La maggior parte delle volte, per cercare ispirazione, guardiamo agli outfit recentemente indossati sui red carpet dagli attori del momento, a quelli dell’influencer che riempie i nostri feed social, a come si veste il nostro cantante preferito o agli street style nel periodo delle fashion week. Raramente, se non mai, consideriamo lo stile dei designer, anche se dopotutto sono loro che per definizione dettano le mode, no?
Sarà scontato dirlo, ma è una realtà forse un po’ difficile da affrontare: ci interessa più il brand della persona che ci sta dietro.
Questa concezione viene probabilmente portata avanti da una serie di luoghi comuni (in parte veri) che si sono diffusi nel tempo tra le masse. Uno di questi è quello che dice più o meno così: “Gli stilisti si vestono sempre uguali perché saranno stufi delle eccentricità delle passerelle”. Ok, affermare che quanto appena detto non sia vero è sbagliato, ma in realtà non è sempre così.
Le cosiddette uniformi hanno certamente un ruolo fondamentale nel fashion system e a dirlo sono soprattutto i direttori creativi in primis, che siamo abituati a vedere con indosso delle sorte di mise manifesto. Pensiamo per esempio a Thom Browne in Thom Browne, a Rick Owens musa di se stesso, a Giorgio Armani e la sua classica color palette elegante, a Donatella Versace in quanto regina dello stile Versace, al minimalismo monocromatico di Riccardo Tisci e così via.
Tuttavia, quando questa regola viene scardinata, immediatamente il fatto diventa notizia. È questo quanto successo di recente con Tom Ford, che al Met Gala 2024 si è presentato sul tappeto verde con un abito realizzato da Saint Laurent. Alcuni media hanno definito questa mossa del tutto inaspettata, alludendo probabilmente alla remota possibilità che lo stilista texano ritorni alla guida della maison ora che ha lasciato la sua etichetta eponima.
Ma è davvero così strano che un designer non indossi gli abiti da lui creati? Niente affatto, possiamo citare moltissimi esempi meritevoli e andremo così a scoprire anche che a volte il gusto personale di chi è a capo di un marchio viene decisamente sottovalutato.
Pensiamo innanzitutto a Karl Lagerfeld e al suo notorio desiderio di dimagrire drasticamente per poter indossare le silhouette super skinny di Hedi Slimane ai tempi in cui lavorava per Dior. Si può forse dire che la figura di Kaiser Karl non fosse esteticamente iconica e degna di nota? Sarebbe di certo un’eresia.
Altrettanto valido è l’espediente di Kim Jones, che in numerosissime occasioni pubbliche non ha mai nascosto di adorare il genderless di Miu Miu, o l’interesse scaturito dalle immagini che ritraevano Ralph Lauren con indosso sneaker Jordan e Salomon. Curioso, vero?
Non parliamo poi del video diventato virale negli ultimi giorni che mostra l’ex direttore creativo di Valentino Pierpaolo Piccioli aggirarsi con tutta tranquillità per Roma carico di borse Gucci e una giacca firmata Junya Watanabe MAN x Carhartt WIP. Oppure di Virgil Abloh, i cui outfit erano sempre una sorpresa che ben testimoniava il suo ampio background tra skate, haute couture e clubbing. E poi ovviamente c’è Miuccia Prada, i cui assemble post sfilata vengono spesso definiti lo show dentro lo show, a tal punto che la pagina Instagram What Miuccia wore li cataloga ossessionatamente.
Dunque, che cosa ci vuol dire tutto ciò?
Per risolvere questo quesito, ci si deve per forza imbattere in due situazioni differenti che però portano alla stessa risposta. Come dicevamo, c’è chi vuole rappresentare il proprio brand e chi preferisce sfoggiare un marchio altrui, c’è chi decide di indossare una semplice t-shirt con jeans e chi opta per un look eccentrico. Qualcuno predilige la discrezione e la comodità, altri invece amano mescolare realtà anche divergenti. Ad ogni modo, entrambe le scelte ci comunicano la medesima volontà di esprimere la propria personalità, seppur in modo differente.
Dovremmo quindi credere di più al guardaroba eclettico di Stefano Pilati o alla semplicità da ragazzo della porta accanto di Jonathan Anderson? No, non funziona così. Il consiglio è di riflettere sulla diversità individuale degli stilisti e sul loro modo di comunicare per cercare il proprio punto di riferimento laddove nasce il vero atto della moda.