Ci siamo abituati a vivere in una stanza

In Giappone è abitudine comune per studenti e giovani lavoratori vivere in appartamenti ridefiniti “scatole da scarpe” per le loro dimensioni più che ristrette. Un modo di concepire l’abitazione che è stato ormai internalizzato in quasi tutte le città maggiori (compresa Milano) in cui la crisi abitativa causata tra le altre cose da bolla speculativa, affitti brevi (grazie Airbnb) e fondi immobiliari ha trasformato in abitudine l’idea di vivere in una stanza – che sia un claustrofobico monolocale o un appartamento condiviso. Secondo l’Internazionale nell’ultimo decennio a Milano i prezzi degli immobili si solo alzati di più del 60% al metro quadro. Un aumento che risulta particolarmente spaventoso in Italia, l’unico paese dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ad aver visto una crescita salariale nazionale del solo 1% dal 1991, secondo Il Sole 24 Ore — contro una media del 32,5% degli altri 38 paesi parte dell’organizzazione, tra cui Francia, Paesi Bassi, Grecia, Portogallo, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Fa strano pensare che mentre in Italia i salari sono rimasti fermi e gli affitti si sono gonfiati, in città come Berlino le case al metro quadro costino meno che a Milano con però stipendi pubblici che sono più del doppio dei nostri, sempre secondo quanto riportato dall’Internazionale. 

La mancanza di strutture come studentati e alloggi popolari intensifica un problema già scatenato naturalmente dai fattori sopracitati che pesano sulla crisi abitativa mondiale (propria in particolare di metropoli e capitali) a cui si aggiungono anche fenomeni globali come overtourism e gentrificazione, che hanno cambiato la percezione del vivere in città, con prezzi in costante salita e conseguenti proteste. L’overtourism e il dominio degli affitti brevi hanno contribuito ad una rottura ulteriore del sistema. Il giornalista dell’Internazionale ha stimato insieme ad un’agenzia immobiliare di Milano che il numero di immobili in affitto nella città potrebbero essere circa diecimila contro i 24mila in locazione su Airbnb. Una proporzione che, in caso di ipotetica (e improbabile) chiusura di Airbnb, porterebbe l’offerta di appartamenti in affitto a triplicarsi. 

Se in paesi come il Giappone è ormai abitudine, in Europa questo adattarsi alle mini case sta arrivando per necessità. Strutture come quelle progettate da Spilytus e costruite in tutto il Giappone sono composte da mini appartamenti chiamati QUQURI (parola che deriva da “bozzolo” in Greco) che si adattano alle necessità dei giovani lavoratori. Alcuni di loro avevano spiegato al New York Times che non cambierebbero mai – vista anche la cultura locale che spesso comprende la tendenza a vivere da soli, non avere ospiti a casa e i lunghi turni lavorativi. 

Piano piano siamo finiti ad accettare questa nuova condizione. Vivere in una casa che non è una casa vera e spesso letteralmente in delle stanze ha aperto le porte alla romanticizzazione: la narrativa intorno a questo verte infatti spesso sul comico e sull’estetico confermandone la normalizzazione. Da un lato video aesthetic e consigli su come organizzare lo spazio, dall’altro la questione viene buttata sul comico, sdrammaticizzando una condizione che, seppur spesso vista anche con ironia, è sinonimo di un fenomeno più grande e problematico.