Nel 1688 il fisico svizzero Johannes Hofer ha coniato il termine nostalgia per diagnosticare un disturbo misterioso che causava una sensazione patologica di nostalgia di casa — con conseguenti depressione, confusione e letargia. Il termine che storicamente deriva dalle parole greche nostos (ritorno) and algos (dolore) ha oggi tutta un’altra concezione. La nostalgia è diventata negli ultimi anni un veicolo potentissimo su cui fanno affidamento gran parte delle strategie di marketing e politiche di oggi facendo leva sul ricordo di tempi migliori e passati. La nostalgia è anche però uno strumento potente di legame tra persone che hanno condiviso gli stessi ricordi e riescono a ritrovarsi insieme in questi; come una madeleine proustiana collettiva.
I suoni della nostra infanzia, principalmente legati al nostro tempo passato a casa a giocare e guardare la tv, funzionano così: sono legati in modo invisibile ad una memoria condivisa, come se avessimo tutti vissuto le stesse esperienze in tempi e luoghi diversi. La sigla che apriva le serate passate a casa a guardare i film su Italia1 diventa grazie alla nostalgia un motivetto calmante, come se fosse una copertina di Linus sonora. Allo stesso modo molti suoni legati ai nostri primi device, telefoni e videogiochi — soprattutto all’inizio degli anni 2000 in cui la varietà in fatto di tech era estremamente ristretta e quindi ampiamente condivisa.
Se quindi in passato la nostalgia era stata legata a disturbi della mente, oggi la sua percezione è cambiata: secondo un articolo del New York Times tendiamo alla nostalgia in momenti di crisi o difficoltà proprio grazie alla sua capacità di calmare stati di ansia e confusione. Il Social and Personality Psychology Compass nel 2013 aveva già pubblicato uno studio sugli effetti positivi della nostalgia sul nostro cervello grazie alla sua capacità di trasportarci in un “safe space”; uno spazio mentale sicuro che varia da persona a persona ma anche da generazione a generazione.
Questo significa che per moltissime persone nate a cavallo tra il Novecento e il Duemila basta risentire la (al limite del fastidioso) suoneria del gattino Virgola per provare un sentimento di pace e gioia. La forza di tormentoni sonori come le suonerie pubblicizzate in tv dal famoso “tipo delle suonerie” (aka Wlady Tallini) legate al numero 48248 è inestimabile: abbiamo tutti una storia legata a questo skam televisivo legalizzato in grado di trapanare il cervello e succhiare via soldi senza fine dalle carte di credito dei nostri genitori. Questo ricordo sonoro si alterna nella memoria ad altri legati alle prime esperienze con la tecnologia; ci sono i trilli di MSN, apripista del modo di comunicare online che abbiamo ancora oggi, e quella che è forse stata la suoneria più diffusa nei primi anni 2000 ovvero la Nokia Tune. Già impostata come suoneria predefinita del Nokia 2110 del 1994, la suoneria che ci ricorda i telefoni dei nostri genitori viene in realtà da Gran Vals, una composizione per chitarra di Francisco Tàrrega del 1902, che era già stata usata da Nokia in uno spot del 1992 — andando controcorrente e scegliendo una musica più soft della media dei prodotti tech del tempo.
Anche dietro l’iconico suono di avvio e altri suoni di sistema di Microsoft XP c’è il lavoro di un compositore e di un’orchestra: si basano tutti su spezzoni di registrazioni live delle composizioni del sound designer Bill Brown — il cui sound prende il posto di quello composto da Brian Eno per le prime versioni del sistema operativo. Insieme a telefoni, televisione e computer anche i videogiochi della nostra infanzia hanno lasciato impresso un forte segno sonoro; in particolare il lavoro del compositore giapponese Kazumi Totaka che ha lavorato per molto tempo con Nintendo alla realizzazione del sound di moltissimi videogiochi. La sua “semplice” melodia di 19 note e 8 barre è alla base non solo della più classica sigla della Wii, ma è stata anche inserita all’interno di quelle di Animal Crossing, Mario Kart e The Legend of Zelda — tutte a cavallo tra il ’90 e il 2000.
Lo spazio che questi suoni occupano nella nostra memoria è strano, a tratti dimenticato ma mai veramente. Risentirli e ricordarli può causare una sensazione simile a quella descritta da Hofer nel 1688 come nostalgia di casa ma niente di grave o patologico — più che altro rassicurante.