C’è una cosa riguardo alla musica di Ele A che è stata immediatamente chiara sin da quando il suo nome e i suoi freestyle hanno iniziato a circolare in rete fra 2021 e 2022: tutto ciò che c’è da sapere su di lei e sulla sua musica puoi trovarlo nei testi delle sue canzoni, dove nulla è lasciato al caso.
Sono proprio i testi a guidare l’ascolto e la comprensione di “Acqua”, il suo nuovo lavoro in studio che arriva a un anno circa di distanza da “Globo”, il progetto discografico con cui ha attirato l’attenzione di molti nel panorama hip-hop italiano.
Anche questa volta è un EP, come a significare che, a 21 anni, di fretta non ce ne sia. Si compone di sette tracce e, invece dei frammenti di quotidianità narrati in “Globo”, mette al centro il racconto della società, in tutte le sue sfaccettature, vista dagli occhi di una ragazza poco più che ventenne che incarna in rima le maggiori paure della sua generazione – “mille persone ma sei solo sul ring” o “anche se ho mille amici non so se uscire”, oppure ancora “passo i momenti più cupi qui in un posto da cartolina” – e che trova nella musica la sua principale arma per analizzarle e combatterle, come si può comprendere da versi quali “questa musica è meglio delle pastiglie / non sono parole, ma piastrine”. Un progetto più introspettivo e profondo rispetto al precedente, all’interno del quale però l’introspezione non sfocia mai in noia o ripetitività.
Abbiamo incontrato l’artista di Lugano. Ci ha raccontato che, assieme al suo team, ha registrato il disco fra il Lago d’Iseo, «lì abbiamo fatto una sorta di clausura di qualche settimana finalizzata alla scrittura», e Locarno, città in cui il suo produttore Disse ha lo studio. Il lago, dove la rapper è nata e cresciuta, ritorna costantemente. Da qui il concept che dà il titolo al progetto, quello dell’acqua, un elemento naturale che da sempre fa parte della quotidianità di Ele A, nonché vero filo conduttore fra le sette tracce dell’EP.
«Di paure faccio prima a dirti quelle che non ho», ride un po’ amaramente Eleonora all’inizio della nostra conversazione. Siamo seduti a tavola, dove pare molto più a suo agio che sul set. «È umano, credo. Sto cercando di farmi meno paranoie, ma non sempre ancora ci riesco. Il lavoro di un artista non è solo quello di scrivere belle canzoni, ma ci sono tutte una serie di circostanze in cui la timidezza che porto con me è un ostacolo. La musica però può aiutare ad analizzarsi, su di me funziona».
“Globo”, uscito ad aprile 2023, si apriva con una dichiarazione d’intenti chiara e incisiva, dove la rapper svizzera affermava con forza la distanza delle sue idee rispetto a certe dinamiche caratterizzanti dall’industria discografica. È trascorso un anno, sono cambiate alcune cose e oggi “Acqua” esce sotto label (EMI Records Italy/Universal Music Italia). «In verità il disco è stato concepito quasi per intero prima che io entrassi in etichetta. Ho firmato con l’obiettivo di trovar una chiave di lettura che renda la mia musica più accessibile. Confrontarmi con ulteriori filtri, lavorare con un team allargato e avere così un numero più alto di feedback aumenta la possibilità che la mia musica venga capita e dunque fruita da più persone».
Per il resto, sostiene Eleonora, la sua vita non è cambiata più di tanto. È nata e cresciuta in un piccolo paese del Canton Ticino, lontano dai centri nevralgici dell’industria musicale, dove spesso è la noia a fare da padrona alle giornate: «da piccola mi annoiavo tantissimo. Mi trovavo spesso in contesti senza stimoli, tipo la messa o i concerti di musica classica a cui partecipavo con i miei genitori, dove per forza di cose ero obbligata a pensare tanto o a inventarmi delle distrazioni pur di passare il tempo. In un certo senso, mi ha aiutato. Credo che la noia sia importante, soprattutto per un artista. Oggi che trascorriamo tutto il giorno con un telefono vicino, è più difficile annoiarsi. Mi manca farlo, non poter veramente fare nulla tranne che pensare».
Ora vive a Milano, che definisce una bolla: «devo ancora abituarmi e non so se mi ci abituerò mai, in realtà. È soprattutto una questione di carattere. Qui ci sono dinamiche strane per cui certi problemi, anche lavorativi, vengono ingigantiti senza troppo motivo. Poi magari torno a casa, in Svizzera, nel mio paesino di 300 abitanti, e mi ridimensiono», e fa della musica il proprio lavoro, «una cosa che mai mi sarei sognata accadesse, soprattutto così nel breve periodo. È ancora molto strano per me, con tutto ciò che ne consegue, come fare un’intervista come questa, o altre attività collaterali. I miei amici sono però rimasti gli stessi, così come la mia quotidianità».
Quello che soprattutto sembra non essere cambiato neanche un po’ è la forza delle sue idee, quella visione lucida e matura di ciò che vuole e soprattutto di ciò che non vuole, tra cui il farsi mangiare dall’industria discografica, seguire i soldi e la fama, fidarsi troppo se non della sua “ombra riflessa sul marciapiede”, come rappa in “Nodi”. «Cerco solo di proteggere le mie vibes e la mia visione artistica. Essere diffidenti alle volte aiuta».
Ele A è un fenomeno musicale interessante per svariati motivi. Non arriva da periferie complicate, bensì da quello che lei stessa definisce “il paradiso fiscale, dove il bottino scompare”; rappa a tutti gli effetti ma il suo immaginario risulta molto lontano da quello dei colleghi; propone un’estetica vintage e si rifà a produzioni dal sapore retrò che istintivamente ricordano gli anni ’90, seppur personalmente non abbia mai vissuto quel periodo storico.
In giro per il web si leggono centinaia di commenti che paragonano la sua musica a quella di artisti quali Neffa, il primo Fabri Fibra e tutta una certa epoca di rap italiano degli albori. «L’essere assimilata ad una certa scuola del passato per me è molto interessante. Perché io purtroppo quel periodo storico e artistico l’ho vissuto solo nei racconti dei miei genitori prima e di qualche collega poi. Certi artisti li ho scoperti molto tardi, non hanno influito sui miei gusti, né tantomeno sulla mia visione artista. Poi certo, oggi Neffa e Fibra me li ascolto, e pure parecchio, ma non è sempre stato così. Però trovare un link fra due cose temporalmente così distanti è secondo me una figata, significa che comunque quello che faccio non nasce dal nulla, che c’è una continuità. Questa idea di movimento mi affascina».
In “Acqua” quelle sfumature dell’hip hop anni ’90 che sin dall’inizio hanno caratterizzato la sua musica, sono prevalenti, seppur riadattate in chiave moderna. C’è la ritmica del boom bap, è vero, ma un ascolto attento fa emergere anche altro: dalla drum and bass alla 2step inglese, così come elementi propriamente riconducibili alla musica elettronica o al jazz. «Anche negli anni Novanta il rap campionava tantissimo jazz. Quelle sonorità me le ha trasmesse per primo mio padre. Per fortuna ho trovato Disse, il mio produttore, che è un mago del suono con cui sono davvero super affine su gusti e ascolti. Una compatibilità simile è rara».
Non appena iniziamo a parlare di produzioni e del suo rapporto con Disse, che la accompagna da sempre, Ele A appare estremamente attenta e coinvolta. «Da sempre lavoriamo a quattro mani alla musica, dandoci input a vicenda, che si tratti di basi o di melodie. Il brano di “Acqua” che mi ha vista più protagonista dal punto di vista delle produzioni è “Neve”, in cui ho personalmente suonato il piano che abbiamo poi registrato in studio».
Mi racconta che per lei a nascere prima è sempre la musica, che, a contrario di altri artisti, ha un estremo bisogno di matchare le parole che scrive con le vibes del beat. «Non sarei ad esempio mai capace di scrivere un pezzo conscious su una strumentale allegra». Rimarca più volte che «se c’è una sola speranza che porto con me riguardo all’impatto che il disco potrà avere, questa riguarda proprio le produzioni: spero che veramente si capisca quanta attenzione ci abbiamo messo e quanto comunque si intreccino bene con i testi. Il lavoro che ho fatto con Disse è stato accurato, non so se verrà capito fino in fondo dal pubblico italiano».
Come già successo con “Globo”, anche il nuovo progetto esce senza promo sfarzose, trend virali o tracklist preannunciate con all’interno featuring altisonanti. L’unica collaborazione del disco è Nerissima Serpe, in “Oceano”, traccia che in vinile compare nella sua versione integrale con la presenza della sola Ele A. «Sono abituata a lavorare da sola con il mio team, ma “Identità”, l’ultimo disco di Nerissima, è per me uno dei più incredibili dell’ultimo anno. Nel pezzo che abbiamo fatto assieme ha scritto una strofa preziosa: ha avuto il coraggio di aprirsi, esporre le proprie fragilità e la propria sensibilità. Non è scontato e l’ho apprezzato tantissimo».
Due le reference predominanti da cui l’Ep ha tratto ispirazione. «In primo luogo PinkPantheress. Il suo ultimo album, “Heaven knows”, è il mio preferito dell’ultimo anno, destinato a diventare uno dei miei ascolti più apprezzati di sempre. Quel disco ha produzioni spettacolari. Lei non si associa molto con la roba che faccio io, però mi ha comunque ispirato, soprattutto nel suo portar avanti una visione artistica tutt’altro che canonica, dove le produzioni non sono mai secondarie ai testi».
Parallelamente, la musica francese, da cui Ele A è affascinata sin da piccolissima. «Il mercato italiano è monodirezionale e spesso conservatore. Non c’è troppo spazio per nuove proposte fuori dai canoni tradizionali, come accade invece in Francia. Là c’è pochissima omologazione, ogni emergente propone una propria idea di musica e ciò porta a una continua contaminazione ed evoluzione».
Seppur sia grazie ai freestyle pubblicati su Instagram che il suo nome e le sue rime sono iniziate a circolare tra gli appassionati, il rapporto di Eleonora con i social è tutt’altro che idilliaco. Lo noto chiaramente anche durante il nostro pranzo, quando, con aria tutt’altro che compiaciuta, è costretta a sbrigare questioni promozionali d’obbligo il giorno prima di una release.
Ai social vi preferisce la musica, che dice essere meno equivoca. «Sarebbe ipocrita dire che li odio. Non saremmo qui a fare questa intervista senza di essi, né io sarei chi sono oggi. Sono un mezzo promozionale potentissimo, nonché il modo con cui inizialmente la mia musica si è propagata fra più persone. Nella loro funzione di megafono, amplificano però anche le cose brutte, tipo le mie paranoie. Sono polarizzanti, è difficile farsi capire per come sei davvero e il fraintendimento è sempre dietro l’angolo. Su cento commenti positivi, io personalmente rimarrò sempre disturbata da quell’unico negativo. Il “successo” online, i like, i messaggi in direct sono per me cose piatte, dinamiche che neanche mi sfiorano».
Al giorno d’oggi i social e i numeri dello streaming sono fattori astratti, decisamente mutevoli e passeggeri e di questo la rapper si dimostra incredibilmente consapevole. Gli apprezzamenti di colleghi, dalla Love Gang a Tananai, passando per Madame, così come degli artisti che l’hanno voluta all’interno dei propri dischi nell’ultimo anno quali Dj Shocca, Mace e i Cor Veleno, solo per citare alcuni, sono al contrario segnali tangibili e molto agganciati alla realtà dei fatti. «Quando Shocca mi chiamò al telefono io non gli risposi due volte consecutive, pensavo fosse uno scherzo telefonico. Gli aveva passato il mio numero Mattak, ma io non avevo letto il messaggio.
Ho risposto alle terza chiamata e dall’altra parte c’era direttamente Matteo (Dj Shocca, ndr) a complimentarsi con me e dirmi che spaccavo. Quando ci siamo beccati è stata una delle rarissime volte in cui sono riuscita a scrivere due strofe direttamente in studio. A me piace isolarmi quando devo scrivere. Dunque scrivo quasi sempre in un secondo momento. Quella volta invece è stato estremamente spontaneo e diretto. Ero emozionantissima e inizialmente parecchio impaurita di aver scritto una strofa non all’altezza. Ho cambiato idea quando, a pezzo concluso, ho riascoltato la barra in cui cito “Illmatic” con il sample originale sotto. Mi sono detta: ok, questa roba spacca».
Altrettanto reale e inequivocabile, è il riscontro che un artista può avere durante un concerto. Una dimensione verso cui la rapper svizzera guarda da sempre con particolare attenzione. Il mese scorso Ele A ha suonato per la prima volta a Parigi, tenendo un live sold out nella zona di Montmartre. Ora, durante quello che sarà un lungo tour annunciato proprio in questi giorni, si appresta a salire sui palchi dei principali festival dell’estate. Oltre all’Italia e alla Svizzera, non mancano date internazionali di rilievo, da Budapest a Londra.
«I concerti sono il mio unico metro di giudizio, una maniera diretta per avere un riscontro reale. Sul palco mi sento più a mio agio, più sicura. Possono esserci cento persone come diecimila, non mi spaventa. Suonare a Parigi è stato un sogno. Vedere che il pubblico era prevalentemente francese e che, seppur storpiandole, conosceva le mie canzoni, significa molto per me. Nella mia idea di percorso artistico la dimensione live è imprescindibile».
Con un futuro prossimo del tutto indecifrabile, ricco di progetti e idee, ci lasciamo, dopo oltre sessanta minuti di chiacchierata, con una speranza. «Sogno con la mia musica di abbattere certe barriere linguistiche. Non è una questione di vanto o di “voler sfondare nel mondo”, bensì di avere la possibilità di confrontarmi con artisti esteri, magari della scena francese o UK che ammiro e con cui mi sento particolarmente affine. Non so se in Italia il pubblico mainstream sia ancora pronto per una certa concezione di musica. Però magari dobbiamo vederlo come una fortuna. Possiamo essere i primi a portare certe sonorità anche a un pubblico un po’ più grande. Credo che ci voglia forse ancora un po’ di tempo e di esempi che puntano in questa direzione».