A Torino fino a poco tempo fa c’era una chiara idea di ciò che fosse il Tamango: un cocktail ottenuto grazie a un mix di alcol, piante e radici, che innesca un senso di euforia e di voglia di ballare in chi lo beve. Finì anche sulle pagine della BBC inglese, che lo definì come la ”risposta italiana all’assenzio.”
Negli ultimi mesi però è più facile associare lo stesso nome a un fenomeno musicale altrettanto allucinogeno. I Tamango sono infatti la band del momento.
Fondato originariamente da tre compagni del liceo della provincia torinese, oggi il collettivo conta ben quindici componenti, tra artisti, strumentisti, grafici e professionisti che collaborano sotto un unico nome. Uno spazio artistico libero che propone una musica molto difficile da etichettare: a metà tra il cantautorato e l’elettronico, tra l’acustico e il digitale, la proposta dei TAMANGO si contraddistingue per l’unione di sonorità jazz-soul dal sapore rétro con suoni nuovi più contemporanei, arricchita da arrangiamenti originali e inconsueti.
Sono finiti virali qualche tempo fa su Instagram con un reel estratto da un concerto dello scorso anno in un club speakeasy di Torino. Il video ritrae la band cantare alcuni loro pezzi al centro dello spazio con i fan tutti intorno, le luci soffuse e una telecamera che ruota, ricreando una dimensione tanto intima da generare empatia anche attraverso uno schermo. Sotto al reel spicca fra gli altri il commento di apprezzamento dell’Academy dei Grammy.
Da quel momento i loro ascoltatori mensili su Spotify sono passati da 5mila a più di 200mila, catapultando così di colpo il collettivo nel generalismo sfrenato. Di risposta, per mettere in chiaro le cose e cercare di governare certe dinamiche del mainstream, hanno pubblicato settimana scorsa “Prosopopea”, un video spoken in bianco e nero che mischia musica e politica, spiazzando e disorientando l’ascoltare. Uno spericolato esperimento musicale, che stupisce e affascina.
Il potenziale pare enorme, così come la capacità di spaziare fra i generi. Noi ci auguriamo di poterlo continuare a scoprire un poco alla volta, senza fretta.