Non serve volgere lo sguardo troppo lontano nel tempo per tornare a quando, se si voleva rimanere aggiornati sulle ultime notizie di attualità, era necessario passare dal proprio edicolante di fiducia e acquistare per qualche euro – o per una manciata delle vecchie lire – il quotidiano arrivato nella notte e ancora fresco di stampa. È vero, la radio e poi successivamente la televisione, con il loro avvento, hanno rappresentato un’alternativa valida e ragionevole alla tradizionale ricezione di notizie messe nero su bianco ma, come dimostrano le decine di anziani che di prima mattina si vedono già incamminati verso il bar con il giornale arrotolato sotto il braccio, ancora oggi le “notizie fisiche” vengono acquistate quotidianamente. E poi arriviamo noi, quelli delle nuove generazioni, che forse un quotidiano l’hanno solo intravisto con la coda dell’occhio, perché le notizie ormai si consultano esclusivamente sul web con un nuova gestualità, scrollando e non sfogliando.
Tuttavia, come si accennava, i quotidiani continuano a ricoprire un ruolo fondamentale tra i mezzi di comunicazione di massa e, seppure siano diffusi per lo più tra le persone che da sempre li utilizzano, non mancano le interazioni capaci di instaurarsi con i giovani, soprattutto se questi sono dei creativi che amano sperimentare. Anche le sottili e svolazzanti pagine di qualsiasi grande testata, quindi, possono essere viste con occhi diversi e, oltre ad essere il supporto sul quale le notizie vengono comunicate ai lettori, possono addirittura tramutarsi in supporto per l’arte.
A insegnarci questo salto dalle pagine alle tele, dai blocchi di testo alle sfumature di colori, c’è Sho Shibuya che, dal suo appartamento newyorkese, si è inventato un nuovo modo per comunicare ciò che accade nel mondo, forse più efficacemente di quanto si ottenga con le sole parole messe su carta.
Sho Shibuya è un creativo che, come è facile intendere dal nome, è nato e cresciuto in Giappone e oggi vive in pianta stabile a New York. Diciamo creativo perché non è facile tratteggiarne con precisione un profilo chiaro, in quanto fino a tre anni fa si sarebbe esclusivamente definito come un graphic designer, ma oggi è a tutti gli effetti molto di più. Nella Grande Mela è arrivato solamente nel 2011, lasciando il suo paese d’origine e insieme gran parte di quello che possedeva, con la volontà di dare alla propria vita un nuovo inizio a cominciare proprio dal suo nuovo appartamento di Brooklyn. Da qui è partito e la sua vena creativa e imprenditoriale non ha tardato a vedere realizzati i primi obiettivi.
Uno di questi è sicuramente l’apertura di Placeholder, uno studio di design specializzato nella progettazione di brand: dall’ideazione e dalla messa in campo di un’idea, fino alla comunicazione e realizzazione di prodotti. Si tratta di un’attività di cui Shibuya non può che andare fiero, in quanto oggi si trova in condizioni di continua crescita testimoniata chiaramente dagli ultimi progetti realizzati come l’intervento comunicativo richiesto da A.P.C. e lo sviluppo di una “borsa” biodegradabile in bambù volta a sostituire le buste in plastica decisamente poco sostenibili. Nel frattempo, però, il designer giapponese non si è limitato ad intraprendere una sola strada: dal 2016 ha iniziato a coltivare la pittura come pratica estremamente personale, introspettiva e terapeutica. L’arte pittorica si è insinuata di fatto come una vera passione ed è stato il lungo periodo di reclusione forzata – di cui tutti abbiamo fatto esperienza – a far sì che essa sfociasse in qualcosa di più grande e sopratutto di apprezzato e riconosciuto da moltissimi.
Durante il primo periodo di lockdown, infatti, Sho Shibuya ha trovato la propria via di sopravvivenza psicologica proprio nell’arte, ovviamente declinata nella sua originale ed unica visione. Svegliandosi ogni mattina alle 5, sfruttava quei momenti di silenzio e serenità che la città ancora spenta offre per evadere dalle incombenze e dalle preoccupazioni che la situazione di emergenza sanitaria faceva ricadere su di noi durante il resto della giornata. Tra le quattro mura domestiche, quindi, l’artista ha iniziato a contemplare quotidianamente l’alba o, per meglio dire, una porzione di cielo incorniciata dalla sua finestra rivolta verso est; fotografava poi lo scorcio e trasportava l’immagine ottenuta con sfumature di colore sulla tela che aveva a disposizione. La sua tela era la copertina di un quotidiano, il New York Times, proprio quel mezzo che ogni giorno diffondeva nelle case le notizie più difficili da sentire e accettare. Nasce così il ciclo di opere “sunrise from a small window”, una serie di impressioni delle prime luci del giorno che vanno ad offuscare gli articoli e i titoli di prima pagina, per riportare una sensazione di serenità e pace tra i margini dell’impaginazione di un giornale. A pensarci bene, l’approccio contemplativo di Shibuya ricorda l’operazione raffigurativa che Monet realizzò tra 1892 e il 1894 con le sue 31 declinazioni della Cattedrale di Rouen, ritratta impassibile al contatto con la luce mutevole dei giorni e delle stagioni. L’ultimo step di Shibuya però, a differenza dell’impressionista francese, era quello di pubblicare su Instagram il risultato finale della propria opera, come volendo allestire una mostra sul feed aperta a tutti i follower.
Non è dovuto passare troppo tempo affinché l’artista iniziasse a vedere l’attenzione mediatica rivolgersi verso sé stesso e le proprie opere, perché quest’ultime da un lato possedevano un profondo spessore di riflessione sul presente, riuscendo a toccare le persone nella sua stessa situazione, dall’altro perché caratterizzate da una spiccata semplicità visiva, caratteristica in cui è possibile ravvisare l’origine giapponese e la formazione di partenza da graphic designer. Il successo riscosso, accrescendosi all’aumentare delle opere pubblicate sul proprio profilo, ha portato l’artista a continuare quanto iniziato quasi per caso nella sua piccola dimora di Brooklyn, e tale perseveranza lo ha fatto approdare, lo scorso 30 novembre, all’Art Basel Miami con una prima esposizione monografica. La vorticosa entrata nella scena artistica e il suo riconoscimento come artista non è incredibile solamente per il fatto di aver debuttato all’interno di uno degli eventi di punta del settore, ma lo è sopratutto perché la mostra è stata curata direttamente da Anthony Vaccarello, direttore creativo di Saint Laurent. È stato infatti il brand stesso a commissionare al giovane artista la realizzazione delle sue opere più iconiche sul New York Times, con l’intento di celebrare i 55 anni trascorsi dall’apertura della prima boutique di Parigi attraverso 55 prime pagine del quotidiano newyorkese. Le opere sono state esposte per tutta la durata dell’evento all’interno di una struttura appositamente realizzata sulla sabbia di Miami Beach: una scatola dagli interni completamente bianchi e caratterizzata da un allestimento essenziale dove le opere di Shibuya erano le protagoniste indiscusse. Per l’occasione, infine, l’artista ha deciso di realizzare due nuovi interventi sui numeri del New York Times datati 29 settembre 1966 e 29 settembre 2021 – le date che delimitano i 55 anni dall’inaugurazione del primo punto vendita parigino – connotati dalla scelta cromatica di un vibrante rosso e di un brillante rosa.
Sebbene l’avvio artistico di Sho Shibuya sia stato prevalentemente relegato alla situazione pandemica, indubbiamente la sua abilità è stata quella di riuscire ad evolvere il proprio linguaggio e a dare spazio alla trattazione di nuove tematiche.
Giungiamo così alla sezione della produzione artistica più rilevante e pregna di significato, ovvero l’insieme di opere che, utilizzando la stessa impostazione e tecnica dei primi lavori, trattano argomenti di stretta attualità sociale e politica attraverso una sensibilità perfetta per comunicare ciò che le parole riescono a fare solo in parte. Sempre più spesso, infatti, l’intervento grafico sulla prima pagina del quotidiano non nasconde più il titolo del giorno, con l’obiettivo di intessere un dialogo con esso, rafforzandone il significato e spingendo le persone a riflettere su quanto immagine e testo insieme, per analogia o contraddittorietà, trasmettano messaggi senza mezzi termini, colpendo dritto all’emotività.
Sono numerosi i casi in cui l’artista ha deciso, attraverso una sua opera, di sensibilizzare in merito a questioni di massima importanza o di forzare ad aprire gli occhi su avvenimenti che non devono per alcun motivo passare inosservati. Attraverso questa operazione, dunque, il feed di Sho Shibuya è passato dall’essere una collezione di suggestive cromie celesti, a rappresentare lo spaccato della società contemporanea, diventando lo specchio degli avvenimenti e delle dinamiche sottese tra cittadini e classe politica, tra umanità e potenze mondiali, tutto ciò rigorosamente dipingendo proprio sul mezzo che ogni giorno cerca di raccontarle.
Per capire più concretamente di cosa stiamo parlando, ci piacerebbe chiudere con alcuni esempi del nuovo filone tematico che Shibuya ha scelto di adottare più recentemente. Gli argomenti affrontati variano dal rendere omaggio alla scomparsa di figure chiave della nostra cultura come Virgil Abloh ed Enzo Mari, a veri e propri manifesti che spingono ad avvalersi del proprio diritto di voto durante le ultime elezioni americane, a vaccinarsi per mettere un punto fermo alla pandemia o a schierarsi a supporto del movimento “Black Lives Matter”. Ma è possibile anche trovare opere che si rifanno ad eventi globalmente rilevanti quali l’inizio degli ultimi giochi olimpici di Tokyo, oppure alla più recente e drammatica situazione della guerra in Ucraina.