Gli scenari sarebbero sicuramente degni di un qualsiasi film film distopico, ma il vero problema è che tutto ciò potrebbe diventare realtà: come riportato dal Wall Street Journal, infatti, ogni giorno vengono bevuti circa due miliardi di caffè, e mantenere questi ritmi di produzione non è più possibile. Per dare un’idea, solamente in Italia beviamo 95 milioni di tazzine di caffè al giorno, una media di 1,6 a persona, e il nostro paese è “soltanto” il settimo al mondo a livello di consumi, il primo posto è degli Stati Uniti: 400 milioni di tazzine al giorno.
Fare i conti è semplice: una pianta di Arabica è in grado di produrre circa due chili di caffè ogni anno, quindi per far fronte, per esempio, al consumo di due tazzine al giorno, servono circa 20 piante a testa. Ma entro il 2050 – a causa dei consumi eccessivi, combinati alla deforestazione, al cambiamento climatico e allo sovrasfruttamento delle terre – circa il 50% delle terre utilizzate oggi non saranno più adatte, e questo potrebbe costringerci a cambiare le nostre abitudini.
E il pubblico non sembra essere preoccupato, anzi. L’interesse per il mondo del caffè è in crescita costante, tanto da diventare a tutti gli effetti un argomento “di tendenza” tra i più giovani al punto di aver creato intorno a sé una vera e propria cultura (o culto), quasi paragonabile a quella del vino. Infatti, che sia per il gusto, per motivi etici o semplicemente per moda, sempre più attività si stanno concentrando sullo “specialty coffee”: caffè di altissima qualità, estratto da una sola piantagione con standard ben precisi e tostato in modo da salvaguardarne il sapore.
L’aspetto che rende affascinante questa tipologia di caffè è sicuramente la trasparenza e la tracciabilità della filiera produttiva, ma anche le infinite varietà in termini di sapori, note aromatiche e combinazioni che sono entrate in commercio. E mentre nuovi locali dall’estetica nordica o industriale diffondono questa nuova arte a macchia d’olio, facendo entrare parole come “cold brew” e “flat white” nel vocabolario comune, la virtuosità di questo movimento potrebbe non essere abbastanza.
Ma un’alternativa è già stata trovata: il caffè sintetico. Grazie alle biotecnologie e alla scienza alimentare, infatti, cinque aziende sono riuscite a sviluppare dei chicchi a partire da cellule coltivate in laboratorio o con scarti alimentari fermentati e tostati, che vanno da ceci e datteri a semi di vario genere.
Ovviamente la domanda che tutti vi starete facendo è: il sapore è lo stesso? Sì, e queste nuove tecnologie potrebbero anche permettere di ampliare la complessità e la diversità in termini di gusto, oltre che limitare l’impatto ambientale. Tra piantagioni fatte crescere in bioreattori, incroci di specie differenti e caffè geneticamente ingegnerizzato, una cosa, forse, possiamo dirla: potremo continuare a bere caffè ancora per un po’.