Bill Gates sostiene che i fratelli Wright siano stati gli inventori del primo World Wide Web dell’umanità: l’aeroplano, capace di avvicinare culture, linguaggi, persone e valori. Se questo fosse vero, allora gli aeroporti sarebbero la rappresentazione fisica dei siti web. Non a caso “landing page” è un termine comunemente usato nella programmazione di un sito web.
Gli aeroporti sono i primi assaggi di un nuovo luogo da scoprire, i punti di partenza e di arrivo di ogni avventura alle porte, e proprio per questo facciamo fatica a soffermarci per notare la loro costituzione. Il valore empirico che assumono all’interno del viaggio non ci permette di analizzarli concretamente, ma solo attraverso uno strato di esperienze più o meno consce che ce lo fanno valutare in base ai servizi offerti, ai negozi disponibili o spesso addirittura alla complessiva esperienza di volo.
Se invece li sezionassimo come degli scienziati, ci accorgeremmo che gli aeroporti, proprio per la loro natura di luogo di passaggio e di connessione tra un’indefinita quantità di lingue e persone, devono essere progettati minuziosamente: ad esempio, il percorso più breve per i gate o per le uscite deve essere intuibile a chiunque, anche se non parla le lingue delle indicazioni o utilizza un sistema numerico diverso da quello arabo; deve essere in grado di gestire un enorme traffico di persone, filtrarle e incanalarle fino agli aerei senza pero’ risultare affollato, confusionario o lento. Diventano importanti gli algoritmi che calcolano il numero di passi ottimali e la lunghezza delle serpentine che portano i passeggeri attraverso i sistemi di sicurezza. Tutto questo mantenendo un’accessibilità pressoché totale per garantire a chiunque di poter raggiungere in comodità il proprio volo.
L’antropologo francese Marc Augé definisce gli aeroporti come il non-luogo per eccellenza, uno spazio incentrato unicamente sul presente che si srotola attorno a noi e, proprio come il mondo contemporaneo, è estremamente precario. E allora il design che lo compone deve necessariamente seguirne la natura, ottimizzare gli spazi per contenere un numero sempre crescente di persone, pur garantendone il comfort durante le attese aumentate con l’introduzione degli avanzati sistemi di sicurezza.
Per quanto riguarda la forma architettonica, lo stile è spesso necessariamente fortemente strutturalista, con travi reticolari e pilastri a vista che scandiscono i lunghi hub che accolgono i viaggiatori. Il design è spesso volutamente non rifinito o decorato e le materie prime sono ben visibili: le gettate di cemento armato dei muri portanti e dei solai, le travi reticolari in acciaio o i pilastri in ordine gigante sono elementi tutt’altro che rari nei più moderni aeroporti, come ad esempio lo spettacolare terminal 4 dell’aeroporto Madrid Barajas. Conseguenza sia di un’esigenza di grandezza e resistenza sia della necessità di risparmio su decorazioni e abbellimenti tutt’altro che fondamentali quando si pensa all’ecosistema aeroportuale.
A loro volta gli arredi aeroportuali devono seguire tre fondamentali dettami: qualità, design semplice e durabilità. Ed è proprio con queste tre qualità che Charles e Ray Eames nel 1962 progettano la Eames Tandem Seating (ETS) per Vitra™, per l’aeroporto di Washington DC, progettato dal loro amico Eero Saarinen. Tutt’oggi Vitra™ ha la ETS in produzione. Il disegno e’ caratterizzato da una struttura robusta con due file di sedute da entrambi i lati, i cuscini sono intercambiabili e sostituibili direttamente in loco senza dover smantellare l’intera panca, la quale è dotata di poggia braccia che non solo garantiscono un’attesa più confortevole ma rendono anche i viaggiatori più inclini a sedersi uno di fianco all’altro in sedili adiacenti con uno spazio personale determinato e scandito dai braccioli rispetto a una panchina senza questi ultimi.
Ancora nel portfolio di Vitra troviamo una moderna reinterpretazione della ETS: la Airline, disegnata da Norman Foster. Gli elementi ci sono tutti, ma ancora più semplificati per raggiungere la totale efficienza. I cuscini sono sostituiti da uno strato in schiuma di poliuretano per un effetto di imbottitura senza i problemi di durabilità di un cuscino vero e proprio, la seduta è ergonomica e il tutto può essere assemblato e modificato con l’utilizzo di una sola chiave inglese. Il tocco finale per garantire quel sapore di industrial design tipico degli aeroporti è la trave di sostegno fatta da un profilo di alluminio che sorregge l’intera lunghezza della panca.
L’altro grande elemento del design di interni di un aeroporto è molto meno tangibile ed è rappresentato dalle fonti di illuminazione, non importa se naturale o artificiale. Precedentemente considerata solo come qualcosa di necessario per l’utilizzo del luogo, ora invece l’illuminazione assume fondamentale importanza anche per la scansione del tempo e la suddivisione degli ambienti. L’architettura dei più moderni aeroporti cerca infatti di far entrare più luce naturale possibile all’interno delle grandi sale con enormi vetrate lungo tutto l’edificio o attraverso incombenti lucernari, come nel caso della nuova boarding area di Fiumicino. Infatti, a differenza dei centri commerciali o dei negozi, in questo caso il tempo che scorre non rappresenta qualcosa da nascondere e da cancellare dalla percezione dei clienti ma, ovviamente, qualcosa da tenere bene a mente e da ricordare costantemente a chi sta utilizzando l’aeroporto.
Persino il calore delle luci viene studiato nei minimi dettagli in base all’area che si sta illuminando: la hall centrale spesso infatti è uno spazio di grandi dimensioni ed è necessario oltre alla luce naturale l’utilizzo di potenti fari con luce fredda, riflessi sulle superfici che la contengono, poiché qui è dove i passeggeri vivono i momenti più concitati e hanno bisogno della maggior visibilità possibile. Una volta superati i controlli e arrivati alla sala del Gate, invece le luci saranno più calde per accompagnare le attese dei viaggiatori e invogliarli a fare shopping e rilassarsi con delle luci più accoglienti.
Le illuminazioni artificiali sono quasi sempre limitate ai soffitti altissimi delle immense sale d’attesa; seppur così lontane dall’occhio umano, anche queste possono avere un design iconico come i lampadari del Suvarnabhumi Airport di Bangkok, in stile industriale ma che richiamano i loro predecessori a candele. Interessante anche come oltre alla pura funzione di fonti di luci per gli ambienti, possano essere usate per incanalare il traffico di viaggiatori nella giusta direzione, come nel caso dell’aeroporto di Schipol di Amsterdam, dotato di luci lineari che indicano al flusso di persone dove andare; o semplicemente come tratto distintivo fondante come i dischi sul soffitto di Heathrow a Londra.
In conclusione, riprendendo la metafora dell’aeroporto come un sito web, il design di questi luoghi prende la funzione di UX/UI. E nonostante alla fine la UX all’interno dell’ecosistema aeroporto sia praticamente sempre la stessa ovunque – entrata, check in, security, attesa, imbarco e partenza – quello su cui si vuole porre l’accento è la UI dei viaggiatori, che varia a seconda dei designer e delle scelte progettuali, spesso minuscole e poco influenti se prese singolarmente, ma infine fondamentali sulla percezione di ognuno di noi se considerate nel loro insieme. Capaci magari di farci sentire a nostro agio e calmi anche con un volo in ritardo, direzionati con naturalezza per il gate cambiato all’ultimo minuto e cullati sulle sedute con braccioli, mentre gli altri passeggeri sono già in coda prima dell’imbarco.