Diciamoci la verità, dover forzatamente seguire il percorso di un marciapiede anche quando basterebbe tagliare sulla piccola striscia d’erba che lo fiancheggia per giungere alla nostra destinazione in maniera più rapida è una grossa seccatura. Quando siamo di fretta non abbiamo il tempo di seguire i percorsi prestabiliti che ci circondano, soprattutto se questi, attraverso lo stratificarsi degli interventi nel tempo, sono diventati del tutto inefficienti e decisamente scomodi. Ciò che accade, dunque, è che sia in maniera volontaria, sia per semplice istinto tendiamo a individuare vie più celeri per andare da un un punto A a un punto B, tracciando così una nuova rete dei nostri spostamenti che spesso non coincide con quella progettata e voluta da architetti e urbanisti. Questa tendenza delle persone di fruire degli spazi in maniera diversa da quella prevista ha un nome e rappresenta un interessante campo di indagine per chi questi spazi li deve creare, poiché mette in luce quanto la volontà delle persone giochi un ruolo fondamentale nel plasmare il panorama all’interno del quale ci muoviamo.
Uno dei loro nomi è “Desire Path”, ma sono noti anche come “Desire Line” o “Pirate Path”, e si tratta di percorsi spontanei creati dal ripetuto passaggio di persone su aree diverse da quelle indicate da marciapiedi e viali pavimentati. All’interno di grandi parchi e piccole aree di verde urbano, infatti, vi sarà capitato di vedere e utilizzare in prima persona veri e propri sentieri alternativi che rivelano i percorsi più efficienti da compiere per raggiungere specifiche destinazioni. Spesso si presentano simili a sentieri di montagna, ovvero piccole o grandi aree sterrate circondate da erba o vegetazione e, sebbene si possa pensare che per la nascita di un “Desire Path” sia necessario molto tempo, in realtà si è stimato che bastano circa una ventina di passaggi lungo quel percorso per far sì che compaia un piccolo sentiero visibile e praticabile.
Per avere più chiaro questo concetto, provate a pensare a quante volte per attraversare una qualsiasi strada non avete avuto voglia di raggiungere le strisce pedonali più vicine poiché non coerenti con il vostro percorso o troppo lontane per giustificare la strada da compiere. Quello che avete fatto è stato decidere di tagliare in mezzo alla strada seguendo una traiettoria tutta vostra e non segnalata da alcuna indicazione. Ebbene, le strisce pedonali rappresentano il percorso prestabilito e da seguire nella logica degli spostamenti urbani su due piedi, mentre la vostra scorciatoia è esattamente un “Desire Path”. Ovviamente sull’asfalto si fa fatica a vedere le tracce di tutti i “Desire Path” esistenti che vengono quotidianamente utilizzati, ma all’interno di un parco le scorciatoie che attraversano i prati si manifestano velocemente.
Questo argomento, seppure inusuale e inaspettato, è in realtà estremamente vivo. Su Reddit, per esempio, esiste un’intera community che rileva e mappa questi alternativi percorsi preferenziali sparsi per tutto il mondo, mostrandone le diverse tipologie e i casi più eclatanti. Si passa da semplici tagli di angoli presenti nei giardini di case, a complesse reti di percorsi alternativi nati all’interno di grandi parchi pubblici. Uno degli esempi più significativi è sicuramente Central Park, un luogo che, per la sua estensione e per la presenza di alcuni viali asfaltati, si è prestato molto bene alla nascita di numerosi “Desire Path”. Il fenomeno ha investito notevolmente il polmone verde di New York City tanto che si è dovuta porre la giusta attenzione alla gestione di questi nuovi percorsi nati spontaneamente dai flussi delle persone. La soluzione alla quale si è giunti è stata quella di evitare di asfaltare la totalità dei “Desire Path”, prediligendo quelli principali a discapito di molti che sono stati volutamente bloccati.
I “Desire Path”, infatti, possono arrivare a rappresentare una seria minaccia alla salute delle aree verdi di cui la popolazione usufruisce. Il rischio è che la loro proliferazione possa danneggiare l’ambiente naturale vissuto dall’uomo ed è per questo che si tenta di controllarli e monitorarli con attenzione. D’altra parte non sono pochi gli architetti che li considerano come una vera risorsa progettuale. Invece che prestabilire da sé i percorsi, è possibile lasciare che siano gli abitanti ad evidenziare quelli da loro preferiti, così da poterli pavimentare solo una volta consolidati. Questo è stato il principio alla base della realizzazione del giardino all’interno del campus della Ohio State University: i marciapiedi pavimentati sembrano non seguire alcuna direzione progettuale, ma sono il perfetto riflesso dell’utilizzo che gli studenti dell’università hanno fatto del giardino che connette gli edifici della struttura.
Sui “Desire Path” non è mancato anche l’intervento dell’arte che ha toccato la tematica più volte. “Desire Lines” (2020), per esempio, è un’istallazione di Ilke Gers realizzata ad Amsterdam in cui spesse linee tracciate con il gesso rappresentano possibili percorsi da sfruttare per muoversi all’interno degli ampi spazi del NDSM Wharf. “A Line Made by Walking”, invece, è un’opera ideata nel 1967 Richard Long che ha come unico soggetto un vero e proprio “Desire Path”: la fotografia ritrae unicamente questo percorso all’interno di un prato con la volontà di sottolineare la presenza e l’azione dell’uomo in uno scatto dove la figura umana non risulta presente.