David Lynch, l’iconico uomo dietro alla macchina da presa autore di cult intramontabili come “Mulholland Drive”, “Twin Peaks” e “Velluto Blu”, è deceduto ieri all’età di 78 anni.
Impossibilitato a tornare sul set da qualche tempo a causa di un grave enfisema polmonare, il regista nato a Missoula ha lasciato un segno inimitabile e indelebile nella storia del cinema e non solo, portando agli occhi del grande pubblico una visione di stile e narrazione senza eguali.
Dagli esordi sul grande schermo nel 1977 fino agli ultimi progetti, Lynch non ha mai smesso di toccare nuove profondità e frontiere artistiche, estendendo con continuità il suo approccio creativo anche ad altri campi come per esempio la pittura e la musica.
Ripercorriamo allora i punti chiave che lo hanno reso un’istituzione tra i cinefili e gli amanti della cultura pop.
”Twin Peaks” ha rivoluzionato le serie tv

Un pescatore trova un corpo morto al lago: è quello di Laura Palmer, una ragazza affascinante e ben voluta nella piccola cittadina di Twin Peaks. Comincia così una delle serie tv più iconiche di tutti i tempi, della quale David Lynch è stato ideatore oltre che regista e sceneggiatore. Dalla sua uscita nel 1990, “Twin Peaks” è infatti diventata un vero e proprio spartiacque nel mondo della serialità grazie alle audaci idee messe in pratica puntata dopo puntata dal cineasta. Egli decise di trasformare i generi e gli immaginari televisivi che al tempo erano trattati come scontate forme d’intrattenimento sovvertendoli e mescolandoli tra di loro: il risultato fu un racconto inusuale, coinvolgente e imprevedibile dove drammi, misteri, rivelazioni e addirittura universi paranormali irrompono in quella che sembrava la vita di una placida comunità della provincia americana. Una storia ricca e in costante sviluppo, personaggi lontani da ogni cliché come il detective Dale Cooper, il villain BOB o la Signora del Ceppo e infine una sigla perfettamente in linea con le atmosfere degli episodi sono gli ingredienti che hanno reso “Twin Peaks” un’opera pionieristica amata da più generazioni di pubblico e un modello per tutte le serie tv moderne venute in seguito.
Il termine “lynchiano” è entrato nel linguaggio comune

A chi non è mai capitato di sentire il proprio amico cinefilo usare il termine “lynchiano” per descrivere una situazione straniante ma quasi comica, oppure uno scenario familiare che sembra però evocare strani misteri? Ebbene, lo stile del regista statunitense, inconfondibile ma inafferrabile quando si tratta di descriverlo a parole, si è guadagnato nel 2018 un posto nell’Oxford Dictionary proprio sotto forma di neologismo. Questo non fa altro che certificare l’impronta lasciata da Lynch nell’estetica e nella cultura grazie alle sue trovate cinematografiche nel caratterizzare personaggi e ambienti, nel superamento delle usuali regole della trama e del dialogo e nella fusione unica nel suo genere tra colonna sonora e immagini. Un linguaggio nuovo che fa dell’anomalo e dell’inspiegabile le ragioni del suo fascino: in una parola sola, “lynchiano”.
La meditazione trascendentale

Se in pellicole come “Strade Perdute” il perturbante affiora pian piano negli spazi più familiari e sicuri, nel commovente “The Elephant Man” sono invece le apparenze spaventose e deformi a rivelare una sincera umanità. È stato lo stesso David Lynch a rivelare il concetto dietro a ciascuna delle sue storie: “Imparai che sotto la superficie c’è un altro mondo, e mondi ancora differenti se scavi più in profondità”. E per raggiungere di volta in volta questi mondi, nel corso della sua carriera il regista ha fatto propria la tecnica della meditazione trascendentale. Adottata inizialmente come semplice approccio per ridurre l’insicurezza e le emozioni negative mentre lavorava al suo primo film, con il tempo Lynch ha trasformato questa tecnica nel suo mezzo prediletto per esplorare il “mare delle idee”, riemergendo ogni volta con nuove visioni creative che hanno reso unica la sua sensibilità artistica e soprattutto il suo cinema.
La comprensione del subconscio

Mai un cineasta ha saputo immergersi a fondo nelle aree più sconosciute e inspiegabili della mente umana come ha fatto David Lynch. Fin dall’esordio con “Eraserhead”, un viaggio allucinato in bianco e nero nelle paranoie legate alla paternità, passando per il mondo oscuro nascosto dietro la rassicurante superficie del quotidiano in “Velluto Blu”, il dialogo di Lynch con il subconscio è stato costante. Durante la sua carriera il regista si è impegnato a tradurre in immagine la dimensione psichica più recondita, stravolgendo e rinnovando le consuete forme narrative del cinema. In “Mulholland Drive”, ritenuto da molti il suo capolavoro, è letteralmente la tormentata interiorità dei personaggi a prendere il posto della realtà plasmandola a sua immagine – o meglio, questa è solo una delle tante possibili interpretazioni. In piena coerenza con la sua visione creativa, infatti, il regista non ha mai fornito indizi o spiegazioni sul significato dei suoi film, lasciando che sia ciascuno spettatore a trovare la sua personale chiave di lettura.
L’artista oltre il regista

Forse non tutti sanno che prima ancora di dedicarsi alla regia, David Lynch ha cominciato il suo viaggio nel mondo dell’arte attraverso la pittura. Fin dagli anni Sessanta, il regista dipinge infatti tele su cui figurano texture oscure e personaggi dalle fattezze perturbanti, accompagnati da criptici brandelli di frasi e collage di vari oggetti e materiali: una personale fusione di elementi che nel corso degli anni ha reso le sue opere oggetto d’interesse per numerose mostre in tutto il mondo. Il rapporto con le arti visive, inoltre, è una componente fondamentale nei suoi lungometraggi: il regista ha spesso citato i pittori Edward Hopper e Francis Bacon fra le sue principali ispirazioni. Un’altra forma d’arte che gioca un ruolo chiave nel fascino dei film di Lynch e che egli stesso ha sperimentato in prima persona è poi la musica, poiché negli anni il regista ha preso parte a diversi progetti collaborativi con altri musicisti (fra cui il compianto collaboratore di lunga data Angelo Badalamenti), mentre nel 2011 e nel 2013 ha pubblicato come solista “Crazy Clown Time” e “The Big Dream”, due album dove la sua voce si accompagna ad atmosfere strumentali oniriche e misteriose.