La crisi climatica che sta interessando il nostro pianeta, diventata ormai notizia giornaliera per ogni testata, sta finalmente entrando con fatica nel nostro quotidiano, scaturendo le prime reazioni all’interno della nostra società. L’industria della moda è da sempre stata negativamente in prima linea per quanto riguarda lo spreco, l’ipersfruttamento e il non riutilizzo delle materie prime. Ma qualcosa sta cambiando già da tempo. E anche le nostre scelte in ambito fashion possono indirizzarsi verso un’ottica green e sostenibile, ad esempio decidendo consapevolmente in quali brand investire e risvegliando in noi la curiosità della ricerca nella scelta di ciò che comporrà il nostro armadio. Così facendo, possiamo contribuire alla salvaguardia del nostro ambiente, delle nostre preziose risorse e dei diritti fondamentali di ogni singolo individuo.
Per questo abbiamo stilato una lista di alcuni dei brand che si distinguono maggiormente per il modo in cui stanno affrontando il problema dell’impatto ambientale della catena produttiva e quindi della sostenibilità in ambito fashion.
JJJJound
Lo studio di Montréal, ormai noto come emblema di minimalismo e qualità, con un caratteristico ed iconico senso estetico che ha ispirato le più recenti moodboard sui vari canali social, grazie a collaborazioni autentiche, selezionate e mirate ha caratterizzato e definito pienamente, nel tempo, la sua estetica. Ma dietro a queste collaborazioni non c’è hype, non c’è diffusione di massa e non ci sono – per la maggior parte – enormi catene di produzione. Sanders e il suo team di Montréal, cercando di mantenere la propria impronta volta a un design senza tempo e promuovendo la loro costante ricerca in ambito di tessuti e materiali di qualità, danno luce a collaborazioni con piccole e grandi realtà – prettamente locali – nelle quali si rileva sempre un’attenzione particolare all’ambito produttivo e al riciclo, oltre che al riutilizzo di materiali. Ed è stato così anche per l’ultima release del brand, lo scorso 5 novembre, in collaborazione con i parigini BRUT, un affermatissimo archivio vintage riconosciuto nel mondo dei collezionisti di abbigliamento. La mini collezione comprendeva solo due capi, un utility jacket e un bucket hat, tutti pezzi unici e numerati, prodotti esclusivamente utilizzando denim svizzeri riciclati.
Story mfg.
Un primo importante indizio lo possiamo ricevere googlando il nome del brand e leggendone lo slogan che appare sotto l’intestazione: Made with nature. La coppia di designer fondatori, Saeed e Katy, in prima linea in ogni ambito che riguarda il brand, hanno iniziato partendo da una realtà familiare supportata da un gruppo di tintori, tessitori, ricamatori e sarti e ponendosi come obiettivo principale quello di fornire un nuovo approccio (produttivo, realizzativo, decisionale) in ambito fashion, che sia rispettoso dell’ambiente e del pianeta sotto ogni aspetto, ritenendo che la moda possa rappresentare una forma di attivismo sociale. Contrapponendosi per principio all’automazione produttiva e al fast fashion, concetti a discapito della nobilitazione delle arti manifatturiere e artigianali, cercano di reintrodurre in ambito produttivo queste tecniche, con un continuo scambio di esperienze dirette con i loro artigiani. Il tutto supportato da un autentico approccio non solo a zero impatto ma anche e soprattutto a impatto positivo, come obiettivo ultimo. Questo significa riutilizzare ogni ritaglio di fibre e impiegarlo per fodere e imbottiture o addirittura per etichette dei loro prodotti o imballaggi. L’uso della plastica è completamente azzerato in fase produttiva e l’approccio cruelty-free è alla base della loro visione.
Ognuno di questi aspetti è atto a proporre ai clienti una selezione di capi non solo 100% sostenibili, ma che rispettino la pelle e le allergie, e che garantiscano durabilità nel tempo, aspetto cardine nella moda green.
BODE
Emily Bode è stata la prima designer donna a presentare il suo brand alla Men’s New York Fashion Week, diventando d’esempio per le donne che vogliono farsi strada nell’ambito dell’abbigliamento maschile.
Una caratteristica principale che identifica il brand e che ha rappresentato la sua prima proposta, sono i capi unici: unica taglia, unico modello, unica originale realizzazione. Questa particolarità identifica tutt’ora la proposta di Bode, brand luxury maschile newyorkese che utilizza per la sua produzione materiali e tessuti di ricerca, prettamente antichi. I capi, dei veri e propri capolavori di artigianato, sono sempre caratterizzati da contrasti di cuciture, applique di tessuti differenti e di colori contrastanti e talvolta decorazioni dipinte a mano: tutti elementi che rendono giustizia alla capacità artigianale, che si contrappongono per antonomasia alle frenetiche collezioni fast fashion e alla produzione di massa, restituendo unicità, personalità e carattere ad ogni prodotto.
Guidata dalla regola madre “Slow is better”, Emily stringe la mano allo Slow Fashion, mettendo alla base una non semplice e costante ricerca di materiali e tessuti di ogni epoca, provenienti da tutto il mondo e acquistati da lei in prima persona durante i suoi viaggi, derivanti non soltanto da capi di abbigliamento dismessi, ma anche da pezzi d’arredamento storici. Questo permette a Bode di raccontare molteplici storie, trasmettere antiche tradizioni e tradurre tutto questo in capi immortali per le future generazioni.
Patagonia
Se parliamo di Patagonia siamo portati a pensare principalmente ad abbigliamento outdoor e a calde fleece jacket, ma non tutti forse ancora sanno che è uno dei brand che da anni ha più preso a cuore il problema della crisi climatica e che è sceso in campo apertamente prendendo una dura posizione a riguardo, a partire dall’intero ciclo produttivo fino alla dismissione e al riutilizzo di capi indossati. La fase produttiva, in tutti i suoi step, ha adottato una politica di trasparenza, cosicché il cliente può sapere da dove proviene il capo che acquista e come è fatto. Patagonia promuove nel suo ambiente di lavoro – anche in fase di dislocazione – condizioni sicure, eque, legali e umane, e ha inoltre sviluppato solidi programmi di responsabilità ambientale che promuovono il benessere del pianeta e degli animali. L’azienda californiana non smette di prefissarsi obiettivi concreti in ambito green, come diventare carbon neutral entro il 2025, affiancando il tutto a grandi traguardi già realizzati come il tracciamento 100% delle piume utilizzate, l’impiego nel Nord America di energia 100% rinnovabile e la dotazione del 76% della loro collezione con cuciture Fair Trade Certified.
Inoltre, Patagonia promuove il riutilizzo e la riparazione dei capi usati, con il fine di prolungare il più possibile la durata degli stessi, obiettivo già primario in fase di progettazione e realizzazione in termini di qualità e durabilità dei materiali e dei tessuti impiegati. Con il programma “Worn Wear”, il brand mette a disposizione dei suoi clienti un’affidabile e significativa catena di servizi atti a sensibilizzare e far collaborare i propri clienti con l’azienda stessa, al fine di prendersi cura, riutilizzare e riparare i capi usati. Alle volte, il brand organizza anche eventi pubblici o allestimenti per le strade, nei quali c’è uno staff predisposto a sistemare e mettere a nuovo abiti marchiati Patagonia, di proprietà di chi vorrà usufruire del servizio, per mantenere e garantire la durabilità.
Uniqlo
Far indossare a Roger Federer vestiti nati da bottiglie di plastica riciclate: fatto. E come per lui così anche per i gli altri Global Brand Ambassadors. Sì, perché Uniqlo oltre a produrre intere categorie di prodotti utilizzando questa modalità, ha dato vita anche ad abbigliamento sportivo realizzato in egual modo. Da oltre 20 anni impegnata in ambito sostenibile, con il motto “Sprigiona il potere dei vestiti”, l’azienda giapponese leader nell’ambito casual-daily wear, dimostra il suo attivismo in ambito green sotto molteplici aspetti, non soltanto adeguandosi a normative internazionali ma cercando di sensibilizzare in primis i propri clienti al tema.
Il cambiamento parte sempre dall’interno e pertanto Uniqlo monitora costantemente la catena di produzione e la qualità dei propri capi, li segue fino alla distribuzione, censisce la soddisfazione dei propri dipendenti, l’efficienza dei propri store e analizza i feedback della propria community di consumatori. Con le collezioni stagionali LifeWear, vengono prodotti capi curati nei minimi dettagli, che si propongono di semplificare la vita delle persone – elemento che ritroviamo come mission aziendale. Il colosso giapponese tiene all’aspetto sociale della moda e crede nell’impatto positivo e umanitario che può fornire e comunicare alla gente, e anche per questo Uniqlo ha instaurato una partnership con charity: water, con lo scopo di distribuire acqua potabile in tutto il mondo. Acqua che si propongono anche di tutelare, ovviamente, così come le altre risorse (ormai poco) rinnovabili che impiega la filiera produttiva. A tal proposito hanno istituito a Los Angeles il loro personale Jeans Innovation Center, un vero e proprio laboratorio dove vengono studiate e messe a punto tecnologie all’avanguardia per la produzione dei loro jeans. Il programma BlueCycle rappresenta un importante punto di svolta nel loro percorso di sostenibilità, riducendo del 99% l’impiego di acqua nel processo di rifinitura dei jeans e introducendo i laser per ottenere il caratteristico “invecchiamento” tanto apprezzato per i jeans, impattando meno sul lavoro dei propri dipendenti oltre che sugli insostenibili sprechi che caratterizzano solitamente queste operazioni.
ADISH
Nato grazie alla cooperazione di 4 creativi israelo-palestinesi, conosciutisi grazie a un’associazione che si propone di riunire le famiglie vittime delle violenze che riguardano entrambe le aree geografiche, ADISH rimane fortemente e saldamente radicato alla tradizione socioculturale del territorio in cui nasce. Ogni capo di ogni collezione del brand viene prodotto nelle zone occupate della Palestina e di Israele e il design alla base del concept del brand è imprescindibilmente basato su tecniche di decorazione e ricamo tradizionali della regione, conferendo ad ogni collezione un tratto distintivo inequivocabile che rimanda alla cultura di questa area geografica. Ciascun articolo presenta un’etichetta che segnala il luogo in cui è stato ricamato, così come il nome del gruppo di ricamo delle donne che ci hanno lavorato. Questo dimostra una realtà estremamente distante dalla produzione di massa e un’artigianalità specifica, fortemente territoriale e tradizionale in contrapposizione con la spersonalizzazione produttiva delle multinazionali. I designer del brand tengono a collaborare esclusivamente con figure autonome locali, fornendo loro la sicurezza socioeconomica di un lavoro stabile, retribuito il triplo della valutazione del lavoro locale e fornendo tutto l’occorrente necessario per la manodopera direttamente nelle case dei loro artigiani, luoghi in cui avviene la personalizzazione di ogni capo. ADISH collabora anche con vari workshop di tessitura, ricamo e tintura di capi come il Lakiya Weaving Workshop del Naqab, ricercando nel lavoro delle donne delle comunità beduine la maestria artigianale.
Questa fitta rette di partnership fisica e quotidiana tra i designer del brand e gli esperti artigiani locali, che interessa la fase di progettazione, di trasferimento delle materie prime e dei prodotti finali, proprio perché mantenuta in questa specifica area geografica, è soggetta a non poche complicazioni e rallentamenti a causa di posti di blocco, interruzioni stradali e controlli di identificazione; nonostante questo, ADISH vuole rimanere fedele alla propria realtà e al proprio territorio e dar voce all’altissima manifattura che caratterizza la tradizione di questo popolo.