Società e moda camminano spesso di pari passo. Che si tratti di un fashion show o di una dinamica corporate di un’azienda, le grandi maison sono spesso attente alle esigenze sociali. Un discorso molto dibattuto riguarda le tematiche di diversità e inclusione all’interno degli ambienti lavorativi, al punto tale che British Fashion Council e MBS Group hanno condotto una ricerca che ha evidenziato quanto i marchi di moda siano ancora lontani dall’avere un programma strutturato di D&I (Diversity & Inclusion) all’interno della loro strategia.
Ebbene sì, soprattutto a grandi altitudini, diversità e inclusione sono sovente messe in secondo piano: solamente il 51% delle aziende di moda dispone di un piano di D&I. Le aziende di moda sono ambienti poco eterogenei, basta pensare che solamente il 38% dei ruoli dirigenziali sono ricoperti da figure femminili. Eppure il dato più netto e preoccupante riguarda senza alcun dubbio la diversità etnica: meno del 10% delle posizioni ai piani alti delle maison di moda sono ricoperte da persone nere, a discapito di un più che solido 90% riservato a persone bianche. Tra i vari dati, questo è uno dei più infelici, in quanto il movimento Black Lives Matter, solidificatosi fortemente dopo la triste vicenda dell’uccisione di George Floyd, sembrava potesse apportare – socialmente parlando – un punto di svolta decisivo e non la solita ridondante pratica del blackwashing.
Implementare questo programma di diversità e inclusione potrebbe essere non solo un modo di migliorare la credibilità dei dipartimenti di HR delle grandi aziende, bensì anche un modo per aumentare la propria Brand Reputation e diventare maggiormente appetibili per i futuri candidati a determinate posizioni di lavoro.
La missione principale del marchio consiste nella creazione di un ambiente di lavoro variegato, in cui l’inclusione è assolutamente vitale per il successo del brand stesso.
Geoffrey O. Williams, Burberry Vice President / Global Head Diversity & Inclusion
Guardando il resto delle numerose percentuali, il 62% delle aziende ha dichiarato di avere almeno una persona appartenente alla comunità LGBTQ+ ai piani alti della propria attività.
Molti dati sono bassi in quanto molte aziende si stanno approcciando a queste problematiche solo ultimamente. È proprio nell’ultimo periodo che si sta capendo la necessità di puntare su un programma di D&I.
Un’altra grande discriminante riguarda la differenza tra le grandi e le piccole aziende: queste ultime non hanno come priorità quella di porre un focus su programmi di D&I all’interno del proprio programma perché non hanno spesso una struttura in grado di permettere ciò. D’altro canto, le grandi aziende invece hanno invece integrato il programma D&I nelle loro strategie a lungo termine. Il lavoro di ricerca eseguito da British Fashion Council e MBS Group ha voluto ascoltare in merito a questo discorso svariati pareri, tra cui quelli di CEO di grandi e piccole aziende, e sono proprio i Chief Executive Officer di queste ultime a fornire pareri più forti riguardo questo tema.
Non creeremo una politica solo per il gusto di farlo
CEO (anonimo)
Molto probabilmente ci vorrà tempo affinché i risultati delle eventuali strategie D&I possano diventare appetibili, ma prima, i leader delle maison, medie, grandi o piccole, avrebbero bisogno di riflettere su quanti risvolti positivi potrebbe avere a livello di business all’interno di un’azienda. Infatti, le diverse aree di business potrebbero giovare moltissimo da queste strategie, specialmente nella collaborazione con aziende esterne a cui risulterebbero molto più appetibili.