Cosa c’è oltre il velo di Māyā?

Cos’è Māyā? Un’idea, un sogno, un progetto?

Per Schopenhauer il velo di Maya rappresentava tutto ciò che nascondeva la realtà delle cose, ciò che rendeva impossibile all’uomo vedere il mondo per com’è realmente. Per Simone Benussi, in arte Mace, è un personalissimo tentativo di scardinare le convinzioni generaliste, mostrando un lato diverso della musica contemporanea e del modo di farla.

L’effetto macedonia, sempre insidioso in un producer album moderno, è debellato. A trionfare è la visione d’insieme data dal producer milanese, che per il suo ultimo lavoro in studio chiama a raduno 15 strumentisti e ben 28 voci, tra veterani e nuove leve, per assecondare un’idea trasversale: quella di una musica che è esperienza collettiva, che rifiuta la banalità e le logiche di mercato e porta gli artisti in territori lontani dalle loro abituali certezze. Non sorprende che su un tappeto sonoro così variopinto e insolito a spiccare maggiormente siano proprio le voci emergenti: Marco Castello, Ele A, Altea, Joan Thiele fra tutti.



I suoni del disco si schiudono come una finestra spalancata su un mondo iridato e pieno di dettagli da cogliere (con la premessa di dedicare all’ascolto un’accorta attenzione): c’è l’hip hop vecchia scuola degli inizi, l’electro funk con cui Mace ha girato il mondo, la trap e il pop con cui ha avuto successo, l’afrobeat di cui si è innamorato. Poi, un’infinità di assoli strumentali, che in pochi secondi attraversano mondi e generi fra loro lontani: è questo il vero velo di Maya che viene a galla, laddove emerge Simone e la sua imprevedibilità, nelle variopinte outro delle canzoni. L’omonima traccia che chiude il disco è il perfetto compimento di tutto ciò: un brano di oltre 8 minuti di soli strumenti, a susseguirsi e aggiungersi l’un l’altro creando un effetto quasi amletico, che apre a un’infinita curiosità per la sua rispettiva dimensione live.

Dall’esperienza extracorporea di OBE a un raffinatissimo disco pop contemporaneo, che ha l’esplicita ambizione di raggiungere il mainstream, senza però tradire le fondamenta.

Riuscirà Mace ad ampliare la nostra visione e i nostri panorami musicali?