La serie di Yara Gambirasio è uscita su Netflix solo due giorni fa, ed è già al numero 1 tra le serie TV sulla piattaforma.
Data l’importanza storica del caso, potevamo aspettarcelo. Si tratta di una storia che ha toccato tutta Italia, da chi ha vissuto il caso negli anni in cui è successo a chi lo ha scoperto soltanto dopo, magari a causa degli aggiornamenti che periodicamente venivano fuori.
Gianluca Neri, produttore della docuserie Netflix, lo stesso che ha prodotto anche SanPa, ci ha tenuto a specificare sì di aver voluto dare spazio a tutte le parti in causa, ma sempre con l’obiettivo di mantenere il dubbio.
«L’obiettivo non era rifare il processo, ma raccontare una cosa che noi come società ci siamo dati come regola, che però non rispettiamo mai, cioè avere la certezza assoluta prima di mandare in galera qualcuno», ha affermato Neri.
E ci è decisamente riuscito. La risposta sui social è quella di innumerevoli persone che, dopo aver visto la serie in pochissime ore, hanno iniziato a indagare per conto proprio, creando contenuti su tutto ciò che non torna del caso. Contenuti che hanno generato nei commenti altrettante discussioni, dibattiti, casi studio e complotti.
Tutti pensano di avere la risposta, ognuno la propria, di aver scoperto cose che nessuno ha mai visto o non ha mai voluto vedere. Il giorno dell’uscita della docuserie, le ricerche sul caso – basandoci sui dati di Google Trends – sono passate da 0 a 100, e non riguardano solo i nomi dei principali protagonisti, ma anche di tutte le figure che in qualche modo vengono citate.
La serie, quindi, non solo ha diviso il pubblico – tra innocentisti, colpevolisti e complottisti – ma ha anche creato squadre di nuovi improvvisati investigatori che propongono le loro personali conclusioni su TikTok. Il tutto ritrovandosi protagonisti (o vittime) di un trend che si sviluppa sulle note di “In Italia” di Fabri Fibra, Baby Gang e Emma Marrone.