È iniziata l’era di Carlos Alcaraz

Nella settimana che sarà ricordata come quella dell’insediamento di King Charles III sul trono d’Inghilterra, dall’altra parte del mondo è iniziata l’era di un altro Rey Carlos, Alcaraz. Grazie al successo nella finale degli US Open, il giovane spagnolo non solo è riuscito a vincere il suo primo torneo dello Slam (il primo di un tennista nato negli anni 2000, visto che lui è del 2003!), ma è stato in grado di balzare contemporaneamente in vetta alla classifica ATP che lo vedeva in quarta posizione prima dell’inizio del torneo. Non erano in tanti a scommettere su un trionfo così precoce del tennista nato a Murcia (19 anni, 4 mesi e 6 giorni): su di lui ci aveva visto lungo Nick Kyrgios, interrogato appena prima del via degli Open, e in un certo senso anche questo articolo scritto ad aprile, in cui ci si domandava se Alcaraz fosse veramente il futuro di questo sport dopo il brillante inizio di stagione, e quanto fosse vicino il momento del suo exploit definitivo.

Gli US Open vinti da Carlos Alcaraz possono essere letti anche attraverso alcuni numeri impietosi: oltre 23 ore spese sul campo per avere la meglio su Sebastian Baez, Federico Coria, Jenson Brooksby, Marin Čilić, Jannik Sinner, Frances Tiafoe e Casper Ruud, uscendo indenne da tre ardui match consecutivi da cinque set ciascuno, uno di questi addirittura in cui ha dovuto affrontare anche un match point, quello annullato a Sinner. Ma è il dato relativo all’età che sbalordisce: pur non essendo il più giovane di sempre a conquistare un torneo dello Slam, nessuno era riuscito a diventare numero 1 del mondo così velocemente, prima ancora di abbandonare lo status di teenager. La scalata che l’ha portato a essere il più giovane di sempre in vetta al ranking (era numero 32 a fine 2021) non deve poi stupire così tanto perché nessuno ha vinto più match di Carlos in stagione: 51. E oltre agli incontri ci sono ben cinque tornei vinti tra cui due Masters 1000 (Miami e Madrid) e due ATP 500 (Rio de Janeiro e Barcellona).

Di certo Alcaraz ha beneficiato della stagione altalenante di chi gli stava davanti in classifica (le esclusioni di Novak Djoković e Daniil Medvedev, il risicato numero di partite giocate da Rafael Nadal, l’infortunio di Alexander Zverev e le crisi di Stefanos Tsitsipas), tutti avversari che ha già battuto almeno una volta eccezion fatta per Medvedev, che però nel 2022 non ha mai incrociato. Nel suo anno da cannibale, in cui ha dimostrato di sapersi adattare in fretta anche ad una superficie difficile come l’erba, solamente Jannik Sinner è riuscito in un paio di occasioni a frenarlo, battendolo a Wimbledon e a Umago, mettendolo poi in grossa apprensione proprio agli US Open, nel corso dell’epica sfida ai quarti di finale. La loro sana rivalità rischia di diventare una delle competizioni più appassionanti degli anni che verranno, e soprattutto sarebbe l’unica soluzione utile a contrastare la sua ascesa che sembra inarrestabile.

Cresciuto in Spagna nel mito di Rafael Nadal, non ha mai nascosto la propria ammirazione per Roger Federer. E soprattutto non è da considerare – in maniera superficiale – come un “terraiolo” solamente per l’abitudine di essere cresciuto sui campi di terra rossa: ad oggi sembra già un tennista completo in tutti i fondamentali senza apparenti punti deboli, dall’atletismo esagerato e il cui unico limite – comprensibile, vista l’età – è quello di voler strafare, di tanto in tanto. Maturità e consapevolezza nei propri mezzi che ha egli stesso sbandierato prima della finale, proprio come gli consigliava il nonno: cabeza, corazón e cojones. Alla sua formazione ha contribuito in maniera determinante una vecchia gloria del tennis spagnolo, un altro Carlos: Juan Carlos Ferrero lo allena dal 2018 e lo ha aiutato a bruciare le tappe, le stesse che aveva superato anche lui da tennista. Ferrero diventò infatti numero uno nel mondo proprio nel 2003, quando Carlos era appena nato.

Quella che compone con Sinner non sarà solamente la coppia del futuro pensando alle prossime sfide sul campo. Senza alcun dubbio, Carlos e Jannik sono gli atleti su cui Nike punterà di più, soprattutto considerando il necessario ricambio di figure di riferimento di cui il brand statunitense avrà bisogno dopo che Rafael Nadal deciderà di farsi da parte, e vista anche la mancanza di ambassador nel panorama femminile, adesso che Serena Williams ha deciso di ritirarsi (considerando che né Naomi Ōsaka né Emma Raducanu ad oggi possono essere considerate degne di una certa legacy). Sul personaggio Alcaraz Nike e gli altri brand che decideranno di investire su di lui (ad oggi ci sono già Babolat e Rolex) dovranno lavorare un po’ per esaltare la sua immagine, ma siamo ancora agli inizi di un’era che si preannuncia brillante.