La risposta di Tom Sachs alle accuse

UPDATE: Dopo un lungo periodo di silenzio e in seguito alle numerose accuse smosse negli scorsi mesi, Tom Sachs ha pubblicato nelle storie del proprio profilo Instagram una mail mandata al team lo scorso marzo, una settimana dopo l’uscita dello scandalo.


“Ho detto cose di cui mi pento”, ha detto Sachs nell’e-mail. “Ci sono momenti in cui non ho soddisfatto nemmeno i miei standard interni e momenti in cui ho deluso voi, membri del mio team. Sono molte cose, un artista, un saldatore e un costruttore: essere un manager è qualcosa che ho cercato di imparare lungo la strada.⁠ Per chiarezza: non ho mai cercato di mettere nessuno a disagio. Non farei mai del male a nessuno. La sicurezza è una priorità assoluta in studio”.⁠

Rimane invece ancora aperto il discorso con Nike che l’artista ha evitato di citare.

Update 06/05: In seguito ai rumours usciti negli scorsi giorni l’ipotetico arrivo di una NikeCraft Mars Yard 3.0Nike ha negato tutto.

Stando a quanto comunicato dal colosso di Beaverton, al momento non è infatti previsto l’arrivo di alcuna sneaker in collaborazione con l’artista di NYC.

Update 16/03: Anche Nike ha commentato l’accaduto esprimendo la sua grande preoccupazione.

“Siamo profondamente preoccupati dalle gravi accuse. Siamo in contatto con Tom Sachs e il suo studio per cercare di comprendere meglio la situazione e capire come stanno affrontando questi problemi.”

Nike a Complex

Articolo originale 14/03: In un articolo pubblicato in esclusiva su Curbed, scritto da Katy Schneider e Adriane Quinlan – vengono raccontate una serie di discutibili dinamiche che avvengono (e sono avvenute) nello studio di Chinatown di Tom Sachs, in cui sembrano vigere regole molto rigide. Ma partiamo dall’inizio: Tom Sachs ha il proprio studio, all’interno del quale lavora un team di addetti. Si trova a New York, sua città natale. Il team creativo ha una propria uniforme contraddistinta dalle proprie iniziali e addirittura un numero di matricola (pensate che c’è addirittura chi se lo tatua!). Fin qui più o meno tutto okay.

“Un estensione del suo modo di fare arte”, ecco il modo in cui Tom stesso ha descritto l’ambiente plasmato all’interno del suo studio, un luogo dove esistono regole ben precise di cui il creativo stesso ci aveva dato un assaggio nel 2010, con il lancio del cortometraggio “Ten Bullets”, un vero e proprio progetto visuale in cui veniva descritto il manuale che Sachs impone di seguire ai propri dipendenti. Ma la verità è che alcuni ex lavoratori, in forma anonima, hanno raccontato ulteriori dettagli riguardo l’ambiente di lavoro da lui voluto, alcuni inquietanti, altri semplicemente bizzarri. Ad esempio, all’interno dello studio si deve seguire una dieta ferrea, si devono preparare i pasti per il suo cane, gli oggetti sulle mensole devono essere disposti in maniera parallela oppure a 90 gradi, a fine pasto tutti devono lasciare le forchette nel piatto nello stesso esatto momento e alcuni muri sarebbero abbelliti con poster pornografici.

Forse per depistare, o in maniera molto scaltra per, come si suol dire, “mettere le mani avanti”, Tom Sachs aveva già parlato di quel logo in un’intervista rilasciata nel 2019 a GQ, in cui aveva raccontato che quello studio fosse di quanto più vicino a un luogo di culto, definendo l’atmosfera creatasi all’interno come qualcosa di molto simile a quella della famiglia della setta di Charles Manson. Inquietante, vero? Beh, le storielle riportate nell’articolo di Curbed non terminano qui. C’è chi ha raccontato che Tom si sia presentato a una video call con Nike indossando solamente le mutande e che per fare application per lo studio ci sia il bisogno di presentarsi in loco e bussare alla porta, un po’ come se fosse una scena del film “Fight Club”. Nel Flight Club sachsiano, dunque, si gioca secondo le regole di Tom, e guai ad impiegarci troppo tempo a cambiare una lampadina fulminata, potresti essere chiamato con termini quali “puttana”, “autistico”, “ritardato” – sempre a quanto riportato da innumerevoli testimoni.

Infine, tra le voci più gravi, si racconta come all’interno delle mura ci fosse uno stanzino, soprannominato da Tom Sachs con il nome di “Rape Room” (stanza dello stupro), ribattezzata nel 2016 con il nome “Consent Room” (stanza del consenso). Ma per non farci mancare nulla, come testimoniato anche da uno scatto di Alex Antitch, il kit medico d’emergenza è rivestito con una svastica e a Tom piacerebbe chiamare il proprio laboratorio con il nome di “Eagle’s Nest” (Nido dell’Aquila), come quello che all’epoca era il rifugio alpino di Adolf Hitler situato tra le Alpi bavaresi a una ventina di chilometri dalla città austriaca di Salisburgo.

Lo studio di Sachs ha per adesso negato quanto affermato, rimandando allo scherzo per la maggior parte dei fatti raccontati. È molto probabile, però, che possiamo aspettarci conseguenze in un futuro che potrebbe essere più prossimo che mai.