I vlog furono una delle cose più belle, genuine e inaspettate della wave musicale 2010-2016. In un’epoca in cui su nessun social network si raccontava la propria quotidianità con l’immediatezza di oggi e in cui le vite private dei personaggi che ascoltavamo ogni giorno erano oggetto di tabù, iniziarono a emergere sul web, quasi all’improvviso, alcuni videoclip amatoriali – spesso girati dagli artisti stessi durante le giornate trascorse in casa, in studio o in tour. Racconti dai quali, forse più che dalla musica stessa, è possibile osservare l’evoluzione del rap italiano, ben prima che quest’ultimo raggiungesse le vette delle classifiche.
Per chi frequentava il mondo di YouTube Italia è difficile dimenticare gli anni in cui Fedez pubblicava con continuità le sue “ZEDEF CHRONICLES”: si trattò di una vera e propria serie web, divisa in due stagioni e girata fra 2013 e 2014, in cui il rapper milanese raccontava, oltre alla sua quotidianità, il making of dei dischi Sig. Brainwash: L’arte di accontentare e Pop-Hoolista. Nelle 13 puntate ancora presenti sul profilo YouTube ufficiale di Fedez, è possibile riconoscere, in ordine sparso, dei giovanissimi Ernia e Ghali, entrambi ancora legati all’avventura Troupe D’Elite, ma anche Emis Killa, Guè, Francesca Michielin, i Bushwaka, duo composto da Samuel Heron e Mike Highsnob, senza dimenticare J-Ax e la nascita di Newtopia.
Un ulteriore piacevolissimo ricordo, in tal senso, sono i quatto episodi dal titolo “A Day Weed Sfera Ebbasta”, in cui Sfera portò il pubblico con sé prima nella sua preparazione del live ai Magazzini Generali a Milano, poi nei suoi viaggi a Parigi – durante le riprese del video ‘Cartine Cartier’ -, e negli USA, accompagnato da Shablo e Charlie Charles, sino all’ultimo episodio interamente incentrato sul giorno di uscita dell’omonimo disco “Sfera Ebbasta” (9 settembre 2016). O ancora i seguitissimi Dark Vlog – cinque episodi girati dalla DPG nel 2016, in tour -, così come i tre episodi che raccontavano la vita dietro le quinte del tour di Rkomi e che presero il nome di “Io in Tour” dal titolo del primo album ufficiale del rapper “Io in Terra”.
Sebbene alcuni di questi vlog siano diventati, col tempo, veri e propri documentari, la maggior parte conservava un’estetica grezza. Erano video a bassissima risoluzione, spesso girati con telefonini o videocamere digitali di fortuna, visibilmente amatoriali e a costo zero, nati senza alcun tipo di velleità unendo fra loro tanti frammenti diversi e caricati direttamente sulla piattaforma senza alcun intervento di editing. Nonostante ciò, definirli unicamente un “dietro le quinte”, delle semplici riprese da backstage, apparirebbe limitante. Negli estratti video in questione è infatti possibile osservare i rapper e i loro team condividere senza filtri momenti di vita vera, dai viaggi interminabili in furgone, alle risate tra amici, dalle sessioni in studio alle scene girate in improbabili camerini, fino ai momenti di tensione prima di un live e di caos dopo. Riguardandoli oggi è facile empatizzare con l’allegria e la spensieratezza che quelle scene trasmettevano, umanizzando gli artisti e mostrandoli dietro la patina del loro personaggio, con l’unico obiettivo, se mai ve ne fosse realmente uno, di comunicare la normalità di una professione che troppo spesso si tendeva – e si tende tuttora – a idealizzare.
Quelli in questione furono anni abbastanza incredibili per la musica in Italia. Raramente nell’industria discografica e nel mondo culturale italiano sono emersi, quasi dal nulla, decine di interpreti appartenenti alla stessa bolla, a un solo mega-genere, a ripetizione, con una simile energia. Chi ha vissuto quel periodo, come pubblico, come interprete o come addetto ai lavori, avvertiva chiaramente che l’approccio nel seguire la scena musicale stesse subendo un cambiamento radicale. Una connessione sincera e difficilmente replicabile univa la scena e i suoi principali interpreti, trasmettendo un senso di eccitazione che solo le novità riescono a trasmettere. Era un modo di fare musica quasi primordiale, istintivo e spesso privo della piena consapevolezza di star riscrivendo le regole di un genere. Ecco, quei vlog, girati senza budget milionari o strategie social raffinate, riuscivano a restituire tutto ciò all’ascoltatore in maniera più diretta e autentica di ogni altra forma di promozione discografica.
Oggi, in un ambiente musicale del tutto diverso, guardiamo a questi album di ricordi e alla loro spontaneità con ragguardevole nostalgia.