Torna la nostra rubrica dedicata ai brand emergenti. Oggi vi parliamo di Riccardo Rosa e del suo brand Dégradé Conspiracy, della sua prima capsule collection e di cosa ne pensa della situazione dei brand emergenti in Italia.
Iniziamo da una semplice domanda ma allo stesso tempo essenziale per conoscere il marchio. Come è nato Dégradé Conspiracy?
Dégradé Conspiracy è il frutto di un insieme di esperienze, passioni e contaminazioni vissute da Riccardo Rosa fino ad oggi, dalle prime prove di t-shirt durante gli anni liceali, passando attraverso il culto dello streetwear e delle sneakers, fino a giungere alle prime esperienze lavorative nell’ambito moda e accessori. Per quanto riguarda l’ideazione del nome e della sua filosofia dobbiamo tornare ad un anno e mezzo fa, quando cercavo di trovare una parola che racchiudesse le due anime che il brand doveva avere, ovvero da una parte una vena critica nei confronti della società attuale e dei suoi costumi, dall’altra la forte influenza nel richiamare la grafica svizzera, a causa dei miei studi grafici e di comunicazione compiuti.
Da ciò è nata la parola Dégradé, in quanto l’inglese “degrade” significa declassare, avvilire (aggettivi comuni attribuiti alla società moderna), invece il francese “dégradé” allude alla sfumatura cromatica presente nei giochi di colore delle geometrie nelle grafiche dei capi, dal caos del colore pieno fino all’ordine minimalista del bianco.
Nella biografia Instagram del vostro brand possiamo trovare questa frase: “Dégradé Conspiracy è un brand di abbigliamento streetwear che vuole dare voce alla voglia di rivalsa verso una società in continuo degrado”. Spiegaci meglio.
Il brand si propone di dare voce alla voglia di ribellione e di rivalsa dei giovani nei confronti di una società in continuo degrado culturale e morale, da cui non si sentono più rappresentati e di cui non riescono e non vogliono sentirsi parte. Infatti, il nome stesso del brand Dégradé Conspiracy, ha un intento provocatorio: quello di spronare i giovani a ribellarsi al decadimento morale e culturale e riunirsi per far sentire la propria voce con una rivoluzione morbida che ristabilisca ideali e valori più equi.
In parole povere il brand non vuole fermarsi soltanto alla produzione di capi che possano essere esteticamente belli o brutti, e che possano piacere o non piacere, ma vuole bensì comunicare qualcosa in ogni sua collezione e dare motivo, allo stesso tempo, di comunicare a chi li indossa.
Prima capsule collection. Raccontaci come è nata e qual è il suo mood.
La realizzazione della prima capsule collection, come tutti gli inizi, non è stata semplice. È stato necessario quasi un anno per avere il tutto pronto poiché volevo realizzare un prodotto made in italy al 100% e con delle grafiche all’apparenza semplici ma complesse nella realizzazione, in quanto piazzate e all over, scalate per taglia.
Ad ispirare, invece, la prima collezione è un attualissimo e provocatorio aforisma del poeta simbolista Charles Baudelaire. “Work Is Prostitution” sintetizza in pieno la voglia di reagire alla sempre più profonda crisi di valori della società moderna, dove l’avvento delle nuove tecnologie unito al consumismo ha portato i giovani ad alienarsi in una realtà virtuale dove trovano più facile esprimere loro stessi. Oggi è difficile entrare nel mondo del lavoro senza esserne divorati vivi. Così, c’è chi da una parte preferisce oziare a spese dei genitori rifiutandosi di prendere in considerazione l’idea di faticare per realizzarsi e guadagnarsi da vivere, e c’è anche chi d’altro canto viene sfruttato perché aspira a fare un lavoro che gli piace, e ci mette tutto sé stesso.
“Work Is Prostitution” è il grido di chi vuole scuotersi da questo torpore, per poter tornare a esprimere sé stesso in quello che fa e sperare in un futuro più giusto.
Dal punto di vista stilistico, invece, riprendiamo il concetto dell’oversize, comune nello streetwear, cercando però di impreziosirlo con alcuni dettagli, bottoni e fascette per poter trasformare la manica a 3/4 delle tee a 1/2 manica, l’impettito, ovvero richiamare l’armatura dei soldati, quindi tee e felpe sono leggermente strette sul petto e più larghe nella parte finale, e infine per le felpe manica leggermente lunga e visiera a becco nel cappuccio.
Graficamente parlando abbiamo blocchi di colori che sfumano e che richiamano un immaginario caotico contrapposto al bianco dell’ordine. Come due ideali di società che si scontrano e si frantumano dando origine così a quello che vorremmo che fosse il mondo nel nostro futuro.
Voliamo con la fantasia: sono passati ormai 5 anni dal rilascio della prima linea, secondo te chi potrebbe indossare la tua collezione?
Partiamo dal presupposto che sono una persona abbastanza con i piedi per terra e che conosco le difficoltà di emergere e identificare un progetto come questo sul mercato attuale della moda, senza avere forti conoscenze e spinte da persone già navigate. Sulla base di questo, fra cinque anni mi auguro innanzitutto di iniziare ad intravedere i primi risultati positivi e comunque di essermi arricchito di amicizie, consigli ed esperienze.
Il target di Dégradé è quello del ragazzo dai 16 ai 30 anni circa, influenzato da culture underground e subculture, come ad esempio l’hip hop, l’arte di strada, lo skateboard. Già da oggi ci stiamo muovendo per collaborare con persone influenti in questo ambito ed un sogno sarebbe quello di vederlo indossato in futuro da persone come Ghali, Rkomi e Ghemon, persone che attraverso la propria arte e la musica, vogliono comunicare o raccontare la loro vita e le loro esperienze per dare un messaggio.
Nell’ultimo anno sono nati tantissimi marchi emergenti in Italia rendendo difficile poter emergere e distinguersi davvero. Concordi con questa affermazione? E cosa ne pensi?
E’ una cosa che spaventa chi inizia. Il fatto di avere così tanti competitors, e allo stesso tempo mezzi e disponibilità differenti, ti spinge quasi a rinunciare. Quello che posso dire e che mi ha fatto molto piacere sentirmi dire è che Dégradé ha qualcosa da raccontare, una bella filosofia da abbracciare e soprattutto che si nota l’impegno e la passione che ci metto giornalmente per curare tutti i dettagli.
Il consiglio che vorrei dare a chi come me vuole provarci, è quello di non copiare, di non pensare soltanto al guadagno e ai soldi, ma di creare qualcosa in cui ci si possa immedesimare e nel guardarlo sentirsi soddisfatti e realizzati. Non so che risultati avrà perché l’idea e la filosofia di un brand non sono tutto, anzi l’hype governa il mercato moda, ma il fatto di aver creduto in sé stessi e di aver realizzato qualcosa a cui tenevi e sognavi fin da ragazzino, ti galvanizza e ti rende fiero e felice, o per lo meno così è stato per me.
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