C.P. Company presenta un nuovo capitolo del suo progetto “Eyes on The City”, protagonista Rejjie Snow e una Parigi autentica

C.P. Company porta avanti il progetto globale “Eyes on the City” presentando un nuovo capitolo intitolato “Paris Mon Amour“.

Questa volta il brand ha seguito il rapper Rejjie Snow alla scoperta personale di una Parigi meno conosciuta e più autentica, lontana quindi dalla Tour Eiffel e dai classici stereotipi a essa legati. Facendo un giro tra le banlieues e i suoi graffiti, si percepisce come la vera essenza della città abbia influenzato l’ultimo album dell’artista “Dear Annie”, con l’aggiunta di rime più secche e liriche dall’inflessione irlandese.

Un importante fatto che ha caratterizzato l’opera, è stata la comprensione del mondo femminile da parte del rapper, che si è sentito fortemente ispirato dalla determinazione delle donne francesi, a tal punto da aver contribuito alla sua crescita artistica. Negli scatti si può notare come tutto ciò sia stato filtrato attraverso gli occhi del marchio, con i capi della collezione autunno/inverno 2019.

In occasione della campagna, abbiamo fatto qualche domanda a Lorenzo Osti, Presidente di C.P. Company, che ci ha spiegato il progetto “Eyes on The City”, di come è nata la collaborazione con Patta e dei progetti futuri.

Avete presentato il nuovo capitolo del vostro progetto “Eyes on The City” per presentare la collezione fall/winter 2019. Per chi non lo sapesse, qual è l’obiettivo di questa iniziativa e chi è il protagonista di questo ultimo episodio?

“La cosa più bella di questo progetto è che è nato dal basso, dai nostri consumatori, abbiamo cominciato a vedere su Instagram delle foto dove si facevano fotografare da dietro con la Goggle Jacket, si vedevano le lenti in primo piano e dietro gli sfondi di città o ambienti.

Era un format visivo molto forte, perché avere il soggetto di spalle in una foto è abbastanza insolito, e poi riusciva a mettere insieme una parte di brand e una persona; ognuno lo faceva in posti con i quali aveva un legame. Noi siamo un brand urbano, parliamo del rapporto fra le persone e il loro spazio e la marca faceva proprio da ponte fra le persone e questo spazio, diventava in qualche modo un mezzo espressivo. Nelle campagne dei primi anni abbiamo usato le foto degli utenti, col tempo abbiamo sentito il bisogno di evolvere e di realizzare una narrazione più profonda attraverso degli ambassadors. In realtà la narrativa è la stessa, ma vogliamo parlare di queste persone e del rapporto con la loro città, il loro spazio. Il primo episodio è stato con Rkomi a Milano, scelto perché era fan di C.P. Company, ed è nato tutto in modo molto naturale e spontaneo. Dopodiché abbiamo lavorato con Mike Rudaev a Mosca, Gary Aspden a Londra, Akira Nakai a Tokyo, BewhY a Seoul e infine Rejjie Snow.

A me piace particolarmente questo ultimo capitolo con Rejjie, mi piace il suo stile musicale, la sua autenticità. Quest’anno gli abbiamo chiesto di disegnare una limited edition, ha realizzato delle grafiche per le t-shirt che usciranno con il lancio della campagna.”

Quest’anno sei diventato presidente di C.P. Company. Come hai vissuto la nomina considerando che si tratta dell’azienda fondata da tuo padre?

“È un grandissimo onore. Io non l’ho chiesta questa posizione, mi è stata offerta. Ho interpretato la nomina come gesto di apprezzamento del lavoro fatto in questi tre anni dove io ho fatto marketing, ho questo background. Quando è stato acquisito il marchio, Peter Wang Chairman di C.P. Company mi ha chiesto di partecipare, è stato molto onesto, mi ha detto: “C.P. Company ha una grande storia che voglio rispettare, voglio che tu ne faccia parte in modo che tu possa portare avanti lo spirito del brand.””

Nel 1971 Massimo Osti fonda Chester Perry che successivamente diventerà C.P. Company reinterpretando quello che era il classico guardaroba da uomo. Ora, arrivati nel 2019, pensi che le idee di tuo padre siano ancora parte dei capi?

“C.P. ha la fortuna di avere un team che conosce questo marchio da molto tempo, per esempio abbiamo il responsabile prodotto e design che ha cominciato a lavorare da giovane con mio padre. Tutte le persone che vengono da questo mondo lo conoscono molto bene e quindi secondo me siamo riusciti a mantenere, anzi quasi a riprendere, lo spirito originale che si era un po’ perso negli anni.”

C.P. Company nell’ultimo periodo si è distinta per le sue collaborazioni. Fra queste, la più ricercata è quella con Patta. Ci racconti come è nata e soprattutto se avete in progetto altre partnership?

“A me è piaciuta moltissimo. È nata in maniera piuttosto casuale, si sono sentiti su Instagram Guillaume di Patta e Giovanni, uno dei nostri ragazzi. Ci siamo incontrati e da lì è scattato un feeling umano, sono ragazzi entusiasti, in gamba, onesti, appassionati.

I ragazzi di Patta poi sono venuti in archivio, hanno cercato ispirazione e hanno visto tutto il lavoro di immagini grafiche che faceva mio padre negli anni ’80 e hanno detto: “benissimo, ripartiamo da lì”. Mi è piaciuto che abbiano reinterpretato una cosa che non è classica, storica e l’hanno resa molto contemporanea.

In archivio hanno visto i gilet, perché mio padre ne ha una bella collezione, era molto fissato con la funzionalità e il vest per lui era il massimo. Negli anni ‘80/’90, mio padre diceva “io voglio fare capi per chi mi può capire, quelli che non capiscono non comprano, non importa” ed era così, c’erano gli appassionati di prodotto e una serie di follower. L’abbigliamento per tanti anni è stato una commodity e non più un mezzo di espressione, come anche la tecnologia d’altronde, che è di nuovo una commmodity. Secondo me oggi si sta riprendendo questo linguaggio, i giovani sono più evoluti viaggiano, studiano, ragionano. Credo sarebbe la cosa di cui mio padre sarebbe più orgoglioso.

È stata anche una questione di rispetto, sia umanamente che a livello di competenze e storia: quando c’è alla base una sinergia del rispetto del lavoro fatto e di chi sei oggi, già lì nasce un bel progetto.

Abbiamo notato che da quando abbiamo rilanciato il brand, abbiamo cominciato ad essere acquistati da un target molto giovane, che non poteva conoscere C.P. Company dall’inizio e questo ci ha fatto moltissimo piacere. Per me questo è stato il successo più grande perché C.P. Company ha sempre avuto un grande affetto da parte dei suoi clienti, che però avevano la mia età e quindi stavamo un po’ invecchiando. È stata una grande fortuna avere un nuovo inizio in qualche modo, cominciare con una generazione nuova. L’abbiamo scoperto perché alcuni negozi hanno cominciato a dirci che le taglie piccole andavano sold out la prima settimana.”

E invece, per il futuro? Progetti?

“Abbiamo un progetto che ancora non possiamo anticipare, ma che secondo me è interessante e abbraccia tutti i temi di cui abbiamo parlato. Per quanto riguarda le collaborazioni si può dire che stiamo ancora parlando con Patta, vorremmo farne un’altra. Il mio desiderio sarebbe di replicarla perché secondo me negli incontri ci sono venute tante idee, quindi c’è modo di poter realizzare una seconda edizione. Di collaborazioni ce ne stanno chiedendo tante, vorremmo che fossero significative però, quindi siamo molto selettivi. Alcune prestigiose di cui ci sentiamo lusingati, ma se non troviamo una connessione autentica noi lasciamo stare. Ad esempio, quelli di Patta sono rimasti positivamente colpiti da come lavoriamo, non si aspettavano che ci fosse tutto quel lavoro dietro un prodotto.”