato su dove sarei stata a 30 anni, se ci sarei arrivata con un marito o un figlio, ma ricordo esattamente di aver segnato questo anniversario nella mia testa. Chi sarò quando “Bootylicious” avrà compiuto 20 anni? Uscirò con le stesse amiche? Avrò una casa tutta mia? Avrò scopato? Sarò stilosa come Beyoncé?
Il 2001 è stato l’anno dove è cambiato tutto, non me ne voglia il tanto celebrato 2000, ma solo il 2001 è riuscito a modellare il presente che stiamo vivendo. In quell’anno uscirono – a poche settimane di distanza – i primi capitoli delle due saghe cinematografiche più famose dei nostri tempi: “Harry Potter e la pietra filosofale” e “Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello”. Le due serie si sarebbero rincorse al cinema per un paio di episodi, tant’è che molti di noi hanno pensato che si trattasse della stessa storia raccontata da due punti di vista diversi. Alla fine Harry Potter e Frodo si assomigliano pure. Il 2001 è l’anno di George W. Bush Presidente degli Stati Uniti d’America, del lancio di iTunes, dell’incoronamento di Pierce Brosnan come uomo più sexy del pianeta da parte della rivista People, della morte di Aaliyah e della nascita di Billie Eilish. L’estate del 2001 scorre pesante e caldissima tra due terremoti sociali: si apre con il G8 di Genova e si chiude con l’attacco alle Torri Gemelle.
Ma per me, per un solo lungo pomeriggio durato tre mesi, quella è stata l’estate dell’uscita di “Bootylicious” delle Destiny’s Child.
Avevo 12 anni e iniziavo ad avere problemi con il mio corpo. È l’estate in cui sono diventata donna, una medaglia che mi sono guadagnata con l’arrivo delle mestruazioni – certo – ma anche con quello della consapevolezza di non piacermi. Le mie amiche conservavano ancora corpi da bambine, magre e slanciate come piccole ginnaste russe con un futuro da spie. Io, che slanciata non lo ero mai stata, mostravo già i segni di un futuro dedito alla crema anticellulite. Avevo l’assoluta certezza che il mio corpo stesse evolvendo in qualcosa di mostruoso: iniziarono a crescere i peli sotto le ascelle, i capelli esplosero in una massa riccia e ingestibile, mi spuntarono delle tette a forma di vulcano rovesciato, per non parlare dei capezzoli che sembravano possedere un sorriso piatto. Mi domandavo come mai nessuno fosse preoccupato per me, per la mia salute, perché nessuno si era ancora offerto di aiutarmi? «Santo cielo, queste smagliature viola sulle cosce sono normali? Sono incinta?» (Poi controllavo il “Cioè” e scoprivo che prima di rimanere incinta dovevo almeno aver praticato del petting, qualsiasi cosa fosse).
Osservavo le mie amiche e ammiravo i loro corpi così sottili che bene si amalgavavano con tutto il resto: Hilary Duff su Italia 1, le lunghe gambe di Alessia Marcuzzi al Festivalbar, le modelle della Onyx, la moda dei pantaloni a vita bassa. Quando ci trovavamo per imparare le coreografie dei video pop che passavano su MTV (o su qualche canale privato simile raggiunto grazie alla mitica scheda falsa di Tele +) loro avevano ancora quella fiducia, quella leggerezza, di dichiarare ad alta voce frasi come «Io sono Britney di “Oops!… I Did It Again”» oppure «Io ho lo stesso fisico di Christina Aguilera». Io era almeno dal 1999 che non confessavo a qualcuno che – ebbene sì – anche io ho pensato per un luminoso anno che da grande sarei diventata come la Jennifer Lopez di bianco vestita in “If U Had My Love”. Quando cresci guardando i corpi degli altri in TV non pensi che a te possa andare diversamente, pensavo che quella fosse la normalità. Doveva essere così, altrimenti cosa ci stavano facendo guardare? A 10 anni potevo crederci, a 12 mi ero già rassegnata. D’altronde non esistevano ragazze grasse in televisione. Poi, durante un torrido pomeriggio di giugno, in tv appare questo videoclip e per la prima volta al centro della scena c’è una donna con dei fianchi sporgenti, regina in mezzo a due donne più magre di lei. Eravamo bambine cresciute nel mito del saggio di danza di fine anno scolastico, mesi di silenziosa ammirazione nei confronti delle ragazze più grandi ci avevano insegnato che chi occupa il centro della scena è automaticamente la leader del gruppo. Incredibile come questa regola valesse per quella tamarra di Valeria della 3C e per Beyoncé Knowles. Dopo le prime immagini vibranti di “Bootylicious” scattiamo in piedi, dal divano ci ritroviamo appiccicate allo schermo della televisione, guardiamo rapite le Destiny’s Child dimenarsi in un set ultra colorato, Beyoncé irrompe sulla scena con un outfit rosa acceso e per la prima volta non solo ho la percezione di essere vista, di esistere, ma quella stessa sensazione viene condivisa dalle mie amiche che esclamano «Ele, ma sei tu!»
Ora – con delicatezza, vi prego – pensate quanto è stato difficile essere una teenager grassoccia negli anni 2000 se l’unico corpo a cui era possibile paragonarti era Beyoncé Knowles. Pensate che razza di mondo era quello dove le mie amiche erano davvero convinte che la gente avrebbe scambiato me (Elena, una dodicenne bianca perennemente sudata con una propensione per il disegno) con Beyoncé (dea appena ventenne, soda e liscia come il marmo di Carrara). Il migliore dei mondi, ecco la risposta. Vent’anni dopo, riguardando il video (non più in televisione ma su Youtube), mi sono resa conto che io e la mia generazione abbiamo vissuto nella menzogna, ma è tempo di fare ammenda: definire Beyoncé una culona o “tanta” è stato un gesto davvero coraggioso.
Così ci è stato detto dagli adulti e noi ci abbiamo creduto. Io non solo ci ho creduto, ma ho costruito il mio guardaroba e la mia personalità attorno a questa bugia. «Se mi tocca essere culona allora sarò culona come Beyoncé», ripeteva quella scema della me dodicenne. Questa verità svelata vale per Bey, ma molto più in generale vale per tutti noi. Vi sarà capitato di riguardare delle vostre foto e pensare «MA ERO SPETTACOLARE E NON LO SAPEVO!». Pensate a quella disgraziata di Beyoncé che doveva fingere di essere grassa per far stare meglio il mondo intero. Probabilmente indossava una 40, ma ci stavamo per immergere in un’epoca che per anni ci avrebbe ripetuto che sopra la 36 non esisteva nulla di degno da destare ammirazione, figurati una popstar!
La leggenda narra che “Bootylicious” sia stata scritta da Beyoncé in sole 14 ore, e io ci voglio credere.
Nella puntata di MTV Making the Video (programma tv migliore di sempre, i cui spezzoni caricati su YouTube rallegrano molte delle mie giornate) la cantante racconta di essersi immediatamente innamorata del riff di chitarra di “Edge of Seventeen”, il brano della cantautrice Stevie Nicks che viene campionato per tutta la durata del pezzo. Non è d’accordo con questa versione dei fatti Rob Fusari, co-autore del brano, ma questo lungo pezzo racconta della mia totale sottomissione alla regina Beyoncé Giselle Knowles quindi capirete bene che non c’è spazio per un nemico della dittatura. “Bootylicious” è subito una hit, ma la consacrazione arriva con il videoclip: le nostre eroine shakerano il loro “jelly” avvolte in quella che sembra una navicella spaziale anni Settanta dove i soli colori ammessi sono quelli primari. Abiti succinti, palette satura, ritmo incalzante, tutto è costruito per tenerci incollati alla televisione e sentirci immerse in quel momento. Di rivoluzionario non c’è solo il fisico a clessidra di Beyoncé, ma anche il susseguirsi di ballerini di ogni taglia e razza che si esibiscono fieri davanti alla camera (spiccano due camei importanti: Solange Knowles e proprio la leggendaria Stevie Nicks, con tanto di chitarra e pantaloni pitonati color magenta). È la loro presenza a illuminarci sul vero significato della canzone: ribellarsi allo standard di bellezza di fine anni Novanta che vuole la donna magra, bionda e bianca. Questo concetto passa prima attraverso il corpo – perfetto, ma diverso – di Beyoncé per poi travolgere tutti noi. Celebriamo il successo planetario di Beyoncé, donna nera e curvy a cui veniva chiesto di perdere peso e di vestirsi meno urban, ma ancora oggi quando balliamo sulle note di “Bootylicious” celebriamo anche i nostri corpi – normali, insicuri, a volte distanti – che raramente passano il severo esame che noi stessi infliggiamo. Non è un caso che in “Red”, film della Pixar ambientato nella Toronto del 2002, questa canzone faccia da colonna sonora proprio al momento in cui la piccola protagonista decide di accettare il suo nuovo corpo da gigantesco panda rosso.
Quello che si scatena dopo il successo di questo pezzo è un uragano estetico-sociale: i giornali iniziano a utilizzare il termine bootylicious per descrivere la fisicità di Beyoncé – certo – ma anche quella di J.Lo e Shakira. In un momento in cui le giovani popstar sono ninfette a cui non è concesso nulla se non piangere in attesa del vero amore, queste tre donne (un’afroamericana e due latine) scalano le classifiche riappropriandosi delle proprie forme, delle proprie origini e anche della propria sessualità.
È stata una rivoluzione lenta, lentissima. Non è che dopo l’uscita di questa hit R&B abbiamo risolto i problemi della rappresentazione del corpo femminile, anzi. Con l’avvento di internet, di Photoshop e dei siti scandalistici dove potevi paragonare il tuo peso a quello delle star, vi posso assicurare che le cose sono solo peggiorate. Eppure il seme della ribellione era stato gettato e nell’asfalto rosa del pop ha trovato una crepa: abbiamo iniziato a cantare “I don’t think you’re ready for this jelly” davanti allo specchio provando a crederci, in qualche modo orde di ragazzine hanno capito che il testo non parlava solo di un bel culo ma dell’intero pacchetto. Non sei pronto per me che sono una “bella persona” (e magari anche un bel culo, perché no).
Forse il mondo non era pronto per quel gioiello, ma si è sparsa la voce che un nuovo modello femminile era possibile. Mentre Britney Spears e Lindsay Lohan pagavano a caro prezzo l’aver provato a ribellarsi alla maschera delle graziose e posate ragazzine americane, Kim Kardashian ha iniziato ad attirare più attenzione di Paris Hilton, mentre Nicki Minaj e Lady Gaga iniziavano a pensare al loro corpo non come bello ma come provocatorio, esagerato, fastidioso. Poi – grazie al cielo – abbiamo imparato che era una follia pensare che le donne potessero esistere solo in due versioni – come se si parlasse di automobili -, la versione magra e la versione a clessidra e non c’è bastato più. Con il riff di chitarra di Stevie Nicks sempre in mente abbiamo iniziato a lamentarci della pubblicità dei brand di lingerie dove una donna magrissima ma con le tette enormi veniva descritta come formosa, morbida, curvy. Il mondo del pop non è la realtà (ma questo, come sapete, lo avevo già scoperto nel 1999) ma quel torrido pomeriggio di giugno mi ha permesso di sviluppare la convinzione che non fossi sbagliata, che poteva esiste un futuro pieno di amore (e grandi outfit) anche per quelle come me.
Onestamente, mentire a me stessa e avvicinare la mia fisicità a quella di Beyoncé aveva il potere di risollevarmi da uno di quei classici momenti adolescenziali dove pensi che tutto nella vita ti andrà male perché sei brutta o diversa. Essere definita “la Beyoncé del gruppo” (da nessuno se non da quelle tre amiche con cui dividevo il mio tempo) permetteva alla me teenager di non soffrire costantemente il paragone con le mie compagne di classe e con le centinaia di ragazze che ammiravo il sabato pomeriggio in centro. E vi dirò di più, io voglio fantasticare sull’idea che se oggi abbiamo dive come Lizzo, Doja Cat, Nathy Peluso – che usano il loro corpo come strumento attivo sul palco e scrivono lyrics esplicite – è anche grazie all’uscita di “Bootylicious” in quell’estate del 2001.
I bikini firmati Fantabody sono disponibili sul sito del brand