La notizia è di qualche giorno fa, ma ancora tiene banco tra gli addetti ai lavori dell’industria musicale e del settore tech: stando a indiscrezioni di stampa, la piattaforma SoundCloud sarebbe in vendita a un miliardo di dollari, cosa che la trasforma di diritto in una cosiddetta “società unicorno”. Per ora i diretti interessati non commentano, ma qualcosa di vero ci dev’essere, considerando che il direttore finanziario, Drew Wilson, è stato rimosso dall’organico, e che il suo successore, il top manager specializzato in music business Tom Sansone, dichiara di non vedere l’ora di mettersi al lavoro “per consentire ad artisti e fan di condividere e connettersi attraverso la musica e per costruire sulla nostra solida base finanziaria”, riporta Rockol. Ma cosa significa tutto ciò esattamente? E soprattutto, cosa implica?
Se vi è capitato di guardare l’ottima serie di Apple Tv dal titolo WeCrash (con Jared Leto e Anne Hathaway, è incentrata sulla parabola del colosso internazionale del co-working WeWork) avete già familiarità con il concetto di società-unicorno. In sostanza, nel mondo della finanza chiamano così quelle start-up che nel giro di breve arrivano alla fantasmagorica valutazione di un miliardo di dollari. Ce ne sono state diverse, nella storia recente: la sopra citata WeWork, ByteDance che ha inventato TikTok, DJI per aver rivoluzionato il mercato dei droni, la SpaceX di Elon Musk, e ancora Canva, Uber, Patreon, Distrokid e altre. Attenzione, però: il fatto che siano valutate un miliardo di dollari non significa che valgano effettivamente un miliardo di dollari. Semplicemente, gli analisti calcolano il potenziale di crescita della società e emettono il loro verdetto basandosi su proiezioni e stime. Spesso il punto cruciale non è quanto guadagnano o da cosa, ma in cosa potrebbero evolversi. E se Space X costruisse case vacanze su Marte? E se l’algoritmo di ByteDance fosse inglobato anche nelle tv, oltre che nei social? E se i partiti politici si finanziassero tramite Patreon? Spesso queste previsioni naufragano in maniera spettacolare per un semplice motivo: per trasformarle in realtà servono una marea di soldi, che però restano solo una cifra scritta su un pezzo di carta, finché non si trova qualcuno disposto a spenderli per investire.
Dal 2007 ad oggi SoundCloud, semplice da usare e più flessibile su questioni legate al diritto d’autore, è stata la piattaforma preferita delle realtà indipendenti, diventando un punto di riferimento imprescindibile per diverse scene. In primis quella rap, che ha generato perfino un sottogenere ad hoc, il SoundCloud rap (vedi alla voce XXXTentacion o Juice WRLD) che ha spopolato proprio sui suoi canali; ma anche quella elettronica, grazie al fatto che dj e producer potevano caricare in streaming i loro mix, i mashup e i remix non ufficiali, con un minimo rischio di vederseli buttati giù per violazione del copyright. Il suo algoritmo, inoltre, funziona molto bene per gli artisti emergenti, che spesso partendo dalla loro cameretta riescono a svoltare proprio grazie alla fan base che si costruiscono lì: devono il loro successo a SoundCloud nomi come Dominic Fike, Kehlani, Post Malone, Bryson Tiller, Billie Eilish e molti altri. Ormai questa facilità di scoperta delle novità più interessanti del momento è percepita come una caratteristica intrinseca del sistema, tant’è che è stato creato addirittura un programma annuale, First on SoundCloud, per premiare i più promettenti di ogni anno. Per contro, però, si è sempre rivolta a nicchie di ascoltatori, piuttosto che alle masse, e questo l’ha resa meno redditizia di altre. Fino all’immissione di nuovi capitali nel 2017 era a perenne rischio di chiusura, e anche successivamente le difficoltà economiche non sono mancate: nel 2022 ha dovuto ridurre i dipendenti del 20%, e di un altro 8% nel 2023. Avendo scelto di non puntare sulla pubblicità, le sue principali voci di entrata sono il piano di abbonamento SoundCloud Go+ (9,99 euro al mese) e quello per artisti (si può caricare un massimo di 3 ore annuali di musica; per sforare il limite, è necessario pagare una fee annuale di 144 dollari).
Ma tornando alle società-unicorno: in che cosa potrebbe evolvere SoundCloud, per meritarsi un miliardo di dollari sulla fiducia? Le ipotesi sono numerose, e la community DJ Techtools si è divertita a immaginare le più plausibili. Una società che investisse su SoundCloud, ad esempio, potrebbe guadagnare dall’immensa library di brani non vincolati da contratti discografici, puntando sulle sincronizzazioni di film, videogiochi, podcast e via dicendo. Oppure potrebbe trasformarla in una vera e propria piattaforma di streaming concorrente a Spotify e Apple Music: la struttura c’è già, basterebbe implementare alcune funzionalità. O ancora, acquisirla potrebbe essere interessante per una delle tre major discografiche, che si ritroverebbe così a intercettare in anteprima i nuovi trend e avrebbe un contatto privilegiato con i nomi più interessanti (e non firmati) del momento. A preoccupare, però, sono gli eventuali cambiamenti che potrebbero riguardare sia gli utenti che gli artisti. Se dovesse essere acquistata da un’azienda che valorizza più il profitto che l’arte, ad esempio, che ne sarà della sua tradizionale tolleranza in materia di copyright? Per ora restano tutte domande senza risposta. Una cosa è certa, però: potremmo essere di fronte alla fine di un’era.