Fin dagli albori del cinema sonoro, quando gli studios raddoppiarono la loro capienza e gli attori del cinema muto fecero i conti con la loro voce reale, il musical divenne il genere convenzionale per eccellenza, mettendo in risalto la più grande scoperta che l’industria dell’intrattenimento avesse mai visto fin dalla sua nascita: la sincronizzazione tra suono e immagini.
Se nella sua storia ne ricordiamo principalmente il successo scaturito dalle reinterpretazioni cinematografiche dei classici di Broadway, non possiamo dimenticare come tale scoperta, solamente dieci anni dopo Il cantante di Jazz (primo film sonoro), influenzò notevolmente anche l’industria cinematografica in America Latina definendo nuovi standard per le stesse produzioni.
Dall’introduzione della musica locale e folkloristica che attingeva dai canti storici della popolazione latina, nacquero molteplici generi cinematografici musicali che videro la loro affermazione attraverso le tangueras in Argentina, le chanchadas in Brasile, ma soprattutto in Messico con le comedies rancheros e successivamente con l’affermazione dei melodrammi, dando il là ad uno dei periodi più floridi per il cinema sudamericano.
Ma perché è così importante ricordare come Hollywood non fu l’unica fucina per la formazione dei grandi musical che ancora oggi imperversano nel nostro cinema? Probabilmente, oggi, senza ciò che rappresentarono queste forme primitive di opere melodiche non potremmo fruire e comprendere uno dei casi più interessanti e sperimentali del cinema odierno, che si appresta a diventare uno dei film più premiati del 2025; Emilia Pérez di Jacques Audiard, già premiato a Cannes nella categoria Miglior Attrice Protagonista e fresco vincitore di quattro Golden Globes (Miglior Film Commedia o Musicale, Miglior Film in lingua straniera, Miglior Attrice non protagonista Zoe Saldana, Miglior Canzone Originale El Mal)
L’opera di Audiard, senza utilizzare una falsa retorica che poco avrebbe senso nell’analisi dell’arte contemporanea, “distrugge” rivoluzionando letteralmente ciò che la cultura popolare ha sempre definito e inscatolato nel termine musical. Dalle sue stesse parole rilasciate al New York Times, il regista ha spiegato come il film, inizialmente, era stato pensato per essere un’opera lirica contemporanea a tutti gli effetti; suddivisa in quattro atti, di cui aveva già realizzato il libretto su cui si sarebbe fondata anche la composizione della stessa musica.

Audiard discusse del progetto con musicisti come Tom Waits e Damon Albarn, ma il compito di mettere in musica la storia di Emilia andò infine al compositore francese Clément Ducol, coinvolgendo successivamente la cantautrice francese Camille con cui iniziò a lavorare al film già nel gennaio del 2020, attraverso un processo artistico che ha richiesto circa due anni di lavorazione. “C’è voluto un po’ di tempo prima di considerare che questo potesse essere un film”, dice Audiard. “Ho chiesto a Clément: ‘Cosa stiamo facendo esattamente? È per il palcoscenico o per il cinema?’ Lui ha detto: ‘È per il cinema’ – e, da quel momento, lo è stato”.
Nonostante Audiard non si ritenga un grande amante del musical nella sua forma più convenzionale: “Non sono stato ostacolato da un amore eccessivo per il genere musicale. In realtà non mi piacciono così tanti musical. È un po’ pretenzioso da dire, ma forse ho avuto la presunzione di provare a realizzare un musical che mi sarebbe piaciuto dal mio punto di vista di spettatore”, quando lesse l’opera letteraria Listen (Écoute) di Boris Razon rimase completamente rapito dalla descrizione di un narcotrafficante desideroso di iniziare un percorso di transizione la cui immagine, secondo Audiard, non poteva che essere rappresentata attraverso un’opera contemporanea che fondesse al suo interno tutti gli stilemi di un melodramma ottocentesco.
Emilia Pérez è una storia d’amore e di violenza in cui il Messico diventa la cassa di risonanza sonora e narrativa per mostrare come il cambiamento di un singolo individuo possa rappresentare in pieno la metafora della ripresa di un paese stesso. Cambiando corpo si cambia anche la stessa società.
“Quando ho avuto l’idea per la prima volta, ho pensato subito, senza riuscire a definirla con precisione, all’idea di una persona che vuole effettuare la transizione e di un paese distrutto”, afferma Audiard. “Se un Paese è diviso in due, come può riunirsi? Forse ci vuole qualcuno come Emilia che faccia questo enorme balzo in avanti e poi guardi indietro a tutto il male che ha fatto”.
Sin dall’overture che investe lo spettatore di ogni sonorità appartenente al substrato architettonico e sociale di Città del Messico, in cui tutto diventa funzione del coro che accompagna la narrazione centrale, diventa subito evidente che ciò a cui stiamo per assistere riscrive letteralmente ogni forma musicale mai affrontata fino ad ora. Nonostante Clément Ducol e Camille si siano ispirati alla strutturazione sonora delle commedies rancheros degli anni 40, in Emilia Pérez ogni genere non ha limiti così come le sue stesse protagoniste. Ogni elemento scenico e vocale, viene espresso attraverso metriche sonore che attingono dall’opera, dall’hip-hop al rap, ma anche dal reggaeton e dall’elettronica matamorfica dell’artista colombiana ARCA.
L’avvocata Rita Saldana che guiderà il narcos Manitas del Monte nel suo processo di transizione in Emilia Pérez, diventando successivamente la portavoce e custode del suo progetto sociale Lalucecita, si esprime come fosse “una rapper o una cantante hard-rock”. I brani di apertura del film, El Alegato e Todo Y Nada, entrambi cantati da Rita, sono un ritratto antropologico del Messico, del luogo in cui si trova il personaggio e di chi è come avvocata. Ci racconta il suo stato d’animo nel combattere le incongruenze di un paese di cui anche lei stessa è diventata complice.


Emilia Pérez, interpretata da Karla Sofia Gascòn, si conforma di molteplici sfaccettature che le donano una forma musicale perfettamente cangiante, esprimendosi sia attraverso una conformazione lirica ma attingendo anche e soprattutto alla spoken word (El Encuentro) così come ai classici pastorali messicani (Deseo). Al contrario di Jesse (Selena Gomez), moglie di Manitas del Monte, che vede la sua vita prendere una nuova via, restando però ingabbiata in una prigione d’oro che la porta ad immaginare conseguentemente una vita differente anche attraverso le sue liriche ribelli e sognanti.



“Le canzoni hanno il potere magico di raccontare una storia perché ti permettono di andare dal punto A al punto B della narrazione, senza fare domande, perché parlano al cuore”, dice Camille, che ha cantato nei demo di tutti i brani, canalizzando le passioni dei protagonisti. “Ogni canzone è un caso specifico. Parlano tutti dello stato emotivo dei personaggi e talvolta forniscono informazioni che vanno oltre la sceneggiatura”.
Lavorare con Audiard ha permesso al duo di sperimentare notevolmente rispetto al modo con cui le canzoni dovevano guidare ed entrare perfettamente in connessione con la storia e con le sue stesse protagoniste. Ad esempio il flusso vocale rappresentato da Subiento, che ritorna più volte all’interno della narrazione, facendo da raccordo al suo evolversi e andando a riprendere la funzione del coro nella tragedia greca, doveva fluttuare all’interno delle canzoni così come della colonna sonora.
Nel film, infatti, coesistono tre dimensioni vocali: il parlato, il cantato e le voci serafiche delineate dal coro e questa connessione per Audiard era la perfetta combinazione per mettere ulteriormente in risalto come la sua stessa suddivisione potesse ricollegarsi perfettamente alla voce nella sua funzione universale: “Potevamo essere la voce degli angeli così come dello stesso popolo messicano e creare conseguentemente un filo rouge tra tutte le canzoni”. La musica originale è sì ricca di elementi compositivi ma è proprio la voce, nelle sue molteplici inflessioni, a renderla senza limiti di genere e forma.
Il tutto è folkloristico, lirico, operistico tanto che anche la sua stessa strutturazione sonora, curata dal Sound Supervisor e Re-Recording Mixer, Cyril Holtz, diventa un tessuto musicale completamente organico, in cui ogni elemento appartiene ad un microcosmo acustico indipendente.

Come spiega Holtz. “Emilia Pérez spesso va incontro all’ideale del teatro musicale tradizionale dove c’è una tendenza costante verso un’esplosione musicale. Un personaggio potrebbe parlare per un momento, prima di saltare improvvisamente su alcune note di una canzone, con una sequenza che scorre avanti e indietro tra queste due modalità di comunicazione. Quindi la qualità della voce di ogni persona deve contenere la stessa trama. Volevamo garantire che il genere della commedia musicale non apparisse ovvio e non comportasse una transizione brutale e sistematica tra il dialogo parlato e la modalità canzone”, afferma Holtz. “Volevamo invece che la transizione fosse il più fluida e naturale possibile. Emilia Pérez è costruita sull’idea di oltrepassare i confini e il suono segue lo stesso approccio”. La storia unica del film è raccontata attraverso un mix di voci che fluiscono e rifluiscono attraverso i dialoghi, così come nei suoni organici delle ambientazioni, alimentandone ulteriormente il realismo magico dell’opera. “A volte spingersi oltre i confini significa dissolverli”, dice Holtz parlando dello stile del film, “ed è quello che abbiamo cercato di fare”.

Emilia Pérez rappresenta un nuovo paradigma nella storia del musical cinematografico, così come fu Hamilton per Broadway, sfidando le convenzioni e ridefinendo il rapporto tra suono, voce e narrazione operistica. Audiard non si limita a celebrare l’eredità del genere, ma lo reinventa a sua immagine e somiglianza attraverso un linguaggio universale che non si pone confini culturali e stilistici. Emilia Pérez diventa così testimonianza di come il cinema, quando dialoga con il presente, possa spingersi verso orizzonti ancora inesplorati, aprendo le porte a un futuro in cui ogni voce possa trovare finalmente il suo spazio.