Al giorno d’oggi sono sempre di più le persone che si appassionano al mondo delle sneakers e a tutto ciò che ne concerne. Ultimamente è anche sempre più presente la figura dell’influencer, persona che molto spesso ha un elevato numero di followers e che, attraverso i propri atteggiamenti e/o comportamenti, è in grado di influenzare le opinioni altrui. Ecco, forse è proprio qui che nasce il problema degli sneakers addicted del presente, i quali sono sempre più restii nel fare scelte basate sul proprio gusto personale per paura di un giudizio, lasciandosi invece guidare dalle leggi della moda dettate da queste personalità. Possiamo riassumere tutto questo con una parolina magica: hype.
Ma vi siete mai chiesti come era lo “sneakergame” quando non esistevano i vari gruppi Facebook, quando non c’erano le centinaia di pagine dedicate alle release, quando non c’erano né bot né reseller accaniti e soprattutto quando i negozi non avevano ancora sviluppato le piattaforme dedicate all’e-commerce?
Prima di tutto stiamo parlando di un periodo in cui la moneta in vigore era la Lira e, rispetto all’odierno Euro, aveva un potere d’acquisto molto diverso. Per capirci meglio, se oggi troviamo modelli molto validi anche sui 100/140 euro, una volta dovevamo spendere di più per poter comprare la scarpa desiderata (per esempio modelli come le Jordan andavano dalle 260.000 alle 280.000 Lire mentre modelli come le Foamposite a 400.000 Lire ), la quale magari non arrivava nemmeno perché considerata un sacrificio troppo alto per il lavoratore medio dell’epoca. Gli appassionati erano molti di meno perché rimanere aggiornati su tutto costava tempo e fatica, infatti non c’erano ancora tutti i blog di informazione e inoltre, i negozi di sneakers erano pochi e quei pochi che c’erano non erano totalmente informati su ciò che vendevano. L’appassionato doveva quindi prestare molta attenzione al materiale che aveva a disposizione, ossia card, riviste, figurine, cataloghi, film, pubblicità ecc. ecc. e frequentare in maniera assidua gli shop vicino casa per vedere se la scarpa tanto bramata sarebbe potuta arrivare. Se non fosse arrivata invece, si iniziava a sentire quanti più conoscenti possibili per provare a cercare una soluzione che molto spesso sfociava in un viaggio dall’amato zio negli States. Oggi, al contrario, basta accendere il computer, digitare il nome della scarpa, controllare le decine di link che compaiono sul web ed il gioco è fatto, sappiamo prezzi, materiali, quantità e modalità di distribuzione. Tutto questo si può sapere con settimane, se non mesi d’anticipo. Un’altra differenza era sicuramente il modo in cui ci si prendeva cura delle proprie sneakers. Non esistevano né Jason Mark né Crep ma solo il buon sapone di Marsiglia e tanto olio di gomito. Ora addirittura c’è gente che le sneakers non le indossa nemmeno per paura di sporcarle e/o rovinarle (perdendo tutte le migliaia di euro investite) e che si accontenta ogni tanto di aprire la scatola e guardarle, mentre prima, il miglior paio della collezione era sempre destinato alla serata “ignorante” con gli amici dopo la quale si tornava a casa a carponi. Forse però, la cosa che rimpiange di più lo sneakerhead degli anni ’90 è il fatto che le scarpe, anche le più limited e le più belle, rimanevano per mesi invendute sugli scaffali, di conseguenza una persona aveva tutto il tempo di racimolare il necessario. Oggi invece sappiamo tutti come funziona. Le scarpe vanno sold out in 30 secondi ( se non ancor prima che escano) e poche ore dopo sono già sulle varie piattaforme di vendita al triplo del prezzo, perché ormai lo “Snekeargame” è anche un business e non più solo una passione.