Cosa accomuna il prof. Carlo Cottarelli a Claudio Cecchetto ed Enrico Mentana? Apparentemente nulla, ma se per sbaglio avete aperto una qualsiasi app di informazione nelle ultime ore saprete che questi tre più molti altri condividono la fede per i colori nerazzurri. E a partire da ciò hanno intavolato, a più riprese, il progetto Interspac per far divenire realtà l’azionariato popolare anche nel calcio nostrano.
Non si vuole tediare il lettore coi dettagli economici, con le minuzie legali, ma in primis bisogna capire cosa si prefigge su carta questo progetto. “Vogliamo portare avanti un grande progetto di azionariato popolare. Per rafforzare l’Inter con capitali forniti da noi tifosi, integrati da risorse di investitori istituzionali, in un quadro economicamente sostenibile”, così in una nota stampa il padre putativo dell’iniziativa, già presidente del consiglio dei Ministri incaricato, ha annunciato la nascita del progetto.
Si sprecano i paragoni con il Bayern, con il Barcellona e il Real Madrid: tutti esempi che servono essenzialmente a dare credito a questa idea in salsa nerazzurra, ma che in realtà sono solo la punta dell’iceberg del concetto, le foto che vengono scelte per essere postate su Instagram, ma nel rullino fotografico ce ne sono migliaia di più, non tutte riuscite così bene.
Per quanto vogliamo evitare i numeri e le cifre, qualcosina dobbiamo pur dirla con la promessa di non dilungarci troppo. Prendetela anche come una prima presa di conoscenza della cosa nel caso in cui decidiate di passare da Football Manager alla realtà. Forse e mica troppo. Anzi, per niente; ma come si fa a non citare quel gioco quando parliamo di calcio? Torniamo a noi. Volete diventare soci dell’Inter? Quota minima di ingresso €500; quota massima per l’iscrizione €200.000. Obiettivo finale della raccolta fra i 300 e i 350 milioni di euro, meno del 50% del club. Insomma, per dirla facilmente servono 2.992 persone che versino in media €100.250.
Alcuni dei nomi che prenderanno parte al progetto, oltre ai tre già citati sono Gianfelice Facchetti, Giacomo Poretti e Giovanni Storti (l’assenza di Aldo Baglio pesa più dell’assenza della maglia di Ronaldo, si perdoni il dad-joke), Paolo Bonolis ed Enrico Ruggeri, oltre ad Alessandro Cattelan, Beppe Severgnini e molti altri. Tutta gente che con il popolo ha ben poco a che fare, ma che fa della popolarità tutto. E qui subentra il primo clamoroso punto di distacco fra le realtà spagnole e quella proposta per l’Inter e che difficilmente viene menzionata: per imposizione legislativa le azioni gestite dai tifosi sono la maggioranza della società e non la quota minoritaria come ampiamente ripetuto in fase di presentazione del progetto. In sostanza, Interspac vuole evitare le problematiche legate alla gestione delle quote di maggioranza, optando per la semplice minoranza del club che crea meno grattacapi.
In Germania è stato stabilito che la maggioranza de capitale deve essere di un’associazione sportiva, a meno che non si tratti del Wolfsburg o del Bayer Leverkusen che sono squadre nate per espressa volontà di due privati che forse conoscete come Volkswagen e Bayer. L’esempio perfetto dell’azionariato popolare tedesco non è il Bayern Monaco, bensì l’Amburgo, e se avete il buon cuore di seguire la Bundesliga sapete com’è andata a finire.
In Spagna vanno ancora più decisi con il concetto di uno vale uno e quindi Florentino Perez, per dirne uno discretamente in voga in questo 2021, senza l’ok di Carlos Sainz Sr. e Carlos Sainz Jr. (il pilota della Ferrari in F1 e relativo padre) non può fare nulla. Nisba, nada. E questo non vale solo per il Real, ma per qualsiasi società sia che militi nella Liga che in Segunda finanche le divisioni inferiori.
Sia chiaro, l’idea dell’azionariato popolare non sarebbe nemmeno così male di per sé, ma ci sono due problemi sostanziali in questa proposta: il primo è il periodo storico che si sta vivendo, non è pensabile infatti chiedere ai tifosi di investire cifre importanti per una passione e in un business come quello calcistico che da sempre è un gioco a perdere; il secondo, ancora più serio, è quello di usare questa idea solo per tornare a poter vantare di benefici persi col passare degli anni e delle società.
I Sainz non sono diventati soci perché sono una famiglia famosa che reclama il proprio status simbolico all’interno del mondo madridista. No, lo fanno perché hanno una passione smodata, tant’è vero che la loro qualifica di soci avviene ben prima di raggiungere la notorietà. Se serve dare un riconoscimento al valore del tifoso e al suo merito acquisito in altri ambiti esistono i soci d’onore, come per esempio le è Rafa Nadal, o Luka Dončić o Sergio Garcia. Sono tifosi del Real speciali per i meriti acquisiti, ma non hanno i diritti degli altri 100mila soci sottoscrittori delle Merengues.
Non si vuole dire che nel caso di Interspac non ci sia la passione dei padri fondatori del progetto, probabilmente si potrebbe parlare anche per ore con loro di come gioca l’Inter e di come vedono la squadra, ma la realtà è che c’è un lato più dominante dell’altro, si vuole fare leva sull’appeal che i loro nomi portano con sé per convincere terzi a entrare in un progetto che, a conti fatti, non darebbe alcun tipo di vantaggio a nessuno, se non a loro in primis.
Tanto per dire, l’Inter ha già dei piccoli azionisti regolarmente rappresentati nell’assemblea dei soci, ci sono già dei privati che hanno investito nella società e i nomi sono a una ricerca Google di distanza. Si tratta di 250 nomi che si spartiscono 3.317.853 azioni del club e per assurdo qualcuno dei nomi fatti all’interno del progetto Interspac è già rappresentato in assemblea.
Lo spirito “missionario” dell’idea non viene messo in dubbio, ma ci sono alcune criticità che per quanto Cottarelli e i vari altri soci si stiano provando a dirimere permangono, in primis quella relativa alla tempistica, su cui torniamo a battere: è evidente che l’Inter nell’ultimo decennio ha vissuto momenti molto complicati, ma partorire una soluzione simile nel momento in cui la società pare aver delle strategie a medio-lungo termine abbastanza definite sembra una forzatura.
Perché dubitare della solidità dell’Inter nonostante negli ultimi 12 mesi si sia addirittura lavorato e partorito un progetto per lanciare la nuova brand identity? Perché si sente la necessità di intavolare l’azionariato popolare nel momento in cui il management nerazzurro vuole mettersi sul mercato globale non solo come squadra di calcio, ma anche nelle vesti di brand ambassador di Milano nel mondo? Non partorisci la campagna “I M” affidandoti ai migliori designer del 21° secolo se hai bisogno che Cottarelli & co. vengano a finanziarti. Probabilmente la tempistica va nella direzione di poter e tornare a beneficiare del trattamento che fu e godere anche di qualche ritorno economico generato dalla nuova direzione della società F.C. Internazionale Milano S.p.A.
Insomma, le motivazioni dietro a Interspac possono essere le più svariate e anche le più nobili. L’hype che il clamore mediatico che si sta tentando di generare è evidente, quello che però lascia basito chi guarda dall’esterno la situazione è il perché questo tipo di idea non sia mai venuta fuori quando le difficoltà erano ben più evidenti e questi nomi erano ben più sulla cresta dell’onda di quanto non siano adesso.