Nelle stanze segrete di Cinecittà, mentre in Italia ribolliva una nuova rivoluzione sociale e politica, cominciò a prendere piede una nuova creatura artistica che avrebbe influenzato gran parte del nostro cinema dalla fine degli anni 60 fino ai 70: i primi e cosiddetti B-Movies all’italiana. Dopo il grandissimo successo commerciale e di critica scaturito dagli Spaghetti Wester, signature Sergio Leone, ogni genere cinematografico, da prima ignorato e dalle caratteristiche più disparate, cominciò ad essere espressione di una nuova cifra artistica che avrebbe reso quel dato periodo storico una fucina estremamente fantasmagorica di una nuova e fondamentale cornice culturale.
Dallo spattler horror fino alla commedia sexy, ogni genere di film prodotto in quegli anni fu espressione di un nuovo modo artistico di intendere il cinema. Estremo, contradditorio, sessualmente perverso, tutti questi requisiti furono alla base di ogni produzione e la musica ne divenne senza alcun dubbio una delle principali caratteristiche.
Musicisti come Riz Ortolani, Nico Fidenco, Stelvio Cipriani, Franco Campanino, Gianni Ferrio, composero delle vere e proprie gemme che pur essendo legate a film di genere, considerati erroneamente minori rispetto a ciò che l’industria impartiva, avevano una carica emotiva ed una versatilità straordinaria. il funk, il jazz, la psichedelica, l’acid lounge, così come l’elettronica analogica, divennero la forma mentis di questi compositori “uccidendo” letteralmente il sinfonismo di Ennio Morricone e Nino Rota che tanto avevo reso iconico la colonna sonora all’italiana.
In un’epoca in cui la musica da film sembra vivere una nuova riscoperta, soprattutto nella valorizzazione di un patrimonio culturale infinito, Eli Roth’s Red Light Disco: Dancefloor Seductions From Italian Sexploitation Cinema si impone come un’operazione audace e irresistibile. Nata dall’incontro tra la passione cinefila di Eli Roth – regista cult e collezionista instancabile – e l’esperienza curatoriale di Andrea Fabrizii come Head of A&R di CAM Sugar, la compilation è un omaggio all’estetica sfacciata, groovy e a tratti delirante delle colonne sonore italiane tra gli anni Sessanta e Settanta. Dai club privati ai cinema di periferia, dall’erotismo esoterico all’horror più spinto, la musica di quel periodo era tutt’altro che secondaria: era linguaggio e corpo in movimento.
Red Light Disco non è solo una raccolta, ma un viaggio nella memoria collettiva di un’Italia musicale libera, contaminata, a tratti trash, ma sempre potentemente autentica. In questa intervista Eli Roth e Andrea Fabrizi ci raccontano la genesi del progetto, tra aneddoti surreali, glorificazione di Bombolo e un amore genuino per un’epoca autenticamente rivoluzionaria.



Red Light Disco è una celebrazione di un immaginario musicale e cinematografico molto specifico e fortemente rivoluzionario sia per tematiche che per stili musicali. Qual è stato il punto di partenza di questo progetto? Era un’idea su cui lavoravate da tempo?
ER: No, in realtà è stata una totale sorpresa. Amo profondamente questi film. Li ho scoperti quando ero a Roma per il tour promozionale di Hostel e Hostel: Part II. C’era un negozio di DVD in cui tornavo sempre, e qualsiasi titolo avesse l’adesivo giallo della Federal Video, lo compravo. Non mi importava se ci fossero o meno i sottotitoli in inglese, li compravo comunque. Erano incredibilmente divertenti e assurdi. Non riuscivo a credere che esistesse una raccolta così variegata di tesori cinematografici con una quantità infinita di film mai realmente valorizzati. E poi, parlando con qualsiasi italiano, capisci che tutti conoscono questi attori: Lino Banfi, Alvaro Vitali, Bombolo… Sono ancora trasmessi continuamente. Bombolo, in particolare, è uno di quei nomi che basta pronunciarlo per suscitare una risata. Ricordo che ero all’Ischia Film Festival, a una cena nella villa di Luchino Visconti, e mi ritrovai in un acceso dibattito con alcuni critici: sostenevo che Bombolo fosse più importante di Visconti! Dissi che probabilmente nessuno a Ischia aveva mai visto Il Gattopardo, ma senz’altro tutti conoscevano W la foca. A un certo punto qualcuno mi diede anche ragione, ma Lina Wertmüller si infuriò, esclamando: “Testa di cazzo, Bombolo era uno stronzo!” Io le ho risposto: “Lina, siamo dentro un film di Bombolo in questo momento! Io sono Bombolo e tu sei la nonna che mi prende a schiaffi!” Invece l’idea perRed Light Disco nasce grazie ad una mia amica, Alix Brown, DJ e music supervisor. Quando vidi che si trovava negli uffici di CAM Sugar a Milano, le scrissi subito: “Non ci posso credere che sei lì!” e lei mi rispose: “Prenderò un album per te, qui sono tutti tuoi fan. “È così che è nato tutto. CAM Sugar mi ha proposto di curare una raccolta e ho iniziato a lavorare con loro. Così ho conosciuto Andrea, e si è creata fin da subito una simbiosi unica. Ci sono davvero pochissime persone che conoscono così bene questi film come lui e così abbiamo iniziato a parlare della nostra passione comune. A quel punto mi hanno proposto di realizzare una raccolta che si focalizzasse proprio su questo genere, e l’idea mi ha entusiasmato perché non si trattava di scovare nella tradizione dell’horror all’italiana, ma di qualcosa di completamente diverso dalla mia visione registica. Eppure molte di queste tracce sono finite anche nei film horror. Ad esempio, Runnin’ Around di Daniele Patucchi, che appare nel film spagnolo Pieces, è diventata una sorta di Santo Graal per gli appassionati del genere. Ora, con questa raccolta, è finalmente possibile risalire alle fonti originali e avere versioni rimasterizzate di questi brani così iconici. Ad esempio ho sempre amato il tema musicale di Taxi Girl, e poterlo ascoltare oggi in una versione restaurata su vinile per me è incredibilmente soddisfacente. L’intero progetto, dall’inizio alla fine, è stato un’esperienza straordinaria. Inizialmente era travolgente per la mole di materiale, ma Andrea è stato come un sommelier che mi ha guidato attraverso tutti questi compositori che io non conoscevo.
AF: Il punto di partenza per Red Light Disco nasce proprio dal desiderio di esplorare e celebrare un periodo davvero unico per la musica da film in Italia, che prese piede dalla seconda metà degli anni 60 fino agli anni 70. Sono stati un decennio davvero rivoluzionario sia nel cinema che nella musica. Ci fu una fusione perfetta di temi provocatori e sperimentazioni sonore che anticiparono di gran lunga ciò che oggi ascoltiamo attraverso l’elettronica, il funk e la disco. L’idea di lavorare ad un progetto del genere era qualcosa che bramavo da tempo non solo per l’iconicità di questi film con cui sono cresciuto grazie a tante visioni regalatemi dalle TV private notturne, ma soprattutto perché negli anni, collezionando molteplici colonne sonore tratte da questi film, sono rimasto affascinato da come riuscissero a mescolare l’audacia cinematografia con l’innovazione musicale. La musica da film di quegli anni non era solo un accompagnamento alle immagini ma diventava una vera e propria espressione artistica a sé stante. Compositori come Riz Ortolani, Nico Fidenco, Stelvio Cipriani, Franco Campanino, Gianni Ferrio, hanno creato delle vere e proprie gemme che pur essendo legate a film di genere, alle volte anche inguardabili, avevano una carica emotiva ed una versatilità straordinaria. Con Red Light Disco abbiamo voluto rendere omaggio ma soprattutto riscoprire questa estetica così iconica offrendolo ad un pubblico senz’altro contemporaneo che forse non ha mai avuto modo di conoscere questa pagina così importante della musica italiana. Mi piace sottolineare che non voleva essere solo un’operazione nostalgica ma un modo per riportare alla luce il potenziale di questi brani spesso troppo sottovalutati, e di riproporli sotto una nuova veste come una sorta di viaggio che potesse unire passato e presente.
La conformazione artistica delle colonne sonore italiane anni degli anni 70 si è sempre contraddistinta per il suo essere cangiante sposando molti generi dal funk, alla disco, ma anche nella psichedelia e nell’elettronica più sperimentale. Quali sono stati i criteri per selezionare i brani di questa compilation?
ER: Non ci siamo imposti dei criteri rigidi nella scelta dei brani, volevamo semplicemente che la selezione fosse varia e rappresentativa di un momento storico così iconico per la colonna sonora all’italiana. Se c’era della musica di un compositore meno conosciuto come Don Powell che meritava di essere riscoperta, oppure brani di Bruno Nicolai con il suo inconfondibile clavicembalo, volevamo assicurarci che ci fosse il giusto bilanciamento tra tutti questi artisti. Alcuni pezzi hanno un’atmosfera più cupa, altri hanno testi cantati. Ovviamente volevo includere Gloria Guida che canta in italiano – adoro la sua voce, il suo stile, il modo in cui interpreta le canzoni. Ma mi piacciono molto anche quei brani in cui ci sono artisti italiani che cantando in inglese cercano di sembrare americani, con testi come “I wanna know if you’re coming out tonight, baby, you’re really out of sight.” Sono frasi che un autore americano non scriverebbe mai, ma un italiano che voleva conquistare il pubblico internazionale probabilmente sì. Runnin’ Around ha proprio quel tipo di energia. Ma il mio preferito è Sexy Night, che è semplicemente folle. Porno Holocaust è un film impossibile da definire o difendere in qualsiasi modo—è completamente fuori di testa. È un porno? Sì. È un film di zombi? Sì. È un film in pieno stile Joe D’Amato? Assolutamente sì. È di quel periodo in cui lui e Luigi Montefiore iniziarono a esplorare il tema dell’esotico e dell’erotico girando la maggior parte dei loro film in molteplici isole, in questo caso ad Haiti. Il film in sé è davvero estremo, ma la colonna sonora è fantastica. La cosa assurda è che se ascolti Sexy Night senza sapere da dove viene, il testo suona surreale per un orecchio americano: “She is the lady of a sexy night.” Oppure: “She moves like a tiger, the flanks.” Nessuno ha mai scritto una frase simile in inglese, ma una volta che l’ascolti ti entra in testa e inizi quasi a comprenderla. Non volevo che tutte le canzoni fossero così, però. L’idea era mostrare un assortimento vario di tutti i diversi stili musicali di quel periodo. Poi si è trattato di selezionare i brani e metterli nell’ordine giusto. Io e Andrea li abbiamo ascoltati in loop, cercando di capire se l’album avesse il giusto flow. La cosa bella è che non avevamo una scadenza, quindi abbiamo potuto dedicarci con calma alla selezione, e questo ha fatto davvero la differenza.
AF: Con Eli abbiamo capito fin dalla nostra prima call di avere una grande sintonia, quindi la selezione per Red Light Disco è stata guidata da un’idea molto chiara. Volevamo mettere in luce il lato più groove e sperimentale delle colonne sonore italiane degli anni 70 creando un ponte naturale, una connessione, con il mondo del clubbing e della musica elettronica contemporanea. Il cinema di quegli anni aveva un linguaggio davvero audace e la musica non era da meno. I compositori non si limitavano a comporre colonne sonore che fossero prettamente un commento sonoro, ma esploravano nuovi territori mescolando la propria musica attraverso le contaminazioni più in voga negli anni 70 come il funk, il jazz, la psichedelica e l’elettronica analogica. Questo spirito di libertà e contaminazione è stato il filo conduttore di tutta la compilation. Abbiamo selezionato brani che avessero un forte impatto ritmico, linee di basso killer, avvolgenti, un sound che fosse consono sia per un ascolto immersivo che per un dancefloor. Alcuni brani sono delle vere e proprie perle rare, addirittura sconosciute, ma il groove è davvero irresistibile; altri sono classici del genere che Eli ha scelto di inserire a completezza di tutto ciò. Un altro aspetto fondamentale è stato il lavoro di rimasterizzazione partendo dai nastri analogici nativi che ha permesso di restituire tutta la profondità e calore di queste incisioni mantenendone intatta l’anima analogica. Quindi Red Light Disco non è solo una raccolta di tracce ma un vero e proprio viaggio all’interno di un’epoca.
Andrea, CAM Sugar sta facendo un lavoro molto importante, quasi ideologico, nel riportare alla luce alcune perle dimenticate della musica da film italiana ed attualizzarle nel panorama contemporaneo. Come si bilancia il rispetto per l’opera originale con l’esigenza di veicolarlo verso il pubblico attuale? E quanto è importante farne la giusta divulgazione?
AF: Ti ringrazio per la domanda che reputo molto interessante. Bilanciare il rispetto per l’opera originale con la necessità di renderla accessibile al pubblico odierno è sicuramente una sfida complessa, ma è anche uno degli aspetti più stimolanti del nostro lavoro in CAM Sugar. La musica da film italiana è un patrimonio straordinario, ricco di sperimentazioni, visioni avanguardistiche, quindi il nostro compito non è solo quello di riportare alla luce ciò che è stato erroneamente dimenticato, ma farlo dialogare con il presente mantenendone intatta la propria anima. Ci sono diversi livelli su cui lavoriamo per raggiungere questo equilibrio; il primo tassello è sicuramente il restauro e la rimasterizzazione del suono, operazioni fondamentali per rendere i nastri originali consoni alla riproduzione. Il nostro obiettivo non è quello di modernizzare il suono bensì di esaltarne la grana originale; si potrebbe paragonare al restauro di un dipinto antico, bisogna far emergere i colori senza snaturarne l’essenza. Successivamente ci concentriamo sul lavoro di curatela dove in questo caso è entrato in gioco Eli. Ogni uscita deve essere raccontata nel modo giusto. Creiamo edizioni che valorizzino la storia che si cela dietro ogni composizione selezionata, con liner notes approfondite, artwork originali o reinterpretati e un packaging pensato per attrarre sia gli appassionati di cinema e vinili, sia le nuove generazioni, che hanno un’influenza digitale sempre più rilevante. L’attualizzazione passa anche attraverso il dialogo con il mondo contemporaneo: collaboriamo con produttori, DJ, artisti. Ad esempio, dentro Red Light Disco ci sono due remix, perché reinterpretare certi brani può avvicinare questa musica a un nuovo pubblico senza snaturarla. Un remix ben fatto, non è solo un’operazione commerciale, ma un ponte tra epoche diverse. E poi c’è la questione della divulgazione: viviamo in un’epoca in cui la fruizione è rapidissima, e il rischio è che queste opere vengano ascoltate in modo distratto o ridotte a semplice mood music. Il nostro compito è anche quello di dare profondità alla storia, raccontare chi erano questi compositori, chi sono stati i protagonisti, il contesto in cui hanno lavorato e le innovazioni che hanno introdotto. Solo così, possiamo restituire loro il valore che meritano e far capire al pubblico contemporaneo perché questa musica continua a esistere da così tanto tempo.

Eli, il tuo approccio alla regia è fortemente musicale tanto da poterlo paragonare alle sonorizzazioni di alcuni stilemi del cinema horror splatter italiano riconducibili a Dario Argento o alla colonna sonora di Riz Ortolani per Cannibal Holocaust. C’è una scena, in un tuo film o in uno che ami, in cui avresti voluto inserire un pezzo di Red Light Disco?
ER: Si assolutamente. Uno dei motivi per cui volevo realizzare questo progetto con CAM era proprio quello di poter ‘reclamare’ questi brani, così che nessun altro potesse prenderli. Ce ne sono alcuni particolarmente speciali, ma preferisco non svelare la sorpresa. E poi, assolutamente, ci sono anche canzoni che ho ascoltato e ho pensato: ‘Non funzioneranno nell’album, ma so esattamente dove potrei usarle in un film’. Ora che l’archivio è stato aperto, la possibilità di avere accesso a certi brani prima ancora di girare una scena è impagabile. Se riesci a ottenere una canzone in anticipo, puoi coreografare la scena in modo incredibile intorno alla musica. È sempre fantastico quando puoi avere a disposizione un brano già prima delle riprese, ascoltarlo, visualizzarlo e costruire la messa in scena attorno a quel suono. Il più delle volte si lavora al contrario, inserendo la musica dopo, ma quando si può partire dalla musica, è tutta un’altra cosa.
Il cinema di genere italiano ha sempre giocato tra ambiguità, eros e atmosfere pulp sia nelle immagini che nelle musiche. Quanto ha influito questa doppia anima nella scelta della tracklist?
ER: È un’ottima domanda. Sai, penso che in molti di questi film ci sia un suono quasi da cartone animato. Se pensi alla colonna sonora di W la foca, ha un’impronta molto specifica, decisamente comica. Spesso si sente il flauto o uno strumento particolare che caratterizza quel tipo di sound. Ma è solo uno degli elementi tipici di quell’epoca. Se invece guardi un film di Luigi Cozzi come Escape from Galaxy 3, con la musica di Don Powell, è tutta un’altra cosa. Volevo creare un mix sensuale, con brani come What Can I Do o Taxi Girl. Sono brani visivi, canzoni che puoi visualizzare nella tua mente, che diventano quasi la colonna sonora della tua vita. So che in America, su TikTok, c’è questa ossessione nel trovare canzoni sconosciute ma incredibilmente cool. Da una parte c’è la tendenza di tutti a imitare lo stesso trend, dall’altra c’è chi realizza video personali e cerca pezzi unici e perfetti da abbinare. Quindi ho pensato a canzoni che il pubblico di oggi potrebbe apprezzare e a brani vintage che potrebbero riscoprire. Poi ci sono pezzi che sono semplicemente ridicoli, ma che amo, come Runnin’ Around di Daniele Patucchi. È ovviamente una copia di Funkytown dei Lipss Inc, e dura sei minuti. Ma è proprio questo il bello! Sembra non finire mai. Lui canta con un modulatore vocale robotico tipicamente anni ’80 e ha un sound così specifico che, quando lo ascolto, mi dimentico del tempo. Potrebbe durare 45 minuti e non mi annoierebbe mai. Allo stesso tempo, ci sono tracce più melodrammatiche, come il tema de L’Infermiera di mio padre di Giacomo Dell’orso. È un brano che ho voluto inserire verso la fine dell’album perché ha quella sensazione da “scena finale” di un film, il momento in cui il ragazzo e la ragazza si ritrovano e tutto si risolve. Ma non volevo chiudere con quello, volevo che il finale fosse più energico, così arriviamo a quel suono misterioso di Stelvio Cipriani per Il sesso del diavolo. Non volevo un album tutto uguale. C’è la versione più buffonesca della Commedia Sexy all’Italiana, ma c’è anche il lato più sofisticato. Ci sono tanti tipi di commedia erotica italiana, e per me era importante mostrare questa varietà. Se l’album avesse avuto un solo tipo di sound, sarebbe diventato noioso. Ho evitato volutamente il suono più circense e cartoonesco perché non volevo che tutto fosse su quella linea. Volevo che fosse un disco da mettere su a una festa e che suonasse ancora cool secondo gli standard di oggi.
AF: Il cinema di genere italiano è stato davvero un terreno fertile per tutte le inflessioni possibili dell’erotismo e del pulp. Penso che questa doppia identità tra intimità sensuale e oscurità si rifletta estremamente nella musica di quel periodo. Quei compositori grazie alla loro grande capacità di mescolare generi diversi, hanno creato colonne sonore tanto seducenti quanto inquietanti. Questo contrasto è una delle caratteristiche che rende unica la musica da film di quel dato periodo storico. Nella sezione per Red Light Disco abbiamo proprio cercato di mantenere intatto questo equilibrio. I brani che abbiamo scelto non sono solo iconici dal punto di vista musicale, ma sono carichi di tutta quella tensione emotiva e sensuale che permetteva a molti di quei film di avere una forza narrativa unica. Non si trattava solo di selezionare dei brani che fossero perfetti per una pista da ballo ma volevamo creare un’atmosfera che potesse evocare l’essenza di quel cinema e in questo caso Eli è stato davvero straordinario.
Nel cinema contemporaneo, le colonne sonore tendono a essere più atmosferiche e meno legate a melodie iconiche. Pensate che potremmo assistere a un ritorno di un certo tipo di scrittura musicale più tematica?
ER: No, non credo e penso che dipenda sempre dalla scelta che un regista decide di percorrere. Se sei Paul Thomas Anderson, ad esempio, avrai sicuramente una colonna sonora fantastica composta da Johnny Greenwood, riuscendo a ottenere un sound molto specifico. Christopher Nolan ha sempre colonne sonore incredibili nei suoi film, e Quentin Tarantino usa musiche straordinarie, magari inserendo anche qualche brano inedito. Dipende molto dal singolo regista, e sono pochi quelli che hanno un’identità musicale forte. Se sei Wes Anderson, andrai a pescare dalla tua collezione di dischi. Se fossi io, invece, farei un mix tra una nuova colonna sonora horror e qualche traccia oscura che tutti credevano introvabile. Ognuno ha i propri gusti. Ma se guardi ai film prodotti dagli studios, lì è un’altra storia. Gli studios devono approvare la colonna sonora. Gli executive vogliono ascoltarla, il processo è molto più lungo. I film devono essere realizzati ad una velocità tale che spesso i registi non hanno nemmeno il tempo di guidare davvero il compositore. Si limitano a sentire ciò che propone, danno qualche indicazione e fine. Non hanno una visione musicale forte come, ad esempio, Luca Guadagnino. Luca ha gusti ben definiti e si sente nelle sue scelte: ha chiamato Thom Yorke per Suspiria, ha usato Nirvana in Queer. Che tu sia d’accordo o meno con le sue decisioni, sai che dietro c’è una vera direzione artistica. Oggi i registi con una personalità musicale chiara sono quelli che propongono le colonne sonore più interessanti. Ma la maggior parte dei film degli studios, purtroppo, viene gestita in modo collettivo. E ora, in alcuni casi, iniziano persino a usare l’AI.
AF: Mi interrogo spesso su quello che potrebbe essere il futuro della colonna sonora contemporanea questo anche perché con CAM Sugar lavoriamo su film odierni, così come con compositori del panorama attuale. Credo che potremmo assistere ad un approccio più tematico della composizione musicale per immagini soprattutto in un’epoca in cui la musica sembra essere sempre più ambientale, integrata nell’atmosfera generale del film più che all’interno della scena. Le colonne sonore contemporanee spesso si concentrano sull’immersione con suoni che servono prettamente ad enfatizzare il paesaggio sonoro senza creare dei temi o melodie riconoscibili. Questo tuttavia non significa che l’arte della composizione tematica sia scomparsa, ma al contrario penso che ci sia una crescente consapevolezza della sua importanza proprio perché in un mondo di suoni sfumati, le melodie memorabili e le composizioni ben strutturare emergano con maggiore forza. Temi musicali iconici come quelli creati da Ennio Morricone, John Williams, sono indelebili proprio perché legati a personaggi, emozioni ed atmosfere molto dirette. Questo tipo di musica ha una potenza immediata ed è facile per il pubblico identificarsi con essa così come nel film.
Il mercato delle colonne sonore sta vivendo un momento di grande rinascita, tra ristampe e nuovi collezionisti. Qual è la sfida più grande nel rendere questi suoni attraenti anche per chi non è cresciuto con questo immaginario così fortemente immaginifico di un’epoca storica e sociale molto determinante?
ER: Penso che la musica parli da sola. Appena la ascolti, la ami. È questa la cosa bella: le persone si fidano del mio gusto, si fidano di me. Sanno che, anche se non hanno mai sentito quel brano prima d’ora, se piace ad Eli, allora vale la pena ascoltarlo. Oggi chi colleziona vinili sono soprattutto i fan dell’horror e del cinema. E avere tra le mani un disco basato su qualcosa che non è mai stato pubblicato prima d’ora, che è rimasto in un archivio per 40 anni e che suona incredibilmente bene…beh, è il tipo di album che vuoi nella tua collezione. Per questo ho voluto realizzare un booklet di 28 pagine corredato da articoli e interviste sui personaggi che ha contraddistinto un’epoca. Volevo che Red Light Disco fosse un’esperienza completa, non solo attraverso l’ascolto, ma avere un album che, mentre lo ascolti, ti permette di leggere le note, capire il genere, scoprire chi erano questi artisti e cosa significava creare quelle tracce all’epoca. Volevo dare a tutto questo una nuova prospettiva. E poi c’è chi lo ascolta per la prima volta su Spotify, e va bene così. Ma il punto non è venderlo, basta lasciar parlare la musica.
AF: La rinascita del cosiddetto mercato delle colonne sonore c’è stata già in passato ma oggi vive sicuramente una nuova fase grazie anche all’approccio di una nuova categoria di ascoltatori che è la stessa generazione odierna. Tutto ciò rappresenta veramente una grande opportunità per rendere questi suoni immortali. Dal mio punto di vista la sfida più grande è proprio quella di riuscire a renderli accattivanti per un pubblico che non ha vissuto direttamente quel periodo storico. Le colonne sonore degli anni 60 e 70 sono legate intrinsecamente ad un immaginario cinematografico che per chi non ha vissuto quel periodo può sembrare veramente distante e difficile da decodificare. Per avvicinare le nuove generazioni è fondamentale fare un lavoro di contestualizzazione. Non si tratta solamente di vendere un disco, ma di raccontarne una storia, di connettere la musica a un mondo che va oltre la semplice traccia sonora. L’immaginario visivo e narrativo che queste musiche evocano ha un potenziale enorme ma è necessario renderlo accessibile attraverso un packaging curato, note di approfondimento, un’attenta selezione dei brani. Inoltre lavorare ai remix aiuta a collegare i suoni del passato alla contemporaneità. La vera sfida è quella di rendere queste colonne sonore qualcosa di più di un semplice oggetto da collezione, devono essere vissute come parte integrante di un’esperienza culturale che unisce passato e presente.