Nel corso degli ultimi decenni, sempre più città si stanno trasformando in musei a cielo aperto, grazie ai numerosi artisti che sentono di volere abbracciare quella particolare forma di arte contemporanea che è la Street Art: se da un lato ha il pregio di essere fortemente comunicativa e di riuscire a immortalare un autentico riflesso della società, dall’altro è un’espressione artistica decisamente controversa, spesso al limite della legalità quando viene interpretata come vandalismo. Ad ogni modo, il combustibile che alimenta il motore dell’arte urbana è proprio l’insieme di tali attriti e, in questi nuovi contenitori di opere d’arte, dove le strade si tramutano in gallerie e i muri degli edifici diventano tele su cui lasciare il proprio messaggio, a prendervi parte non troviamo solo artisti specializzati nei più ricorrenti murales, come il geniale Banksy, ma anche coloro che optano per nuove tecniche applicate su inconsueti supporti. È il caso di Clet Abraham, l’inarrestabile street artist che ha letteralmente tappezzato numerose città italiane, e non solo, con i suoi inconfondibili adesivi e il cui tratto distintivo è di applicarli sui cartelli stradali che regolano il traffico nelle strade.
L’artista, nato in Bretagna nel 1966, subito dopo aver portato a termine gli studi presso l’Istituto di Belle Arti di Rennes, abbandonò la Francia per trasferirsi in Italia. Dal 1990, infatti, si stabilì dapprima a Roma, dove si occupò di restauro di mobili antichi, per poi continuare a spostarsi in altre città della penisola fino al 2005, anno in cui decise di fermarsi a Firenze, dove tuttora vive e lavora. Proprio dal capoluogo toscano ha avuto origine il progetto artistico, oggi ancora in corso, che lo ha reso noto in tutto il mondo, ovvero una serie sterminata di interventi urbani che, inevitabilmente, hanno attirato, oltre quella dei cittadini, anche l’attenzione delle autorità. La scelta di Clet è stata quella di rimaneggiare la segnaletica stradale, la cui sovrabbondanza lo aveva colpito appena approdato in Italia, sfruttando degli sticker autoprodotti e rigorosamente installati da lui stesso, che interagiscono con gli elementi grafici dei cartelli stradali, dando vita a composizioni spesso ironiche, ma anche capaci di essere pungenti e dirette se in riferimento a tematiche di attualità.
L’utilizzo di adesivi come mezzo artistico rende Clet un valido esponente della Sticker Art, particolare nicchia della Street Art che sfrutta gli sticker come convogliatori di messaggi da attaccare velocemente su qualsiasi supporto presente nel contesto urbano, sia esso un muro o un portone di grandi dimensioni oppure, come nel nostro caso, la più piccola cartellonistica stradale. Per dare un riferimento cronologico a questa tendenza artistica, facciamo riferimento a quell’opera che, convenzionalmente, si considera come il primo esempio di Sticker Art: nel 1989 un giovanissimo Frank Shepard Fairey creava per la prima volta lo sticker “André the Giant has a Posse 7′ 5” 520 lb” raffigurante il ritratto, in bianco e nero, del famoso wrestler André the Giant, lo stesso che, successivamente, venne stilizzato e collocato sopra alla scritta “OBEY”, ottenendo così lo sticker oggi più affermato e conosciuto al mondo. Le opere di Clet, almeno storicamente, discendono quindi da questa prima sperimentazione e condividono con essa alcuni tratti fondamentali come l’agevolata riproducibilità dell’opera, la sua larga diffusione e la possibilità di una fruizione estesa veramente a tutti, siccome è sufficiente camminare in strada per vederne una.
Ma andiamo a scoprire più nel dettaglio il lavoro di Clet. L’artista francese sfrutta la sua creatività e un’insaziabile voglia di comunicare per personalizzare e dare un nuovo volto alla segnaletica stradale. Sono ormai numerose le tipologie di cartelli su cui ha impresso la propria firma, ma c’è sempre un aspetto che spinge Clet verso quel limite al di là del quale subentra l’illegalità: gli sticker intervengono sugli elementi grafici dei cartelli non in maniera distruttiva e deturpante, ma aggiungendovi un nuovo significato, un ulteriore livello di lettura, il tutto preservandone quello di prescrizione stradale, che rimane chiaramente leggibile e inalterato. Oltre alle opere più ironiche e simpatiche, che sfruttano espedienti grafici, come giochi di prospettiva, per far comparire sui cartelli dei volti cartooneschi o per trasformare le frecce di direzione in pesci o nel naso di Pinocchio, Clet non si tira indietro dall’affrontare anche tematiche di attualità e di dibattito sociale. Uno degli esempi più significativi è la riproduzione di un crocifisso ottenuto applicando uno dei suoi classici omini stilizzati, al cartello indicante una strada senza uscita. Non c’è neanche bisogno di dire che l’opera, poi replicata in varie città, fece alzare un discreto polverone di polemiche e suscitò scandalo poiché veniva raffigurata un’icona sacra in un modo difficile da accettare da tutti, quasi con un fare dissacratorio. Oppure, come si vede dal suo ultimo post su Instagram, lo scorso mese ha voluto mostrare il suo sostegno in favore di tutti coloro che si sentono discriminati per il proprio orientamento sessuale o identità di genere, rendendo arcobaleno il cuore trafitto da una freccia, che aveva già mostrato nella colorazione rossa e che culturalmente simboleggia l’innamoramento in maniera indiscriminata.
Scorrazzando per la città con la sua bici, usata poi come una scala di fortuna per raggiungere l’altezza dei cartelli, Clet aggiunge alla sua mostra a porte aperte nuove opere ogni settimana, senza cambiare di una virgola la sua tecnica: individuato il cartello, vi si avvicina, appoggia la bici al palo, si arrampica su di essa e con una velocità disarmante applica il proprio sticker nella più completa disinvoltura, per poi saltare in sella alla bici e continuare a distribuire arte per le strade. Se capitate a Firenze, vi consigliamo di fare un salto in Via dell’Olmo, dove al civico 8 potrete trovare lo studio di Clet visitabile e aperto a tutti, e magari riuscire a scambiare quattro chiacchiere direttamente con lui.