Come la città influenza lo stile

LA (Los Angeles) is sexy, NY (New York) is stylish” è una delle risposte alla domanda “Qual è la differenza tra il modo di vestire tra Los Angeles e New York?” in uno dei video di @iluvurfit – profilo incentrato su interviste per strada sulla moda. La differenza c’è e si vede.

I pareri delle persone intervistate sono piuttosto concordanti: la moda a Los Angeles è più legata ai trend e agli influencer; mentre a New York, grazie al legame con il mondo dell’arte e della moda, si punta sulla sperimentazione e sulla qualità.

Ogni città, infatti, gioca un ruolo fondamentale nel modellare il nostro modo di vestire. Dai fattori climatici alla cultura locale, dall’economia alle tendenze sociali, ogni aspetto della vita urbana contribuisce a definire il stile personale. Sono persino nati degli account social dedicati allo stile di ogni città: l’account @milanesiamilano che raccoglie nel suo feed Instagram centinaia di foto – nel pieno rispetto della privacy – di look random visti per le vie cittadine, fornendo una panoramica più o meno eterogenea di uno stile locale. Ma non solo, anche su TikTok, piattaforma primigenia di tutti i trend degli ultimi anni, i video format “What People Are Wearing In” spopolano.

La visione d’insieme è che le grandi città come Milano, con connessioni internazionali e grandi flussi di turisti, lascino quindi più spazio al cambiamento e all’anti-conformismo: via al layering con gonne sopra i pantaloni, capi decostruiti attraverso l’upcycling ed accessori vintage. È molto diverso, invece, l’approccio in provincia o in piccole realtà, dove l’aderenza a uno stile più basico e poco appariscente e l’utilizzo di brand fast fashion, è preponderante. Divergere da esso può attirare sguardi confusi o persino critiche e molti utenti sui social ci ridono su postando video dei loro outfit “che nessuno comprende perché non sono a New York”.

Altro fattore, immediato e visibile, che influenza il nostro abbigliamento è sicuramente il clima. Le città situate in climi caldi e umidi vedono i loro abitanti preferire abiti leggeri e colori chiari per combattere il caldo e l’umidità. 

A Miami o L.A., l’abbigliamento estivo è praticamente una costante durante tutto l’anno riflettendo uno stile di vita che ruota attorno alla spiaggia e all’attività all’aperto. Hailey Bieber è forse l’emblema della LA girl: costumi da bagno, canotte, mini abiti, calzini bianchi a vista e sneakers per un look rilassato e comodo. E ancora occhiali da sole, una borsa capiente e un tocco di gloss, di Rhode ovviamente. In contrasto, in città con climi freddi, come Stoccolma o Copenhagen, la funzionalità e la protezione contro le intemperie sono delle priorità richiedendo abiti pesanti, strati multipli e accessori adeguati per proteggersi dal freddo. 

Questo stile è stato reso riconoscibile e attraente da influencer scandinave come Pernille Teisbaek: outfit minimali ma confortevoli, tra capispalla imbottiti, maglioni in lana e anfibi, tutti rigorosamente in colori neutri tra il bianco, il beige e una scala di grigi. Per quanto non ci piaccia ammetterlo, al giorno d’oggi la discriminante sta anche nel genere. Per le donne alcune città sono statisticamente più sicure di altre, e questo senza dubbio incide sulla scelta di indossare o meno capi che mostrino determinate parti del corpo. 

Nel 2011 un articolo dell’Huffington Post affronta l’argomento affermando che “le donne a Los Angeles vestono in modo un po’ più seducente. Le donne di Los Angeles passano la maggior parte del loro tempo in auto, che le proteggono da persone e commenti inappropriati. A New York City, le donne sono più inclini a camminare durante il giorno. Sono molto meno protette”. Nel 2024, quindi oltre 10 anni dopo l’articolo sopra citato, questa analisi rimane valida, confermando come i diversi approcci all’abbigliamento siano profondamente radicati nello stile di vita di un determinato ambiente.

La città è anche luogo di incontro tra persone dai tratti comuni: a partire dagli anni ’60, si sviluppano le cosiddette subculture o controculture. Ognuna di esse si fonda sulla condivisione di linguaggi, comportamenti e valori tra i propri membri e sono spesso definite in contrapposizione alla cultura mainstream in cui sono immerse.

@secondhandhuns Fashion week girlies back in their natural habitat #streetstyle#fashionweek#cphfw23#streetfashion#whatpeoplearewearing#copenhagenstyle#ootd ♬ Hey Sexy Lady [Feat. Brian & Tony Gold] – Shaggy

Queste subculture non solo definiscono l’abbigliamento, ma contribuiscono anche a creare un’identità urbana distintiva. Ad esempio, a Berlino, la scena dei club e della musica elettronica ha un’influenza significativa.

In un’intervista per The Columinist sul rapporto tra moda e scena techno Frank Kunster, attivo nell’ambiente da 31 anni; prima come buttafuori e ora proprietario del Georgia Bar, racconta come la scelta di adottare un look total black per locali come il Berghain o il Tresor fosse spontanea dato che “non c’erano luci in questi club. Considerandolo in maniera quasi filosofica, se sei nel buio non hai bisogno di indossare colori”. Di conseguenza nel corso del tempo questo un vestiario totalmente nero arricchito da trasparenze, pelle o latex, catene e occhiali da sole è diventato parte di un’estetica comunemente riconosciuta come berlinese.

A Londra, invece, da una parte c’è la classica eleganza britannica, rappresentata da marchi come Burberry e da capi come il trench e il tweed; dall’altra è anche la culla di movimenti di moda alternativi, come il punk, che nacque a New York, ma che trovò terreno fertile nella Londra nel 1968. Al 430 di King’s Road una giovane Vivienne Westwood insieme al compagno di allora Malcom McLaren, aprì il negozio che diventò la mecca degli adepti del movimento dettandone i canoni estetici che conosciamo ancora oggi: spille da balia, t-shirt grafiche dagli slogan anti-sistema, capi bondage, corsetti e un uso smodato del tartan. A partire da allora tali sottoculture sono oggetto di interesse per la moda al fine di commercializzarle.

Nel libro “La moda“, Giorgio Riello – autore e professore di storia moderna – espone questo processo facendo riferimento alla teoria del sociologo statunitense Dick Hebdige di “soffusione” e “diffusione”, ovvero la tendenza da parte della massa ad adottare un determinato stile riconducibile alle subculture, “eliminandone tutti gli elementi considerati pericolosi, rischiosi o di cattivo gusto” dissociandolo dal suo significato originario”.

Ed ecco che l’uniforme da club diventa così popolare tanto che brand come Balenciaga ne inglobano elementi rendendoli parte della propria estetica e allo stesso tempo Enfant Riches Deprimes, brand che viene definito da fondatore Henry Alexander come “punk elitario”, realizza quelli che erano capi personalizzati, consumati ed indossati allo sfinimento tipici di quella sottocultura rendendoli artificialmente “vissuti” e vendendoli a cifre che arrivano fino a 7.000 euro. Tutto ciò è parte integrante del concetto di globalizzazione, che avviene in particolare attraverso i social media, in cui nessuno stile è più relegato ai propri confini.

Da qui nasce la possibilità di estendere il discorso analizzando i temi dell’appropriazione culturale e dello stereotipo. Attraverso i social percepiamo la popolarità di un’idea stereotipata di determinati luoghi: un esempio molto popolare è l’estetica dell’estate italiana. In località costiere e isole, come Capri e Portofino, non è raro vedere tantissimi turisti utilizzare abiti in lino, cappelli dalla tesa larga, mocassini, foulard legati in testa alla Jackie Kennedy e pantaloni Capri emulando un tipo di vestiario che considerano prettamente “italiano”. 

Neanche i brand sono immuni a questa fascinazione: Jacquemus che ha deciso di utilizzare lo sfondo di Villa Malaparte a Capri per celebrare i 15 anni della maison tra video folkloristici con persone locali fino alla collezione stessa ispirata al film “Il disprezzo” di Godard in cui tutto sembrava incentrato alla creazione di un ideale racconto in cui il sud della Francia incontra la dolce vita italiana. Così, il vestiario che vediamo come simbolo di un’estetica non solo riflette la nostra percezione di una specifica identità culturale, ma anche le nostre aspirazioni e il nostro desiderio di connetterci con mondi diversi. In questo contesto, moda, cultura e identità si intrecciano in modi nuovi e complessi.

Dopotutto, la moda non è solo ciò che indossiamo; ma è un riflesso di chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo arrivare.