Chiunque abbia un account sui social nelle ultime settimane ha il proprio feed stracolmo di materiale inerente al famigerato “caso Diddy”. Qualsiasi intervista, videoclip o momento di vita, privata che vede protagonista il rapper e imprenditore newyorkese, viene oggi sezionato alla ricerca di un particolare che alimenti le accuse nei suoi confronti. Non siamo nuovi ai processi mediatici, ma la portata degli attori coinvolti in questa storia sta generando un vortice di contenuti con pochi precedenti nella storia recente. In questo marasma di strette di mano sospette, mezze frasi, sguardi minacciosi e foto equivoche si cela la sottile linea tra realtà e teorie del complotto strampalate. È quindi forse il caso di provare ad orientarsi in questo labirinto di informazioni, indiscrezioni e fake news, con l’obbiettivo di porre al centro ciò che oggi possiamo effettivamente dire di sapere con certezza sulla vicenda Diddy. Questo, non solo per il principio di presunzione di innocenza, ma anche, e soprattutto, nel rispetto delle persone che sarebbero state sue vittime.
Innanzitutto, diamo un contesto a questo storia. Prima del 2019, nello stato di New York le cause civili per cattiva condotta sessuale erano soggette a un termine di prescrizione di tre anni. Nella sostanza, questo significava che il diritto di denunciare una molestia o una violenza decadeva, se non esercitato nell’arco di tre anni di tempo da quando il fatto era avvenuto. Le istituzioni statali hanno poi esteso la prescrizione per le cause civili legate a reati sessuali a 20 anni, ma fino al 2022 questa estensione non era retroattiva. Risale quindi a due anni fa la ratifica dell’Adult Survivors Act. Questa legge ha consentito alle vittime di reati sessuali, per le quali la prescrizione era scaduta, di intentare cause civili per un periodo di un anno. L’Adult Survivors Act ha quindi aperto una cosiddetta “lookback window”, letteralmente “finestra di riflessione”, a tutte le vittime di reati sessuali, dando loro la possibilità di presentare denunce, che altrimenti sarebbero state bloccate dalla prescrizione. Dal 24 novembre 2022 al 24 novembre 2023, vengono quindi intentate moltissime cause riguardanti la cattiva condotta sessuale. Tra le tante, c’è anche quella che, di fatto, dà inizio al “caso Diddy”.
Nel novembre del ‘23, la cantate ed ex compagna del rapper, Cassie, accusa Sean ‘Diddy’ Combs di violenza sessuale e stupro. Nella denuncia la donna afferma di essere rimasta invischiata in un “ciclo decennale di abusi, violenze e traffico sessuale”, che includeva uno stupro avvenuto nel 2018 e molteplici casi di violenza domestica. La causa si risolve in meno di ventiquattro ore. Gli avvocati di Diddy annunciano subito di aver scelto la via del patteggiamento, dichiarando tuttavia quanto questo non fosse “in alcun modo un’ammissione di un illecito”. Ma è grazie alla denuncia di Cassie che si sono fatte avanti altre persone. Pochi giorni dopo aver risolto la causa con l’ex compagna, Diddy viene denunciato per una seconda violenza sessuale. Secondo i documenti riservati, divulgati dalla rivista PEOPLE, una donna lo avrebbe accusato di averla drogata e violentata quando era una studentessa della Syracuse University nel 1991. Gli avvocati della ragazza sostengono anche che la loro assistita sia stata vittima di revenge porn, dato che il magnate della musica avrebbe registrato la violenza e condiviso il nastro con altri esponenti dell’industria musicale. Diddy ha negato le accuse, sostenendo che lei avesse inventato la storia, alla ricerca di un risarcimento in denaro.
Lo stesso giorno, arriva però una terza denuncia, e all’inizio di Dicembre, una quarta. Quest’ultima, depositata sempre presso lo stato di New York, indica Sean Combs come responsabile di un giro di traffico sessuale e di stupri di gruppo, insieme all’ex presidente della leggendaria etichetta discografica Bad Boy Entertainment, Harve Pierre, e ad un terzo individuo non identificato. La vittima racconta di essere stata adescata quando aveva 17 anni in un locale nel Michigan, di essere stata convinta a prendere un jet privato verso New York, dove ha raggiunto lo studio di registrazione di Diddy, quindi di aver ricevuto droghe e alcol prima di essere “ferocemente violentata in gruppo”. A febbraio le denunce diventano cinque, quando Rodney “Lil Rod” Jones, ex produttore del rapper, lo accusa di averlo molestato sessualmente, drogato e minacciato mentre lavorava al suo ultimo album “Love”.
Il 25 marzo 2024 le proprietà di Diddy a Miami e a Los Angeles vengono perquisite dalla polizia, alla ricerca di prove che avvalorino le accuse di traffico sessuale. Questa vicenda subisce una svolta nel mese di maggio, quando la CNN pubblica per la prima volta un video risalente al 2016, in cui si vede Combs aggredire fisicamente l’ex compagna Cassie. Le immagini, riprese dalle telecamere di sicurezza dell’albergo dove i due risiedevano, non si prestano ad interpretazioni. Questo video, che conferma senza dubbio un comportamento violento e predatorio di Diddy, diventa virale sui social, aprendo una nuova fase nel processo, che diviene molto più mediatico di quanto non fosse stata prima.
A settembre le accuse si ampliano, con l’ex cantante delle Danity Kane, Dawn Richard, che presenta una denuncia per abusi sessuali. Questi, ripetuti per più di un decennio, si intersecherebbero con dinamiche ricattatorie legate a contratti discografici e mancati pagamenti di tournée musicali. Richard ha inoltre affermato che lei avrebbe assistito all’aggressione fisica di Combs nei confronti di diverse donne. Alla luce delle molte denunce, delle prove rilevate nelle perquisizioni, di più di cinquanta testimoni ascoltati agli inquirenti, il 16 settembre il procuratore di New York Damian Williams ha dato il via libera per l’arresto di Diddy da parte degli agenti federali.
I capi d’accusa sono tre: associazione a delinquere, traffico sessuale attraverso la coercizione, attività di trasporto di persone, sempre con metodi coercitivi, con la finalità dell’esercizio della prostituzione. Le attività contestate a Combs fanno riferimento a un arco temporale che va dal 2009 al 2018 per il traffico sessuale e dal 2009 al 2024 per il racket della prostituzione. L’accusa sostiene che Combs abbia “abusato, minacciato e costretto le donne e le altre persone che lo circondavano a soddisfare suoi desideri sessuali, a proteggere la sua reputazione e a nascondere la sua condotta”. Attraverso il suo impero musicale e commerciale Diddy avrebbe creato “un’impresa criminale” in cui gli associati avrebbero compiuto azioni illegali come “il traffico sessuale, il lavoro forzato, i rapimenti, gli incendi dolosi, la corruzione e l’ostruzione della giustizia”. L’obbiettivo principale di questa struttura, che agiva secondo uno “uno schema persistente e pervasivo di abuso”, sarebbe l’organizzazione di incontri privati in cui le donne sotto coercizione si prestavano ad “atti sessuali prolungati con lavoratori di sesso maschile”. Durante questi eventi, che Diddy stesso chiamava “freak offs”, lui e i suoi associati avrebbero anche fornito narcotici alle donne per mantenerle “obbedienti e compiacenti”. Gli incontri, che sarebbero stati ripresi da telecamere, potevano durare anche diversi giorni, provocando problemi sanitari alle vittime, oltre agli evidenti danni psicologici. Questo avrebbe reso necessario, in alcuni casi, che Diddy e i suoi sodali provvedessero a trattamenti medici, come la somministrazione di flebo.
Al di là dei dettagli più scabrosi, come il ritrovamento di mille bottiglie di olio per bambini e lubrificanti nell’abitazione di Combs, per ora questi sono i fatti emersi dalle pagine pubblicate dagli inquirenti. L’attenzione dell’accusa non è dunque oggi rivolta ad altri possibili eventi che non sono ancora stati rilevati degli investigatori.
L’obbiettivo, per ottenere una condanna federale di Diddy, è quello di dimostrare che il suo schema criminoso possa essere inserito all’interno dei confini imposti dalla RICO Law, ossia dalla legge americana in tema di associazione a delinquere. Tanto i celebri white party, quanto gli abusi nei confronti di artisti come Justin Bieber – per citare due delle indiscrezioni più diffuse sui social, non sono dunque, ad oggi, citate in alcun modo nell’inchiesta. Lo stesso vale per il plausibile coinvolgimento di altri nomi di spicco dell’industria musicale, come Jay-Z e Beyoncé, che, per quello che sappiamo ora, risultano essere estranei ai fatti.
Da tutti è quindi atteso lo svolgimento di questo processo. Si crede infatti che quello sia il contesto in cui possa emergere qualcosa di nuovo e differente sulla vicenda. Nel frattempo, l’industria dell’intrattenimento americana deve fare i conti con l’ennesimo caso di abusi sessuali. A due anni dalla condanna di R Kelly, si conferma l’impressione che esista una barriera strutturale, fatta di soldi, fama e potere, a difesa di violente e prevaricatrici sessualmente.