La moda, come la conosciamo, rappresenta il frutto di un continuo cambiamento. Dagli uomini del 17° secolo che indossano parrucche e cingono spade, alle donne del 18° strette in vita dai corsetti, arriviamo ai jeans a vita bassa degli anni 2000 dove i ragazzi sostituiscono i cappelli a cilindro con i berretti da baseball. La domanda sul perché l’abbigliamento nel corso degli anni si sia evoluto all’infinito vede una risposta negli eventi che hanno sancito i diversi periodi.
L’abbigliamento del futuro potrebbe essere completamente diverso rispetto a ogni concetto che costituisce il nostro presente, dato da fattori imprevedibili volti a influenzare la vita per come la conosciamo ora. Già oggi, con il passare del tempo, una parte della società sta iniziando a rendersi conto che la quantità di vestiti che possediamo non è importante quanto la qualità, e che l’avanzamento tecnologico potrebbe risolvere – o quanto meno acuire – una buona parte delle difficoltà di questo settore.
Tecnologia e modernità vanno di pari passo con i tempi prossimi che probabilmente vedono questa intelligenza incorporata nel design dell’abbigliamento. Il mondo della moda già percepisce il Metaverso come un nuovo mercato potenzialmente redditizio e si stima che questo settore digitale possa arrivare a valere 50 miliardi di dollari entro il 2030.
Anche dal punto di vista cinematografico, il futuro è sempre stato oggetto di analisi e interesse: secondo molti film di fantascienza indosseremo tutti le stesse tute in spandex – preferibilmente argentate – come fosse una sorta di uniforme, per altri saremo vestiti come guerrieri in un mondo post apocalittico mentre cerchiamo di sopravvivere. Ritorno al Futuro II, uscito nel 1989 ha immaginato il mondo del 2015: auto che volano, scarpe che si allacciano da sole e maniche delle giacche che si regolano automaticamente in base alla lunghezza delle braccia, per non dimenticare gli occhiali argentati indossati da Emmett alquanto simili a modelli attualmente in commercio.
Oltre al genere sci-fi, l’unica certezza che abbiamo è che ad oggi gli esseri umani hanno ancora bisogno di indossare vestiti, pur essendo consapevoli dei cambiamenti a cui andranno incontro. Forse un giorno ci abboneremo ai servizi di moda come facciamo con le piattaforme musicali? Potremmo prendere in prestito vestiti e accessori a breve termine in base alle esigenze e ai cambiamenti dello stile di vita, riducendo così le masse di abiti riposti in un armadio. Da notare, in realtà, che il noleggio di abiti – soprattutto luxury – già ora interessa una buona fetta di consumatori.
Attualmente infatti siamo in grado di riconoscere diverse novità che si sono concretizzate: negli ultimi anni i marchi hanno iniziato ad utilizzare l’intelligenza artificiale per migliorare l’esperienza di acquisto dei clienti, analizzare i dati, aumentare le vendite, prevedere le tendenze e offrire indicazioni relative all’inventario.
Anche vestiti progettati specificatamente per la realtà virtuale potrebbero essere la novità del domani. Gap ha realizzato un’app che consente ai consumatori di provare i capi digitalmente, Coach e Tommy Hilfiger hanno installato occhiali VR nei negozi per permettere ai clienti di immergersi nell’ultimo show di sfilata. Gli smart glasses, occhiali intelligenti lanciati da Mark Zuckerberg e Luxottica sono dotati di doppia fotocamera da 5 megapixel, di un touchpad iper-reattivo e di un pulsante di acquisizione, con altoparlanti incorporati per le chiamate telefoniche.
L’uso dell’intelligenza artificiale nel settore permetterebbe all’abbigliamento di cambiare colore, temperatura e taglia. Nel 2015 durante la settimana della moda di New York, ad esempio, il marchio di abbigliamento Chromat ha presentato abiti in 3D che cambiano forma, pezzi high-tech che misurano il livello di adrenalina o stress, top brevettati per raffreddare il corpo nelle giornate di caldo torrido.
Le Converse UV Chuck 70, uscite qualche anno fa in collaborazione con MARKET, sono state realizzate in un comune colore bianco ma, essendo sensibili ai raggi solari, se esposte alla luce possono cambiare in un attimo trasformandosi in un paio di sneakers dalle mille tonalità. Dai capi Stone Island termo sensibili alle proposte di brand emergenti come Di Petsa e Sinead Gorey che presentano una reazione isotermica.
Pensando che l’87% di tutta la moda attuale finisce in discarica, cosa succederebbe se realizzassimo solo abiti che le persone desiderano veramente?
Questo è, in parte, ancora irrealizzabile, perché troppo facile produrre grazie a una manodopera a basso costo in molti paesi. Tuttavia, le crescenti preoccupazioni per i salari equi, l’inquinamento, così come la necessità di soddisfare i consumatori iperconnessi di oggi, stanno facendo sempre più spazio a nuove tecnologie entusiasmanti. Se queste tecnologie saranno disponibili o meno a tutti – come nel caso del fast fashion – è un’altra questione, ma i brand che volteranno le spalle alla sostenibilità si troveranno nei guai.
Poiché questa rivoluzione tecnologica continua la sua ascesa, ha sempre meno senso per le aziende e per i brand continuare a produrre grandi quantità di abbigliamento, con mesi di anticipo e senza alcuna certezza di vendita. Coloro che prendono il ritmo e diventano più reattivi alle esigenze del mercato saranno i probabili vincitori in questo ambiente moderno in rapida evoluzione.
In questo contesto i nuovi tessuti probabilmente rappresenteranno il futuro della moda: pensereste mai di indossare un abito derivato dalla seta di un ragno o un maglione realizzato mediante l’uso di alghe? La pectina di mele, le foglie di ananas o i funghi potrebbero rappresentare un’alternativa sostenibile alla pelle vegana.
Anche i continui sviluppi della tecnologia blockchain si fanno strada nel mondo della moda. A confermarlo è l’aumento della domanda di NFT, oggetti unici basati proprio su questa innovazione: con questo strumento si può assegnare a un prodotto un’identità unica non replicabile, non modificabile, garantendone l’anticontraffazione. A ogni capo, infatti, viene associato un elemento fisico e tangibile, ovvero un’etichetta sulla quale viene stampato un QR code oppure applicato un microchip NFC che contiene in modalità criptata il codice univoco.
Attraverso questa tecnologia è possibile riportare tutta la storia del prodotto: design, materie prime, fasi di lavorazione, confezionamento fino ad arrivare all’intera rete logistica e alla collocazione nel negozio. Il consumatore, utilizzando semplicemente uno smartphone, può scoprire tutte le informazioni riguardanti il capo, acquisirne il possesso fisico e digitale.
E se si vuol parlare di futuro della moda tra innovazioni e sostenibilità, queste andranno di pari passo con il tema dell’inclusione, che già oggi tenta di muovere i primi passi.
Ad unire queste tematiche è proprio un evento di qualche giorno fa: durante la presentazione della primavera/estate di Coperni siamo rimasti stupiti dal particolare abito spray che ha indossato Bella Hadid.
La magia, la cui preparazione ha richiesto sei mesi di lavoro, è stata resa possibile da un prodotto innovativo: un liquido spray istantaneo prodotto dall’azienda Fabrican Ltd. Realizzato più di dieci anni fa dal dottor Manel Torres, si tratta di una fibra liquida legata insieme a polimeri, biopolimeri e solventi più ecologici. Il liquido da cui è composto evapora al contatto con la superficie e sulla pelle rimane solo il tessuto, il risultato ha una consistenza scamosciata, che può essere anche lavorata.
Le fibre utilizzate da Fabrican possono essere naturali ma anche sintetiche, dalla lana mohair al nylon, passando per il cotone e la cellulosa. Grazie a creazioni di questo tipo l’“usa e getta” non suona più come uno spreco. Il tessuto-spray è realizzato con sostanze non dannose per l’ozono, della stessa composizione di molti cosmetici e, dopo essere stato indossato, può ritrasformarsi in liquido pronto per il prossimo utilizzo. Tecniche che, a pensarci, potrebbero ridurre l’impatto ambientale.
Certo, in questo caso appare ancora impossibile riuscire a immaginare che un giorno ci vestiremo tutti grazie a una bomboletta spray, ma esistono altre proposte che potrebbero apparire ben più attuabili.
In un mondo incentrato sul risparmio, se avessimo vestiti specificamente adattati al corpo di ogni persona potremmo eliminare le possibilità di spreco. In futuro potrebbe cambiare la visione delle aziende rispetto al campionario di taglie standard: con l’avanzare della tecnologia – come già fanno alcuni brand che si occupano di 3D – riusciremo a scansionare il corpo per le misurazioni e procedere poi con la realizzazione, i famosi vestiti “no-size”.
Grazie all’uso della stampa 3D, oggi diverse realtà realizzano pezzi su misura in digitale per i singoli clienti. Aziende di abbigliamento sportivo come Nike, che già consentono agli acquirenti di progettare le proprie scarpe da ginnastica, postulano un futuro in cui i consumatori saranno in grado di stamparle autonomamente a casa. La scarpa da basket Nike Adapt BB, ad esempio, presenta un sistema di allacciatura che si adatta elettronicamente alla forma del piede per offrire una calzatura perfetta durante la partita, chi le indossa può regolarle o personalizzare le luci attraverso il proprio smartphone. Le scarpe che si allacciano da sole predette da Ritorno al Futuro II esistono davvero.
Mediante l’uso di nuove tecnologie – ad esempio il 3D – avremmo quindi la possibilità di indossare capi personalizzati che da un lato andrebbero ad ovviare al problema delle taglie e dall’altro permetterebbero di risparmiare risorse ed inquinare meno. Questo perché l’industria del fashion attualmente utilizza circa 80 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno e solo con l’uso della corrette innovazioni i vestiti saranno prodotti utilizzando esclusivamente i materiali necessari.
Queste novità consentirebbero di far fronte a diverse questioni annose: se il tema della sostenibilità sta molto a cuore a tutti noi – dato il grave periodo ambientale che stiamo vivendo – quello dell’inclusività non è da meno, anche se purtroppo ci troviamo sempre davanti a un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire.
Del resto, la tecnologia di Fabrican è stata presentata sul corpo canonicamente perfetto di Bella Hadid e qui non ci sono cuciture o bottoni che reggano. Abbiamo assistito a fashion week che si sono rese, ancora una volta, promotrici dei classici “corpi perfetti”, conviti che il pubblico dopo un paio di stagione di body positivity non si accorga di nulla. Con il ritorno degli anni 2000, oltre che l’abbigliamento, si sono ripresentati canoni di bellezza stereotipati, che hanno cancellato nel tempo di poche settimane tutti i discorsi e i buoni propositi messi in atto dalle maison.
Molti marchi di moda adesso fanno riferimento a modelli plus-size, ma l’aumento della rappresentanza nelle campagne pubblicitarie e sulle passerelle non corrisponde a un ridimensionamento esteso ai negozi.
Che questi atteggiamenti possano realmente cambiare con gli abiti del futuro? Indubbiamente le taglie standardizzate in molti casi rappresentano un modo per ridurre i costi, ma l’industria è stata comunque afflitta da problemi fin dall’inizio poiché i dati raccolti non hanno mai rappresentato la donna media e in questo modo si creerà una quantità elevata di capi invenduti. Nonostante siano passati anni dalla nascita del ready-to-wear, il problema persiste: non è possibile creare una dimensione standard quando non esiste un corpo standard.
Attualmente il marchio statunitense Frame, ad esempio, ha lanciato il modello Le One: un singolo paio di jeans che ha la flessibilità di adattarsi fino a sei taglie. Anche il brand italiano cancellato UNIFORM (cU), progetta abiti in taglia unica che si modellano sul corpo di chi li indossa. In questo caso la produzione necessiterà comunque di costi e risorse primarie ma introducendo un nuovo campionario o sfruttando tecnologie come il 3D, potremmo ipotizzare un abbigliamento inclusivo e più attento agli sprechi.
Possiamo solo immaginare le trasformazioni che porteranno a un cambio di rotta dell’abito. Nuovi tipi di innovazione stanno condizionando radicalmente il mondo del fashion, tecnologie indossabili e materiali innovativi avranno un grosso impatto su quello che la gente indosserà in futuro, la convergenza di nuovi processi e risorse sta portando a possibilità inimmaginabili.