Cosa impedisce altri luxury brand di seguire le orme di Gucci e Balenciaga?

“Il più proibito degli esperimenti di moda”, Alessandro Michele definisce così il frutto dell’hackeraggio di Gucci da parte di Balenciaga. Per tutto il 2020 le due maison si sono prese a spallate per contendersi il posto di brand più desiderato al mondo e negli ultimi mesi dell’anno i primi due posti erano proprio i loro, secondo la classifica dei brand e dei prodotti di moda più desiderati su scala mondiale di Lyst Index.

Un look della collezione Gucci Aria

La creazione di una collezione a quattro mani da parte di Alessandro Michele e Demna Gvasalia ha messo fine per un secondo alla competizione tra i due brand portando un pubblico raddoppiato a seguire i movimenti coordinati delle due maison e dando il via ufficiale ad un tipo di collaborazione che fino ad oggi era proibito ed impensabile. Ma adesso che Gucci ha aperto i cancelli a questo nuovo giardino segreto fatto di collaborazioni mai viste prima, cosa impedisce ad altri brand del lusso di seguire le sue orme?

È in realtà difficile pensare a questo progetto come a una vera e propria collaborazione, un po’ per i motivi che hanno portato a questa decisione e un po’ per il modus operandi di questo cosiddetto hackeraggio. “Volevo parlare dell’essere popolare con un tono molto specifico, e Gucci è popolare” afferma Michele, fiero del risultato raggiunto e racchiudendo in queste parole la sua volontà di desacralizzare il brand e renderlo più che mai accessibile — se non economicamente, almeno comprensibile al largo pubblico. “Volevo prendere gli elementi che più amo di Balenciaga e lasciare che fosse la moda a parlare la sua stessa lingua” racconta Michele, “dobbiamo parlare a tutti, non dovrebbero esserci confini”. Gucci alza metaforicamente il volume, si fa notare da un pubblico ancor più vasto e parla una lingua diversa, sempre più chiara e decifrabile.

Il sottofondo musicale stesso, che andava da Rick Ross, a Lil Pump, urlava solo una cosa: l’onnipotenza culturale di Gucci. Allora perché fondere in questo modo una casa di moda allo scoccare dei suoi 100 anni di storia e una maison francese leggendaria, che nulla hanno da invidiarsi l’un l’altra? È proprio in occasione del centenario che Gucci vuole ricalcare il suo passato e iniziare a scrivere un sentiero nuovo per il suo futuro. Michele vuole per Gucci una nuova immagine che sia popolare, accessibile e raggiungibile da un pubblico sempre più ampio — non è forse questo quello a cui puntano tutti i grandi brand? — e per farlo si affida ad una impollinazione incrociata con una maison che ha altrettanta storia e hype intorno a sé.

Un look firmato Supreme x Louis Vuitton

Ma cosa rende tale una collaborazione? Da quando nel 2017 Supreme e Louis Vuitton hanno unito le forze e hanno creato quella che è forse una delle collaborazioni più hype di sempre, hanno involontariamente settato delle regole non scritte per tutte quelle a venire: avere un seguito ed una community fedele e ben definita, puntare sull’esclusività e la limitata quantità dei pezzi e trovare un elemento in comune del proprio DNA su cui costruire la collaborazione. Anche nelle collaborazioni di H&M con grandi brand come Comme des Garçons, la storia è chiara: si tratta di democratizzare la moda, renderla inclusiva e accessibile ad ogni tasca.

Ma anche in questo caso, l’unico elemento che ritorna sempre è la limitatezza dei pezzi, che pur essendo venduti a prezzi bassi, diventano esclusivi in termini di reperibilità. La forza trainante delle collaborazioni è proprio il numero limitato dei pezzi, perfetta per catturare l’attenzione di un pubblico sempre più distratto.

Cooperazioni di questo genere sono trasformazioni strategiche che permettono di mantenere e rinnovare la rilevanza del brand a lungo termine — il pubblico ricorderà per molto tempo unioni epiche come quella tra Gucci e Balenciaga e da questo ricordo crescerà la desiderabilità di tutti i loro prodotti.

Si tratta sempre di una ri-contestualizzazione di un determinato brand, e in quest’ottica non esistono collaborazioni “sbagliate”. Allora cosa impedisce ad altre maison di seguire questo esempio con le combinazioni più varie e inaspettate? Negli ultimi anni Gucci ha dimostrato di essere un passo avanti a molti brand nella sua capacità di comprendere i tempi e sintonizzarsi con il suo pubblico, e nonostante questo, nessuno ha mai preso il suo modello di business come esempio. Sarà la mancanza di coraggio di determinati brand di fare passi avanti e scombussolare le carte in tavola? O sarà l’assoluta certezza che passi come quello di Gucci e Balenciaga possono funzionare solo con questi due comuni denominatori? Quello che è certo è che questo hackeraggio non segue le regole canoniche di una collaborazione: i pezzi non sono limitati — quindi possiamo dire addio a tutto il magico mondo del resell—, l’hype non è creato dalla difficile reperibilità dei pezzi ma intorno al loro lusso straboccante, anche i prezzi di retail saranno alti trattandosi della fusione di due brand di lusso, nessuno dei due brand ri-contestualizza l’altro, i due designer non hanno collaborato propriamente nella creazione della collezione — Michele ha mostrato a Gvasalia il work in progress ma quest’ultimo è stato più uno spettatore che un partecipante attivo.

Alcuni look della collezione Gucci Aria

Forse quello di non volersi definire una collaborazione non è un semplice capriccio ma un avvertimento sui termini di questo hackeraggio, che si rifiuta in ogni caso di rientrare in uno schema preciso e replicabile. E forse, è ancora questo stesso il motivo per cui altri marchi di lusso potrebbero essere scoraggiati a buttarsi in un’impresa simile.

Inoltre, i motivi che hanno portato a questa collaborazione non riguardano la semplice creatività e volontà di innovazione dei due direttori creativi, bensì ordini dall’alto. Commentando l’andamento di Gucci nel 2020 in una conference call qualche tempo fa, Pinault, presidente e amministratore delegato di Kering, parlava di precise e pianificate operazioni di marketing che vedevano protagonista Gucci. Dopo un anno in cui il brand ha registrato un calo del fatturato del 22,7%, si sono ritenuti fondamentali per la maison una serie di eventi speciali per far risalire le redditività. Quello di Gucci e Balenciaga potrebbe quindi essere un test all’interno di Kering per un nuovo piano di risollevamento di alcune maison. Se così fosse, a chi toccherà adesso?