Sul set in cui abbiamo scattato Central Cee erano stati portati diversi abiti high fashion di grandi brand italiani, una serie di capi che il rapper londinese ha guardato e apprezzato assieme al suo team. Per questo siamo rimasti un po’ sorpresi quando ha deciso di non indossarli. Quella che poteva essere una scelta istintiva o una presa di posizione, si è rivelata una decisione molto più intima e profonda di quello che potessimo aspettarci. «È una questione di prospettiva. In quanto fan di altri artisti, mi capita di vederli sulle copertine delle riviste con un completo formale e mi chiedo se questo look li rappresenti davvero. Penso sia un po’ contraddittorio rispetto a ciò che rappresentiamo: siamo street rapper e siamo così come ci vedi, quindi è così che voglio apparire». Il discorso sull’estetica dei rapper è un potenziale essay, anzi un libro pronto a stendersi per centinaia di pagine, ore di podcast o un’enorme quantità di puntate documentaristiche da vedere sulla piattaforma di streaming preferita, specialmente perché Central Cee rappresenta la nuova wave di rapper inglesi che sta andando ben oltre i confini imposti dalla tradizione, sta sfociando in Italia, in Francia e negli Stati Uniti. Come se non bastasse, la “vecchia guardia” degli artisti Made in UK sta raggiungendo quello status di riconoscimento internazionale che non ha mai avuto, cosa che ha permesso ad alcuni di diventare icone stilistiche. Skepta ovviamente in primis. «Penso che il legame tra l’estetica e la musica sia ciclico. Ne parlavo proprio con amici qualche giorno fa. Credo che ci sia una connessione a livello europeo: io prendo molta ispirazione dalla moda francese che a sua volta ora sta venendo contaminata da quella britannica. Ovviamente Skepta già era solito indossare tute tempo fa, ma gente come lui ha cambiato molti stili, non solo perché proviene dalla parte nord di Londra, ma anche perché, essendo più grande, ha visto più periodi. Londra ha sempre cercato di rimanere al passo e di scandire nuovi trend. Abbiamo avuto i periodi dell’alta moda, dei jeans stretti, e molto altro. Ci si evolve. A me piace molto lo stile attuale, quello delle tute, non solo perché è comodo, ma anche perché è accessibile a tutti. Non hai idea di cosa possono combinare i ragazzi solo per potersi permettere gli abiti che desiderano, o per assomigliare al proprio idolo. In questo modo è più facile essere vicino a persone che sembrano irraggiungibili, ma che in realtà sono come te».
Sentire Cench parlare in questi termini della visione ad ampio respiro che rapper e pubblico condividono può essere sorprendente, ma non deve necessariamente stupire. La prova è nei suoi testi, come nei suoi video. Questi ultimi hanno spesso un imprinting molto street, al punto che potrebbero sembrare “standard” per il drill/rap di marca inglese. Ma se ci si concentra bene si nota che non è prettamente così. Un elemento molto particolare lo si nota proprio dal modo di vestire le tute di cui sopra. Queste tracksuit, targate spesso Trapstar o Nike, non sono quasi mai grigie o nere, ma estremamente colorate, solitamente in match con altri elementi del video musicale come filtri o effetti grafici, ma anche accessori: borselli, scarpe, automobili e passamontagna. «In parte è una scelta pianificata. Ovviamente tutto il tema di “Wild West” era l’arancione, ma anche prima di “Day in the Life” ero solito postare foto in cui indossavo abiti colorati, o comunque matchati. Non lo nascondo, è un po’ una mia fissa quella di abbinare tutto». Come detto, la metodologia di Central non sta solo nell’estetica, quanto proprio nell’espressione e nel legame con il pubblico. Proprio con il lancio di “Wild West” l’abbiamo visto regalare scarpe ai fan, o realizzare live gratis dal tettuccio di un’automobile. «Sinceramente non ho mai pensato al mio legame con la gente della mia zona, con West London. Nel subconscio probabilmente è una connessione solida che ho, ma non l’ho mai palesata o studiata. Quelle attività create per il lancio del disco in realtà sono state piuttosto improvvisate».
Ora che abbiamo fatto il punto su come Cench si relaziona rispetto alla scena, rispetto alla moda, rispetto ai fan e rispetto al concetto di artista, possiamo riprendere e analizzare meglio una frase detta proprio all’inizio di questa intervista, ovvero «siamo street rapper e siamo così come ci vedi, quindi è così che voglio apparire». Ma ha davvero senso parlare di Centrale Cee come di uno street rapper considerando quanto detto fino ad ora? «In effetti sì e no, perché sono sì uno street rapper ma sono anche un essere umano. È normale che mi senta di comunicare anche cose diverse. Credo che molti rapper sbaglino, o si limitino, perché la loro musica è molto monodimensionale, soprattutto nei temi trattati. Non fraintendermi, va benissimo, ma secondo me solo se sta pubblicando dei singoli. Puoi lanciare questi pezzi one shot per parlare di un unico lato della realtà che vivi, come la strada o la violenza, ma se crei un album o un progetto più ampio non credo un artista possa limitarsi a trasmettere una singola emozione. Che tipo di persona sei?»
Il punto è proprio qui. Central Cee ha tantissime tematiche, vuoi nelle modalità di espressione, vuoi nella scelta lessicale. «Questo ventaglio di emozioni si vede nella mia musica». Non a caso vediamo frasi come “I made somе change and picked up the young Gs, Took thеm shoppin’ and copped them shoes” o “The fans love me and I love them too, ‘cah Cench ain’t better than none”. Elementi che non siamo soliti sentire in altri esponenti della drill, specie in UK. «È il concept di tutto il nostro movimento: Live Yours». Anche il fatto che Central parli sempre alla prima plurale non è casuale. «Non voglio ergermi a esempio, non voglio che i fan mi vedano come qualcuno da imitare. Sinceramente non credo che nessuno debba imitare il lifestyle di nessuno. Devi creare la tua vita, il tuo stile, anche perché spesso le persone che vediamo come esempi non hanno nulla di speciale, e io sono il primo della lista». Un ideale non facile da mantenere quando si raggiunge un tale successo globale così rapidamente. «Ora capisco come altri possano essersi montati la testa. A me ha aiutato il fatto che, seppur fosse sembrato tutto veloce, la fama è arrivata per gradi. Faccio musica da molti anni e prima dell’esplosione avevo un successo limitato, ma comunque ero conosciuto nella mia zona. Prima ancora ero un ragazzo piuttosto popolare a scuola. Tutto questo mi ha permesso di controllare la situazione attuale».
«Anche il fatto di aver raggiunto questi traguardi durante la pandemia ha giocato un ruolo importante». Giusto, il Covid. La pandemia ha dato e ha tolto a molti artisti: molti big hanno preferito non fare uscire musica nuova, così molti emergenti ne hanno beneficiato, trovando una fama inaspettata. «Da un certo punto di vista, il Covid è stata una benedizione per me. Vero, il mio successo è arrivato in quel periodo e non potevo fare concerti, ma ciò mi ha aiutato a vivere questa evoluzione con calma, senza essere subito sballottato in milioni di live, interviste e altri eventi che finiscono solo per togliere l’attenzione dalla musica». Ma un tale livello di notorietà avrebbe potuto portare a tour, festival e molti altri eventi che sicuramente avrebbero aiutato non solo lo status di Central Cee, ma anche la sua situazione economica. D’altronde è ovvio a tutti che la prima fonte di guadagno degli artisti nel 2022 non sono gli stream, quanto le performance dal vivo. Il progetto stesso delle Digital Cover di Outpump è nato in pandemia e il tema della mancanza di concerti è venuto spesso fuori con i protagonisti musicali intervistati nel corso di questi due anni. «Non avevo realmente paura di perdere hype in vista dei live futuri, avevo più che altro il timore che non mi sarei mai esibito dal vivo. Anzi, a un certo punto ne ero certo. Non sapevo più cosa aspettarmi dalle regolamentazioni legate al Covid, cosa sarebbe cambiato e come si sarebbe evoluta la situazione. In sintesi, temevo l’assenza della normalità e di conseguenza l’assenza dei concerti vita natural durante».
Il discorso protratto da Cench è ulteriormente importante se consideriamo che in passato il Governo Inglese ha più volte impedito agli artisti Drill e Rap di esibirsi in quanto considerava questo genere di musica eccessivamente legato al mondo della violenza, del traffico di droga e delle gang. «Le autorità inglesi hanno sicuramente alleggerito la situazione. La colpa sta nella generalizzazione perché è chiaro che gente come Giggs non sia legata ad alcun ambiente illegale, semplicemente viene associata a quel mondo e per questo i concerti vengono annullati. È qualcosa di ingiusto. In UK recentemente c’è più accettazione per il rap, si tende a chiudere più un occhio rispetto al passato. Forse perché ora il genere fa girare tantissimi soldi e fa guadagnare le etichette, quindi c’è più volontà di accettarlo». Il riferimento alle etichette discografiche non è un caso, perché la crescita di Central Cee è arrivata totalmente come indipendente, senza nessuna major o etichetta a spingere la sua musica. «Ovviamente io e il mio team ci siamo concentrati sul fare tutto nel miglior modo possibile, ma questo successo non era esattamente pianificato. I miei primi progetti, ovvero “Wild West” e “23”, rimarranno indipendenti e saranno portati avanti così perché pensiamo sia il modo migliore per darli al pubblico. Nulla mi obbliga a rimanere indipendente e non ho nulla contro le etichette, sia chiaro. Se in futuro arriverà l’offerta giusta e il contesto giusto, sarò contento di firmare».
La potenza del suono britannico è ormai innegabile. Troviamo le influenze del suono londinese ovunque: in Italia, in Francia, in Australia e persino negli Stati Uniti, in cui un numero sempre maggiore di rapper, specie a New York, ha iniziato ad adoperare quel particolare sound, quei BPM, quell’uso dei bassi distorti e di specifici flow. Per alcuni si tratta di ispirazione, per altri di appropriazione culturale. «Non lo vedo come un “furto”. Non mi pare ci sia un vero e proprio originatore di questo suono. Sì, sono inglese, ma io stesso ho preso questo sound da altri, non ci sono nato. Sono dell’idea che se uno è capace di prendere un determinato suono e creare musica meglio degli altri, allora si merita il successo e i riflettori, indipendentemente da dove provenga e da quale sia il suo background».
Parlando proprio della transizione del suono e della sua internazionalità, arriviamo finalmente a parlare di Italia, di questo Paese così storicamente lontano dalla musica urban inglese ma che in tempi recenti ha visto nascere sempre più connessioni, in primis portate proprio da Central Cee e Rondodasosa, un duo che ha portato un singolo bilingue al Disco d’Oro. Un traguardo ancora più impressionante considerando che quello con l’artista di San Siro è stato il primo featuring della carriera di Cench. «Sembra incredibile ma sì, è stato proprio il primo. Mi ha mandato un DM una volta e da lì ci siamo conosciuti. Ho visto i video, ho ascoltato la musica, e mi è piaciuto subito. Da lì abbiamo conosciuto anche i pezzi degli altri ragazzi del team come Baby Gang e Sacky. Ci siamo gasati con tutti loro e abbiamo scoperto di andare d’accordo anche a livello personale, quindi ci siamo incontrati, sia a Londra che a Milano. Siamo stati la prima volta da Rondo quasi un anno fa, per l’inizio del Ramadan. Mi sono avvicinato così alla scena musicale italiana e sto iniziando ad approfondirla. La trovo molto interessante. Anzi, sai una cosa? Rondo è stato il primo artista italiano che ho conosciuto ma non il primo che ho scoperto. È stato Tony Effe. Ero solito vederlo su Instagram, più che altro per il suo lato fashion, per lo stile. Alcuni amici me lo hanno fatto vedere e da lì mi sono avvicinato anche alla musica».
Insomma, il profilo di Central Cee è diverso dal solito, la sua morale è diversa, così come anche il modo di approcciare la musica, sia in UK che all’estero. Insomma, molti possono associare la sua fama alla sola esplosione del suono britannico, ma Cench sta portando anche altro sul tavolo, come l’analisi morale, il legame umano unito allo street talk, l’assenza di vergogna per i momenti di debolezza e l’uso di campioni molto melodici nelle produzioni, un mix che lo ha reso molto più appetibile di altri soprattutto su scala internazionale. O forse, più banalmente, come dice lui stesso: «Il sound inglese, la drill soprattutto, sta esplodendo un po’ ovunque e questo mi ha aiutato a raggiungere un pubblico grande anche fuori dal Regno Unito. O forse sono solo il migliore a fare questo genere».